Don Massimiliano Nastasi – Riflessioni sulla XIV domenica del Tempo Ordinario /A

Zc 9, 9-10    Sal 144    Rm 8, 9.11-13    Mt 11, 25-30

La XIV domenica del tempo ordinario, dopo il secondo grande discorso di Gesù sulla missione (Mt 10), seguendo la lettura semicontinua del primo Vangelo, ci accompagna alla pericope finale del cap. 11 dedicata al chiarimento dell’identità di Gesù.

Dopo l’elogio che il Maestro fa di Giovanni Battista, «che era in carcere» (Mt 11, 2), e che «fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande» (Mt 11, 11), e il suo richiamo severo a coloro che non ascoltano né Giovanni, indicato da costoro come «indemoniato» (Mt 11, 18), né il Figlio dell’uomo additato come «un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori» (Mt 11, 19), il Maestro innalza la sua preghiera di ringraziamento al Padre su quanti, umili e semplici, hanno saputo accogliere la sua parola. Egli «si esprime dunque in questo rapporto incomparabile e con una intimità familiare in vari momenti cruciali della sua vita: è la coscienza figlia di Gesù» [L. Pacomio, Gesù. 37 anni che cambiarono la storia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 20004, 136].

Riconoscente che il suo «εὐαγγέλιον» è la causa stessa della sua incarnazione, loda il «Padre, Signore del cielo e della terra, perché ha nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti» (Mt 11, 25) e le ha rivelate ai piccoli. I sapienti e i dotti, infatti, pensano di sapere, rinchiusi dall’arrogante autosufficienza che impedisce la conoscenza di Dio. Contrariamente i piccoli, ossia gli umili, che hanno la capacità di riconoscere i propri limiti, è aperta la possibilità di accogliere la rivelazione divina.

L’affermazione di Gesù sulla capacità dei semplici di aprirsi al mistero nella consapevolezza di non sapere (docta ignorantia) è un tema trasversale nella storia della filosofia che trova in Socrate il suo vertice. Egli, che nel momento più drammatico della sua vita, durante il processo ad Atene che si conclude nel 399 a.C. con la sua condanna a morte bevendo la cicuta – come riferisce un suo discepolo: «Così dicendo, tutto d’un fiato, senza dar segno di disgusto, piacevolmente, vuotò la tazza fino in fondo» [Platone, Fedone, LXVI, c, M. Valgimigli (a cura di), Editori Laterza, Bari 196720, 192] –, pur consapevole della sua sapienza, dopo una affannata ricerca tra sapienti, ritiene che essi non siano tali e lui di non sapere: «Ma costui credeva sapere e non sapeva, io invece, come non sapevo, neanche credevo sapere; e mi parve insomma che almeno per una piccola cosa io fossi più sapiente di lui, per questa che io, quel che non so, neanche credo saperlo» [Platone, Apologia, XX, 2b, in «Opere complete», vol. I, Editori Laterza, Bari 1967, 39].

Come Socrate verso gli Ateniesi, così Gesù in senso universale si manifesta come vera Sapienza – in Siracide la Sapienza è identificata con la Tôrâ –, nonché unico conoscitore di Dio: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Mt 11, 27). È una pretesa fortissima che torna al suo processo come capo d’imputazione da parte del sommo sacerdote Caifa: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia» (Mt 27, 65). Una pretesa di unicità della rivelazione che non trova altri percorsi se non in Gesù stesso: «Infatti, deve essere fermamente creduta, come dato perenne della fede della Chiesa, la verità di Gesù Cristo, Figlio di Dio, Signore e unico salvatore, che nel suo evento di incarnazione, morte e risurrezione ha portato a compimento la storia della salvezza, che ha in lui la sua pienezza e il suo centro» [Congregazione per la dottrina della fede, Dichiarazione Dominus Iesus (6 agosto 2000), n. 13].

