Lettere di M. B. – Cronache di un medico contagiato da Covid-19 (28)

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13.04
20-21 aprile
Mi sento alla deriva….sconfortata e sconcertata.
Non c’è una regola
Non c’è una direttiva da seguire, e in questo momento io che andrei sempre un poco controcorrente quanto vorrei dei binari certi da seguire.
Ogni azienda fa a sé, con protocolli suoi, in base alle esperienze maturate nel proprio “ospedale da campo”.
È vero, lo abbiamo detto mille volte, è un virus completamente nuovo, molto probabilmente modificato, che stiamo imparando a conoscere mentre lavoriamo al fronte.
E L’amico tornato tre giorni fa dal sud per essere trasferito in un centro riabilitativo, con due tamponi negativi, è risultato nuovamente positivo all’ennesimo tampone di controllo, per cui di nuovo trasferito al Papa Giovanni, con un morale sotto i piedi.
Un figlio quindicenne di nostri amici carissimi la scorsa notte,come un fulmine a ciel sereno, ha avuto una verosimile crisi epilettica che ha richiesto il ricovero ed è in attesa di accertamenti… tampone covid19 positivo: pensano potrebbe essere l’ennesima complicanza di un’infezione da coronavirus.
Sono stata a casa di una ragazzina di quindici anni che da alcuni giorni ha manifestato segni e sintomi tipo geloni alle dita delle mani e ora due di esse appaiono tagliate arrossate gonfie e dolenti: lesioni molto probabilmente dovute a infezione covid che si manifesta nei bimbi anche solo così, mi insegnano i pediatri.
E poi da un signore anziano fisicamente in ottima forma che dopo svariati giorni di febbre da covid ha subito un importante peggioramento delle sue condizioni cognitive; eh già , anche questo dà: in molti paziente che avevano in atto un iniziale decadimento cognitivo, si è assistito a un notevole peggioramento di esso.
Se mi lascio sconfortare da tutte queste situazioni che sfuggono e che io e i colleghi cerchiamo di gestire come meglio possiamo, è naturale che la voglia di andare avanti sfumi: perché come dicevo spesso non riesco a dare nè un senso né una direzione a ciò che faccio e che potrò fare nel prossimo futuro.
Sui tanti mezzi di comunicazione che abbiamo a disposizione le notizie che si susseguono sostengono quasi contemporaneamente una tesi e il contrario di essa, in termini di tattiche della fase2, in termini di procedure, di studi scientifici o pseudoscientifici, che forse sono solo opinioni, di screening nella popolazione, portando ad una grande incertezza e ad aumentare il senso di sconcerto,di impotenza e di fragilità in cui tutti ci troviamo e questo fa male e mi accorgo quanto faccia male nel mio piccolo ai miei pazienti.
Così, in questi due ultimi giorni, un poco più tranquilli, mi sono presa la briga di fermarmi un po’ .
Fermarmi sdraiandomi sull’erba ad un sole serale ancora tiepido.
Fermarmi a riflettere perché volevo davvero cercare di sostenermi, di volermi bene, perché altrimenti credo che anch’io, come tanti,rischierò il born out postcovid.
Cosi mi sono accorta che sicuramente questo arresto globale imposto dalla pandemia da un lato ha consentito una ripresa della natura in tutti i suoi svariati splendidi habitat: l’aria sicuramente più respirabile, gli orizzonti più visibili, i nostri fiumi e torrenti mai visti così limpidi
e dall’altro ci ha permesso di toccare con mano quanto vulnerabile sia la nostra specie e quanto fragile sia la società e il mondo che ci siamo costruiti a forza di progresso di tecnologie sofisticate, di scienza, senza più avere al centro i veri valori che sostengono da sempre il nostro mondo.
Io , forse perché sono un’irriducibile idealista e una e una semplice ingenua che cerca di chiamare ke cose con il loro nome quando lo conosco oppure ammetto la mia ignoranza, credo sia sostanzialmente un problema di cuore, di intenzioni, di cosa vogliamo davvero nella vita, perché come molti amici vicini o lontani, noti o sconosciuti,credo davvero nell’uomo, all’uomo come creatura all’interno del Creato, all’uomo quindi consapevole dei suoi limiti e del suo senso nella storia , con la sua dignità sempre e comunque da rispettare, Ricordando, come ha detto il Papa oggi, che Dio perdona sempre, la Terra mai.
