Don Massimiliano Nastasi – Riflessioni sulla V Domenica del Tempo di quaresima / A

Ez 37, 12-14  ⌘  Sal 129   Rm 8, 8-11   Gv 11, 1-45

 La V domenica del tempo di quaresima rimanda al terzo ed ultimo grande quadro giovanneo del cammino del catecumenato, nonché al suo settimo segno o miracolo. Il Vangelo di Giovanni, infatti, può essere suddiviso in due parti. La prima incentrata sui sette segni compiuti da Gesù che rivelano la presenza del regno di Dio in mezzo agli uomini, come si afferma già nel Prologo: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (1,14): le nozze di Cana (2,1-11); la guarigione del figlio del funzionario del re (4,46-54); il paralitico alla piscina di Betzatà (5,2-9); la moltiplicazione dei pani e dei pesci (6,1-15); Gesù cammina sulle acque (6,15-21); il cieco nato (9,1-7) e infine Lazzaro (11,1-44), che è il segno per eccellenza in quanto richiama la resurrezione di Gesù. La seconda parte, invece, è il momento della “gloria”, ossia dell’ora definitiva della croce: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono» (8,28), che ascolteremo domenica prossima con l’inizio della Settimana Santa.

Dopo l’incontro con la Samaritana e con il cieco nato, l’attenzione del Maestro è rivolta all’amico Lazzaro. Tutti e tre sono figura dell’umanità stessa, concretizzate in una cornice storica e culturale che trascende il personaggio stesso, giungendo al singolo cristiano che abbraccia la vita in Gesù e che lo coinvolge.

Betania è un villaggio situato sul Monte degli Ulivi nella parte orientale rispetto a Gerusalemme e distante da essa circa 3 km. Il Maestro si trova oltre il Giordano nel luogo del battesimo quando gli riferiscono della malattia di Lazzaro, fratello di Maria: «quella che sparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli» (11,2). Un’annotazione importante perché questa scena è riportata al capitolo successivo: «Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi a Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli» (12,3). Il fatto è anticipato nella stesura del IV Vangelo giacché la comunità cristiana era già a conoscenza del miracolo di Lazzaro tramandato tradizionalmente a voce.

La morte dell’amico dà ancora la possibilità a Gesù di confermare la sua precedente affermazione sulla spianata del tempio durante la festa delle capanne: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono» (8,58). Solo Dio, infatti, può ricreare un organo che non esisteva dal parto, come la vista al cieco nato, o ridare la vita a chi è morto. In questo si manifesta: «la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato» (11,4); gloria [δόξα] che è precisamente la presenza potente ed operante di Dio: la malattia di Lazzaro è finalizzata a questa manifestazione di gloria ove si riconosce Gesù che opera come Dio.

Dopo due giorni di riflessione, ove subisce la tentazione dai suoi discepoli che non vogliono che torni a Gerusalemme («Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?»: 11,7) decide di partire di nuovo per la Giudea e così manifestare che: «Viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno» (5,28-29), sapendo al contempo che questo lo porterà alla morte.

Giungendo a Betania trova Lazzaro nel sepolcro già da quattro giorni, ossia un periodo lungo di decomposizione del corpo. È possibile, infatti, che Giovanni «intenda sottolineare la realtà della morte di Lazzaro, in considerazione alla credenza giudaica di allora secondo cui l’anima del morto rimaneva nelle vicinanze del cadavere per tre giorni prima di andarsene definitivamente» [B. Vawter, «Il vangelo secondo Giovanni», in Grande Commentario Biblico, Queriniana, Brescia 1973, 1411].

Se le parole della sorella di Lazzaro, Marta, davanti a Gesù esprimono la speranza farisaica: «So che sorgerà nella resurrezione dell’ultimo giorno» (11,24), il Maestro propone una novità: «Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (11,25-26); l’uomo non resterà per sempre nella morte ma avrà la vita nella grazia perché «Il Maestro e qui e ti chiama» (11,28). Gesù si presente come la resurrezione, perché questo dono di Dio non esiste indipendentemente da lui; «Questo significa che la resurrezione non è una tappa tra le altre in un calendario apocalittico, ma il dono della vita eterna, legato corporalmente a Gesù» [K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2014, 489].

Alla vista di coloro che piangono anche Gesù «scoppiò in pianto» (11,35) non per la perdita dell’amico per il quale ha ritardato appositamente la partenza, ma per un fremito nello Spirito che lo sconvolge al punto da farlo piangere. Gesù, infatti, si rende conto che quel gesto gli costerà la propria vita. È quel turbamento che i Sinottici vedono nella sofferenza dei Getsemani («La mia anima è triste fino alla morte»: Mc 14,34; Mt 26,38), ossia la paura da uomo di fronte al dramma della morte.

Nella sua progettazione, che si rende visibile e chiara nella fede («Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo»: 11,9) non vi è il bypassare la morte corporale, ma intervenire successivamente per non lasciare l’uomo in essa. È una proposta di vita che Dio non forza perché «non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» (Lc 17,31) ma lasciando la libertà anche all’ostinazione di fronte ai fatti più grandiosi: «Non vi rendete conto che è conveniente per voi che uno solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!» (11,50).

Il racconto di Lazzaro conferma come la morte fisica sia il destino comune dell’umanità, ma Gesù è il primo ed unico che risorge. Mentre l’amico del Maestro torna in vita, tuttavia ancora come un segno in quanto egli morirà di nuovo – la ragione per cui esce dalla tomba ancora avvolto nelle bende funerarie – solo il Cristo «viene a dare una vita eterna insensibile alla morte, come simboleggerà uscendo dalla tomba e lasciando all’interno i suoi indumenti per la sepoltura» [R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2001, 478]. Mediante il Battesimo l’uomo ha la possibilità di risorgere e così non rimanere nel mondo dei morti perché il Signore, come ricorda Paolo, ha aperto definitivamente la porta alla vita eterna: «Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11).

«Sebbene lo spirito abbia desideri contrari alla carne, e la carne abbia desideri contrari allo spirito, sebbene ora sia in atto un litigio in questa casa; litigando, il marito non cerca la rovina, ma l’accordo della moglie. Lungi da noi, fratelli miei, lungi da noi l’idea che lo spirito, avendo desideri contrari ai desideri della carne, abbia in odio la carne. Odia i vizi della carne, odia la prudenza della carne, odia l’opposizione della morte. Questo corpo corruttibile rivesta l’incorruttibilità, e questo corpo mortale rivesta l’immortalità; si semini un corpo animale, risorga un corpo spirituale; e vedrai la piena e perfetta concordia, vedrai la creatura lodare il Creatore. Pertanto, se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali, per mezzo del suo Spirito che abita in voi; non a motivo dei vostri meriti, ma a motivo dei suoi doni»: Agostino, Serm, 155, 14, 15 in «Opera omnia di Sant’Agostino», vol. XXXI/2 [151-183]: sul N. Testamento, tr. it. M. Recchia), NBA – Città Nuova, Roma 1990, 460-995 [PL 39, 1493-1638], 493.

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)