Don Massimiliano Nastasi – VI Domenica del tempo di Pasqua / A

At 8, 5-8.14-17  ⌘  Sal 65  ⌘  1 Pt 3, 15-18  ⌘  Gv 14, 15-21

La VI domenica di Pasqua, dopo le testimonianze di coloro che hanno visto il Signore risorto dai morti – Simon Pietro e gli apostoli, Maria di Magdala e i discepoli di Emmaus – e riflettendo, alla luce di questo evento, le affermazioni del Maestro quando era ancora con i suoi – «Io sono la porta delle pecore» (Gv 10, 7); «Io sono il buon pastore» (Gv 10, 11); «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6) – prepara la Chiesa al compimento del mistero pasquale, al dono dello Spirito Santo, al «Consolátor óptime, dulcis hospes ánimæ, dulce refrigérium» [Stephen Langton, Sequenza del Veni Sancte Spiritus].

La pericope giovannea di questa domenica è la continuazione del testamento spirituale di Gesù al Cenacolo (Gv 13-17). Il Maestro, riuniti i suoi discepoli per mangiare la sua ultima Pasqua, nella sofferenza dell’imminenza della sua morte, li consola – «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14, 1) – e annuncia l’invio di un altro Paraclito che «il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce» (Gv 14, 17); un altro in quanto lo stesso Figlio è il primo: «Abbiamo un Paraclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto» (1 Gv 2, 1).

Come tutta la vita di Gesù rappresenta l’attuazione degli antichi oracoli veterotestamentarie, così il dono che egli fa dello Spirito Santo ai suoi discepoli è la realizzazione delle parole dei profeti sia dell’AT (Is 32, 15; Ez 39, 29; Gl 3, 1; Zc 12, 10) che del Battista: «Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo» (Mc 1, 3). È la promessa del παράκλητος, termine giuridico che indica una persona che resta vicina, come assistente nel momento difficile in tribunale (advocatus), e che Martin Lutero erroneamente tradusse con “consolatore” affermando che: «la parola Paracleto indica colui che assume la difesa di un accusato, ne perora la causa, gli dà consigli, aiuto, ammonimento ed istruzione, secondo che richiede il caso suo», e che, successivamente, lo indica come colui «che ci rende belli dei suoi doni» [M. Lutero, Wir glauben all an einen Gott, 1524].

Il dono del Paraclito, dopo l’ascensione del Risorto al Padre, è fondamentale per la testimonianza degli apostoli nei confronti del mondo. Essi, infatti, si trovano come in un processo nel quale conta ogni parola. Lo Spirito Santo, così, «rammenterà ai discepoli di Gesù le sue parole, darà loro la giusta interpretazione di queste parole e aiuterà i cristiani al cospetto dei loro avversari, “dimostrando” così “al mondo” la sua ingiustizia» [K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2014, 504].

Lo Spirito Santo, poi, opera nei discepoli nella qualità di maestro interiore: come il Logos ha ricevuto ogni cosa dal Padre e mentre è sulla terra è la via per conoscere il Padre in cielo, così, quando il Risorto ascende al cielo, il Paraclito che riceve ogni cosa da Gesù è la via per conoscere Gesù stesso. Il Cristo, comunque, «è la Parola divina incarnata in un essere umano, la cui permanenza in questo mondo con i suoi seguaci è temporanea; il Paraclito non si incarna, ma dimora in tutti quelli che amano Gesù e custodiscono i suoi comandamenti ed è con loro per sempre» [R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2001, 483].

Due aspetti, pertanto, sono caratteristici: una relazione ostile con il mondo, che non può vederlo e riconoscerlo, e una funzione di maestro, che spiega le implicazioni di ciò che Gesù ha detto. Ancor meglio, il Paraclito, promesso dal Risorto, «opera in vista della fedeltà operativa dei discepoli in quanto discepoli di Gesù: è lo “Spirito della verità”, in quanto ha un rapporto con Gesù-Figlio, “la verità” del Padre» [S. Migliasso, «Il primo discorso di addio (Gv 13,31– 14,31)», in Opera Giovannea, G. Ghiberti e coll. (a cura di), Elledici, Torino 2003, 269]. Solo così i discepoli possono compiere opere ancor più grandi del Maestro, cioè altre e diverse e adeguate ai vari tempi e spazi della storia, come è testimoniato da Luca negli Atti degli Apostoli.

Gesù nella sua vita terrena a sì rivelato Dio come Padre ma non è riuscito a cambiare il cuore dei suoi discepoli. Lo Spirito di verità, invece, forma in loro un cuore nuovo capace di una più profonda comprensione della missione evangelizzatrice, ma questo collaboratore è allo stesso tempo un santificatore. Egli, infatti, «venendo ad abitare nell’anima nostra, la trasforma in un tempio santo ornato di tutte le virtù (“Templus Dei sanctum est: quod estis vos”: 1 Cor 3, 17). Il Dio infatti che viene in noi con la grazia, non è il Dio della natura, ma il Dio vivente, la ss. Trinità, sorgente infinita di vita divina, e che altro non chiede che farci partecipare alla sua santità» [A. Tanquerey, Compendio di Teologia ascetica e mistica, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2018, 66].

Le promesse del Paraclito sono certamente riferite al tempo della Chiesa e perciò alla fede dei credenti. In esse, infatti, «si esalta l’opera di interiorizzazione e penetrazione che lo Spirito opera nei confronti della Verità, che è Cristo in quanto rivelatore del Padre» [N. Ciola, Gesù Cristo Figlio di Dio. Vicenda storica e sviluppi della tradizione ecclesiale, EDB, Bologna 2017, 313]. E, infine, la venuta dello Spirito comporta anche il ritorno del Figlio e del Padre a causa della comunione di vita delle Persone della Trinità: «Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14, 21).

«Lo stesso Signore dice nel vangelo: “Chi ama me è amato dal Padre mio e io lo amerò” (Gv 14, 21). E come se qualcuno gli avesse chiesto: Che cosa darai a chi ti ama? risponde: Mostrerò me stesso a lui. Desideriamo e amiamo; ardiamo d’amore, se siamo la sposa. Lo sposo è assente: usiamo pazienza! Verrà colui che desideriamo. Ha dato un tanto pegno: la sposa non teme di essere abbandonata dallo sposo. Lo sposo non rinunzierà al suo pegno. Quale pegno ha dato? Ha versato il suo sangue. Quale pegno ha dato? Ha mandato lo Spirito Santo. Potrà lo sposo rinunziare a tali pegni? Se non avesse amato, non avrebbe dato questi pegni. È certo quindi che ama. Amassimo anche noi così! “Nessuno ha amore più grande che dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13); ma in qual modo possiamo noi dare la nostra vita per lui? Chiunque dà la vita per i fratelli, la dà a Cristo (cfr. 1 Gv 3, 16); così come quando nutre un fratello, nutre Cristo: “Ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a ame (Mt 25, 40)»: Agostino, Enarr. in Ps., 90, 13, in «Opera omnia di sant’Agostino», vol. XXVII/1 («Esposizione sui Salmi [86-104]», tr. it. T. Mariucci – V. Tarulli), NBA – Città Nuova, Roma 19932, 85.

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)