Leggevo con piacere ieri in un articolo di don Mauro Leonardi, (che sempre ringrazio perché oltre ad esserne l’ispiratore, ospita il mio diario nel suo blog), una semplice profonda considerazione che trascrivo:
“Chi di noi era sano pensava di poter rimanere tale in un mondo malato ma il Coronavirus ci ha mostrato che non è possibile. Il mondo globalizzato ci ha messo tutti assieme. Siamo tutti sullo stesso volo e se l’aereo cade moriamo tutti: non importa se siamo in First, in Business o in Economy Class.”
E poi mi vien da pensare che a tutto questo si aggiunge anche il problema del senso del limite che è andato perduto, con le nostre ostentate manie di onnipotenza e le nostre derive di egoismo e di individualismo.
E allora io, come medico, da che parte mi metto? Come mi pongo?
Io, per indole, mi ci getto ogni volta, con fatica ma sempre con il cuore in mano, perché a far diversamente non ne sono capace, e mi ridico che voglio mettermi sempre dalla parte della vita, che,negli eventi di cui sto accennando, equivale per me a relazione vera, a tempo speso per dire parole chiare, poche, siano pazienti,morenti e parenti, perché la vita è dura, difficile, finisce sì, sta finendo e io posso solo esserci, togliere il dolore magari non tutto, non sempre.
E anche io muoio un po’ ogni volta a me stessa, ai miei limiti, al mio desiderio di guarire, e poi per alcuni o molti giorni, mi porto la morte dentro.
Sì, a volte confesso che sono sfinita, davvero stanca di morte, di sofferenza, di dolore visto, assistito e condiviso.
Sì perché qui di quale Vita stiamo parlando? Cos’è questa dura faticosa vita degli ultimi nostri giorni? Come si fa a sopportare una morte avvenuta così ?
Come si fa a guardare e ad accettare da figlio, da marito, da moglie?
Si è stanchi, sfiniti, fragili, risentiti o rigidi.
Esiste allora l’antidoto ad una morte sconsolata e desolata?
Sì !!posso dire di sì perché l’ho visto, l’ho toccato con mano, sulla mia pelle, in questo periodo.
E qui non c’entra la fede, che se c’è,intendiamoci, e’ davvero una grande benedizione!
SÌ, si chiama condivisione, condivisione di tempo, di cura, si chiama pazienza, ascolto, accoglienza, in poche parole per me si tratta di relazione autentica di amore.
È l’amore per la vita il nemico di ogni rigidità ed è anche l’unica luce che può brillare in questi momenti altrimenti così difficili da affrontare che prima o poi investono ciascuno di noi e che se non preparati,accolti e meditati per tempo, non si improvvisano e gli eventi vecchiaia, malattia, pandemia, morte si trasformano in tragedia o quantomeno in rifiuto e chiusura ricolmi di sensi di colpa.
Sono sempre più convinta che l’unica vera forza venga dall’aver saputo costruire relazioni autentiche, vere, sincere con coloro con cui viviamo e con chi condividiamo un tratto più o meno lungo del nostro cammino. E’ una questione di essersi voluti mettere in gioco sul serio nella vita come persone, come esseri umani che sanno fare del loro tempo e del loro esserCi, una presenza amica e amante. Il resto è solo buio, solitudine, separazione.
La relazione è condivisione, solidarietà, compagnia, arricchimento, speranza.
La morte resta sempre la più difficile e dolorosa ferita da vivere.
Si piange perché fa male. Fa male e basta. Però piangere insieme, tenendo e accarezzando la mano di chi ti sta morendo fra le braccia o, quando non è stato possibile, parlando consolando, piangendo insieme al telefono, con i parenti, fa un po’ meno male.
A me e a loro.
Ecco perché faccio il medico di famiglia ora e non più l’anestesista.
Per essere di più a casa io, nella mia casa, con i miei affetti.
Per tenere i miei pazienti, se è appena possibile, a casa, nella loro casa.
Sono estremamente convinta dell’importanza e del bene che da tutto ciò può derivare:
Per me, Per loro.
INSIEME è la parola che dà quel senso e quella direzione che non riuscivo ad intravedere poc’anzi.