Articoli / Blog | 28 Maggio 2020

Blog – Enzo Bianchi deve lasciare la comunità di Bose

A causa di problemi di rapporti con il nuovo priore, Enzo Bianchi è stato costretto a lasciare la comunità su decisione della Santa Sede al termine della visita apostolica iniziata sei mesi fa. Mi sembra interessante, a questo proposito il commento del Vangelo che il loro sito riporta per la giornata di oggi (la Comunità ha un lezionario proprio)
28 maggio 2020 – Gv 16,23b-33 (Lezionario di Bose)

Nella conclusione del suo discorso d’addio ai discepoli, Gesù riprende molti dei temi che ha già trattato in precedenza. Parla loro del suo andare al Padre e del suo ritorno in cui li rivedrà, del suo rivelare/annunciare il Padre e della profonda comunione che lo lega a lui e della quale rende partecipi i suoi. Parla anche con chiarezza dell’abbandono dei discepoli durante la sua passione e delle sofferenze che dovranno sopportare, e li esorta ad avere coraggio. Tre parole – tribolazione, gioia e pace – ritornano in questo discorso illuminando le ultime consegne di Gesù ai discepoli.

Gesù non ha paura di parlare delle sofferenze che i discepoli dovranno affrontare e neppure del loro abbandono, ma vuole aiutarli a comprendere il senso del loro soffrire e usa un termine “tribolazione” (Gv 16,33) che rimanda alle sofferenze del parto, termine usato anche dalla riflessione rabbinica del suo tempo per indicare il giorno del Signore, il giorno del messia e le sofferenze sia del messia che del mondo per generare la nuova realtà. Gesù invita i suoi discepoli a non lasciarsi sopraffare dalla fatica e dalla sofferenza nel tempo tra la sua passione e il suo ritorno glorioso, ma a guardare a ciò che verrà. Alcuni versetti prima del nostro passo Gesù cita l’esempio delle tribolazioni del parto e dice: “La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della tribolazione, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,21-22). Ogni cosa nuova, che può essere una fase nuova nella nostra vita personale o in quella della comunità, può nascere solo attraverso la tribolazione e la fatica della crisi, perché solo nella crisi c’è la possibilità di prendere coscienza del nostro peccato e, se non ci rinchiudiamo nella nostalgia del passato o in vane recriminazioni, possiamo accogliere la novità che il Signore ci propone. Il Signore ci invita ad avere coraggio e a guardare con speranza alla via che lui ci propone: “Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33).

La seconda parola chiave è la gioia, la gioia in pienezza che nessuno può strappare ai discepoli (cf. Gv 16,24), gioia che proviene dal desiderio di vedere il Signore e di stare con lui ma che, nello stesso tempo, è dono del Padre. Gioia comunque che nasce dalla relazione con Gesù ed è sempre relativa a lui. È la gioia piena di Giovanni quando ascolta la voce dello sposo e che gli rende possibile anche il suo diminuire, il suo ritirarsi in disparte (cf. Gv 3,29-30) perché il Veniente possa compiere la sua opera. È la gioia piena promessa ai discepoli quando inabitati dallo Spirito scopriranno la comunione con il Padre e il Figlio (cf. Gv 17,13).

Gesù racconta tutto questo ai discepoli perché possano avere pace in lui (cf. Gv 16,33), una pace vera, efficace, quella che lui dona quando sta in mezzo a loro (cf. Gv 20,19-23), una pace che li liberi da ogni turbamento dinanzi agli eventi e che confermi la loro fede, sempre imperfetta.

Non avere paura e farsi coraggio è l’invito che ci rivolge il Risorto perché non rimaniamo chiusi nei nostri sepolcri, negli eventi di morte che inevitabilmente constatiamo in noi e attorno a noi. Gesù risorto ci invita a guardare al bene e al buono che abbiamo ricevuto nella nostra vita e nelle relazioni con gli altri. Questo non può mai essere soffocato dal male e dalla sofferenza. La sua resurrezione ne è la testimonianza.

fratel Mauro