
GENTE – Questa Pasqua ce lo farà capire
Riporto un’intervista per il settimanale di Gente di questa settimana
Una Pasqua così non l’abbiamo vista mai, difficilmente la dimenticheremo. La festa più importante per i cristiani, il giorno della resurrezione di Gesù, quest’anno cade in un momento drammatico, nel pieno delle misure restrittive per il Coronvirus. E non c’è celebrazione che tenga. Niente Messa per i fedeli, niente riunione di famiglia, niente tavola imbandita e parenti in arrivo da ogni dove. Persino il Papa, solo nella Basilica di san Pietro – senza vescovi, senza prelati – celebra a porte chiuse, come ha fatto per tutta la settimana santa, come fa ogni mattina alle 7 precise dalla cappella di Casa Santa Marta, la sua residenza, da quando le chiese sono sprangate. In streaming le funzioni – seguitissime, così come la commovente benedizione Urbi et orbi impartita dal Pontefice in una piazza San Pietro desolatamente vuota, il 27 marzo – in streaming la via Crucis del Venerdì santo, spostata dal Colosseo al sagrato della Basilica.
È tutto così surreale che un velo di tristezza è inevitabile. Don Antonio Mazzi, fondatore di Exodus, paragona questo periodo alla guerra, che ha vissuto da bambino: “Ma quello che sta succedendo oggi è totalmente diverso, dal punto di vista umano”, afferma. “Il conflitto mondiale ci ha uniti, nessuno è rimasto solo. Anzi andavamo dai nonni e ce li portavamo nei rifugi, nelle stalle a giocare a carte, all’osteria, alla bocciofila. Se invece penso alla Pasqua di quest’anno e alle solitudini provocate da questo virus, mi scoppia il cuore”. Ricorda il nonno, “che mi abbracciava mentre i tedeschi, fuori, bombardavano Verona”. Ricorda le nottate passate stretto tra zie, zii e cugini. “Oggi la cosa che mi fa più soffrire è la solitudine che questa bestia sta provocando: quella di chi solo lo è sempre, ma anche di chi vive in famiglia però a distanza di sicurezza, senza potersi scambiare un bacio o un abbraccio. Ma forse anche tutto questo dolore potrà essere trasformato in speranza”.
Ne è certo padre Mauro Leonardi, sacerdote e giornalista, che invita a prendere questa Pasqua anomala come uno spunto di riflessione, a viverla come un’opportunità: “È il momento per la Chiesa di uscire dalle chiese e arrivare alla gente”, dice. “Non c’è veramente bisogno di un edificio dove recarsi per pregare: in origine, nei primi tre secoli del cristianesimo, la liturgia si celebrava in casa”. Certo non è facile, a ridosso di una festività così solenne, non poter nemmeno andare a confessarsi. “Ma l’atto di contrizione può avvenire ugualmente”, assicura Padre Leonardi. “Nel vangelo di Matteo si legge: “Quando vuoi pregare, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo”. Dovremmo tutti approfittare di questa circostanza per ristabilire un autentico rapporto con Dio”. E non solo con Lui: “È anche l’occasione per riscoprire la casa come luogo dove vivere, non soltanto dove tornare a dormire. E le relazioni più calde e vere, i sentimenti che tante volte, nella vita di tutti i giorni, finiamo per trascurare”.
Ci stringiamo, anche se solo virtualmente, ai nostri cari, ci avviciniamo, almeno con il cuore, a chi ha bisogno: “È bello vedere come si stiano moltiplicando i gesti di solidarietà spontanea tra le persone”, continua il sacerdote. “Chi ne ha la possibilità, si mette volentieri al servizio degli altri, anche solo andando a fare la spesa per gli anziani del condominio, per i vicini di casa in quarantena”. Così la carità cristiana e la fratellanza prendono forma, e non solo per opera di chi è credente e praticante. “Non c’è dubbio su quale sia il bene comune, in questo momento, a prescindere dal discorso religioso”, nota ancora Leonardi. “Non a caso i vescovi hanno aderito senza esitazione all’invito del governo di sospendere le Messe: non erano obbligati a farlo, ma hanno capito la priorità, che ora consiste nella sicurezza dei cittadini e nel superamento dell’emergenza”.
Sarà una festa anomala, dunque, ma chissà che non finisca per essere più autentica e sentita del solito. L’ha detto anche il Papa nell’omelia della domenica delle Palme: “Il dramma che stiamo attraversando ci spinge a prendere sul serio quel che è serio, a non perderci in cose di poco conto; a riscoprire che la vita non serve se non si serve, perché la vita si misura all’amore. Cerchiamo di contattare chi soffre, chi è solo e bisognoso. Non pensiamo solo a quello che ci manca, ma al bene che possiamo fare”.
F. Capozzi