Le Lettere di Nicola Sparvieri – Accontentarsi di poco, fare la vittima e dominare. Ecco su cosa siamo tentati.
Viviamo la vita accontentandoci di poco? Facciamo sempre la vittima o siamo dei leader cui piace solo comandare su tutti? La psicologia ci aiuta a capirlo ma anche nelle tre tentazioni del racconto dei Vangeli troviamo uno spunto impressionante per capire qualcosa di noi e di come viviamo. Noi siamo naturalmente inclinati verso questi tre comportamenti che però, alla fine, non restituiscono soddisfazione nel farli e, visto nel suo complesso, la qualità della nostra vita peggiora. Non credo che con questo si possa dividere l’umanità in tre categorie quanto piuttosto che ogni uomo le comprenda tutte con la prevalenza di una sulle altre due.
Nel racconto evangelico troviamo che nella prima tentazione viene presenta, da parte di chi vive un lungo digiuno, la necessità di nutrirsi. Il simbolo chiaro di questa tentazione è il cibo che rappresenta la vita che ci viene assicurata, quel modo di essere installato in un nido caldo, quella polizza assicurativa che ti mette al sicuro sul fatto che avrai sempre abbondanza e comodità. Parliamo del piccolo borghese che si accontenta di poco, di una vita dal profilo basso ma che sia comoda e confortevole. Quello che, alla fine di tutto, si accontenta di potersi consolare con una bella mangiata, con una partita allo stadio, con un bel vestito o una bella casa. È la persona che non crea problemi e che in fondo non rompe le scatole basta che gli venga consentito di stare in pace. Ecco come è descritto nel Vangelo di Matteo: “Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, di che queste pietre diventino pane” (Mt 4,3).
La seconda tentazione ha a che fare con la storia di ciascuno, col fatto che vorresti essere quello che non sei, con le ingiustizie subite, col fatto che in fondo se io non fossi così come sono potrei risolvere i miei problemi ma purtroppo sono così e quindi recrimino, mormoro, chiedo giustizia a qualcuno, allo Stato, alle Istituzioni che non fanno nulla per me. Pretendo che non io ma qualcun altro risolva i miei problemi al posto mio. Quelli della seconda tentazione sono quelli che fanno le vittime in ogni occasione, che si chiamano fuori dalle difficoltà perché loro non ce la fanno, non possono farcela visto che la loro storia è andata in quel modo, che provengono da quella famiglia, che la vita è stata avara con loro. Che il loro aspetto non è adeguato, che non sono belli o belle e in fondo invidiano tutti, perché se anche a loro fosse stato concesso quello che gli altri hanno avuto allora si che sarebbe tutto diverso. Non vogliono essere chi sono veramente ma vorrebbero essere diversi, ecco come lo descrive sempre il Vangelo di Matteo: “Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani
perché il tuo piede non inciampi in una pietra” (Mt 4, 5-6).
La terza tentazione è quella più profonda e coinvolge veramente tutti gli uomini. È il potere, la necessità di affermare sé stessi, la voglia di affrancarsi e dominare. È qualcosa di profondamente positivo perché ti motiva a migliorarti, ti da la possibilità di superare i limiti, di industriarti per fare sempre di più e meglio. È la motivazione della necessità di affrancarti dalla durezza della vita e ha motivato la nascita della scienza, dell’arte e della politica. Il desiderio di avere potere e dominare motiva continuamente a combattere e lottare per migliorare e progredire in un vortice che ai risultati ottenuti associa nuovi progetti. E allora perché la tentazione del potere viene sempre vista come la negatività impersonata e un vero paradigma del male? Le prime due tentazioni sono chiaramente delle debolezze umane che tutti abbiamo vissuto o vediamo in chi conosciamo. Ma la terza che spinge a lottare e combattere che ha di sbagliato? La risposta sta nel fatto che il potere non può fare a meno di prevaricare la libera scelta di altri uomini che, anche se consenzienti, come nelle democrazie o in generale nei patti tra persone libere, rinunciano a una parte di libertà. Cioè il potere non è mai solo potere sulle cose ma è sempre, in qualche misura, potere sugli uomini. Questo trasforma chi lo esercita in una specie di divinità, snaturandone l’essenza e facendogli vivere una vita per la quale non è stato, diciamo così, “programmato”. Quindi perde la sua umanità e quel che è peggio non riesce più spontaneamente a lasciare questo esercizio che ha sugli altri uomini e il potere diventa una droga. Quindi possiamo dire che esiste un potere “buono” che dominiamo e che ci serve per costruire vincere sulle cose e uno “cattivo” che, viceversa, domina lui l’uomo invece di esserne dominato e che lo rende così poco “umano”. Ecco come è descritto nel Vangelo di Matteo: “Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai” (Mt 4, 8-9).
Quindi riassumendo, le tre tentazioni possono essere divise in due gruppi, le prime due riguardano le debolezze umane e cioè la prima che è quella di vivere una vita di basso profilo accontentandosi solo di banalità e riducendo tutto a beni materiali “sprecando” per così dire l’occasione che la vita ci sta offrendo per vivere meno superficialmente, cioè avendo un obiettivo alto. La seconda ci ricorda che spesso facciamo le vittime e ci sottraiamo dalla battaglia della vita compiacendoci del fatto che non siamo adatti, ma non per colpa nostra, no, ma perché qualcuno ci ha fatto qualcosa che ci ha danneggiato, fosse anche la storia stessa che si è messa di traverso. Questo ci giustifica e ci autorizza a vivere una vita di recriminazioni, di proteste e di mormorazioni continue. Anche questa ci fa “sprecare” l’occasione che ci viene offerta di vivere rinunciando a lottare giustificando la pigrizia che ci divora. Ma la terza tentazione non ha a che fare con le debolezze ma con la forza e non è affatto sbagliata in sé ma, diciamo così, è sbagliata per l’eccesso che ne facciamo essendo per noi uomini difficile separarne la parte buona da quella cattiva cioè quella che è azione, attività, sforzo di miglioramento da quella sete insaziabile di dominare sui nostri simili limitandone le libertà e sperimentandone la nostra difficoltà a rinunciarci. È come una droga cui è difficile rinunciare nel pieno dell’assuefazione.
Quello che può aiutare è l’avere consapevolezza che esercitare un potere non è mai per un tempo illimitato. Può anche aiutare che ci sia qualcuno che si incarichi di togliere il potere da chi lo esercita quando il tempo è scaduto. Bisognerebbe anche ricordare sempre che “avere potere” non è “essere potenti”. Qui la differenza tra avere e essere è fondamentale. Se sono potente mi identifico col potere, la mia vita esistenzialmente è il potere, se lo perdo, perdo anche la vita perché da esso dipende il mio essere ontologico. Invece se ho un oggetto posso non averlo più perché posso perderlo o mi può essere rubato o posso decidere di regalarlo a qualcuno. La nostra vita stessa può essere pensata come qualcosa che ho in gestione temporanea ma che prima o poi dovrò lasciare. Questo sano distacco ci può molto aiutare.
Nicola Sparvieri (Roma, 1959), sposato, nove figli, vive e lavora a Roma. Laurea in Fisica. Per interesse ed esperienze personali segue le vicende del cattolicesimo nelle sue relazioni con la Scienza e la Società. Ha un blog