Il Signore attraverso la sua parola e il suo stile di vita svela come «ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1 Cor 1, 25), e per amore verso l’uomo «non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo» (Fil 2, 6-7), umiliando se stesso fino alla morte. Proprio la sua debolezza lascia scorgere la sua divinità al punto che può affermare: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi ed oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11, 28).

Così, come questo grido di giubilo del Maestro verso Adonai, presente nella fonte Q, «rappresenta un tipo di cristologia alta molto vicina a quella che si trova nel Vangelo di Giovanni, dove Gesù chiama se stesso Figlio di Dio al quale il Padre ha consegnato ogni cosa (Mt 3, 35; 5, 22.26-27), dove nessuno conosce Dio eccetto il Figlio (Gv 1, 18; 14, 9) e dove questi rivela il Padre agli eletti (Gv 17, 6)» [R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2001, 269].

Matteo, aggiungendo alla fonte Q l’invito agli «affaticati e agli oppressi» rivolto al peso del peccato e dalla legge che è ormai un gioco pesante per il credente [Q 10, 16; 10, 21-22 in D. Fricker – N. Siffer, La fonte Q. Il “vangelo” ritrovato di Gesù, Figlio dell’uomo, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2011, 61-62], si presenta come il vero ed unico liberatore «mite ed umile di cuore» (Mt 11, 29). Così Paolo alla comunità di Roma: «Ora invece, morti a ciò che ci teneva prigionieri, siamo stati liberati dalla Legge per servire secondo lo Spirito, che è nuovo e non secondo la lettera, che è antiquata» (Rm 7, 6). Il Cristo è la vera sapienza che venendo dall’alto è «pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera» (Gc 3, 17).

Per Matteo il cristianesimo presentato da Gesù significa qualcosa di molto semplice, e cioè «che il Padre si rende accessibile solo attraverso il Figlio, proprio attraverso di lui come persona» [K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. I. Vangeli e Atti degli apostoli, Queriniana, Brescia, 2014, 76]. Il suo Vangelo, infatti, tratta della via di Gesù che rinuncia alla forza per scegliere un cuore docile, della via che conduce alla croce. Il Messia atteso dalle genti è realizzazione delle antiche profezie veterotestamentarie, colui che non si presenta alla città santa cavalcando un cavallo – figura del grande condottiero Alessandro Magno – ma che «giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina» (Zc 9, 9).

Il Vangelo è la stessa vita di Gesù che è affidato ai bambini (Mt 18, 1-6.10) perché in essi la vita comincia di nuovo, in contrasto con coloro che già esistono e sono insediati. Il fanciullo, infatti, «non è artefatto, è privo di intenzioni, dell’angoscia di autoaffermarsi, è aperto, è anche ricettivo per il grande sovvertimento dell’esistenza che Cristo annuncia e che intende con il termine “Regno di Dio”» [R. Guardini, Il Signore. Riflessioni sulla persona e sulla vita di Gesù Cristo, V&P – Morcelliana, Brescia – Milano 2005, 356]. Il popolo ebraico, i farisei e gli scribi, i sacerdoti e i sommi sacerdoti sono gli “adulti”, i “sapienti” che non riconoscono Gesù come Figlio di Dio, mentre coloro che accolgono il Logos diventano bambini nella corrispondenza alla paternità di Dio.

«Signore, la magnificenza dei tuoi doni supera ogni potenza della ragione e immaginazione dell’intelletto. Le cose infatti che avevi nascosto ai sapienti e ai prudenti, le hai rivelate a noi piccoli. Anche i profeti e i re che desiderarono vederle, non videro queste cose (Mt 13, 17) che hai donato a noi peccatori di amministrare e con esse di santificarci. Hai concesso a noi l’economia del tuo unigenito Figlio e la mistagogia di questo sacrificio, nel quale non c’è un sangue legale, non una giustificazione della carne, ma l’Agnello spirituale e anche una spada spirituale e incorporea» [Basilio il Grande, Liturgia: PG 31, 1633-1636].

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)