Rassegna stampa | 25 Marzo 2020

Alessandra Puato – Venchi: «I nostri negozi in Cina di nuovo pieni. L’Italia? Riparta prima della fine del contagio», su Corriere.it

Che gioia questa intervista a Daniele Ferrero. Speriamo che i nostri politici tengano davvero presente le sue parole

«Lo vede il nostro negozio di Shanghai? Ora c’è la coda, finalmente». L’ex McKinsey Daniele Ferrero, primo azionista e amministratore delegato della Venchi, cioccolato d’alta qualità e gelato made in Italy, indica la foto e tira un sospiro di sollievo. Sta ripartendo dalla Cina e propone quel modello per superare la crisi economica da coronavirus. Significa pianificare il riavvio dell’economia già da ora e non andare troppo in là, ma cominciare gradualmente a riaprire gli esercizi commerciali, «quando la curva del contagio comincerà a scendere». Non dopo, a pericolo scampato. Perché «se sbagliamo i tempi è un problema, qualcuno potrebbe non riaprire». In Cina «hanno riavviato le attività dopo tre-sei settimane dal blocco — dice l’imprenditore —. Bisogna prevedere anche in Italia già ora la Fase 2, quella economica. Chi lo sta facendo?». Per Ferrero (l’«altro Ferrero», nessuna parentela con la famiglia di Alba) l’ideale sarebbe riaprire le attività del Paese «prima di Pasqua». Gradualmente, però, «per zona geografica, come in Cina». L’importante è «non ragionare a mesi, ma a giorni. Concentriamoci ora sulla riapertura dell’Italia, che sia cauta sul piano sanitario ma che ci sia, a breve».

Numeri e clienti
Venchi è stata fondata nel 1878 a Torino, conta 120 negozi in 70 Paesi e mille dipendenti. Ha raggiunto l’anno scorso, dichiara, l’obiettivo dei 1oo milioni di fatturato 2019 (+9% dal 2018) con un margine operativo lordo del 22%. In Italia, che copre il 65% del suo giro d’affari, patisce per la chiusura di bar, negozi, hotel, ristoranti. I suoi clienti sono fermi e i suoi punti vendita-bandiera, come quelli negli aeroporti e nelle grandi stazioni, sono chiusi.
Ma Venchi sta accelerando ora in Cina, dove lavora dal 2012 e si era arrestata per il coronavirus. «Inaugureremo un negozio a Wuhan entro l’anno, come previsto: magari non a giugno ma a dicembre — dice Ferrero —. La Cina ormai è il nostro secondo mercato con il 18% dei ricavi. Nelle ultime due settimane abbiamo chiuso contratti per aprire nuovi punti vendita a Hong Kong, Shanghai, Shenzen. Arriveremo a oltre 36 negozi a fine anno in Cina, ora sono 30, erano 24 a inizio 2019».

Mascherine e app
Un suggerimento per la ripartenza è «fare indossare comunque a tutti, cittadini e commessi, le mascherine: fondamentale, anche per non toccarsi naso e bocca». L’altro è «essere tecnologici». Per esempio, con un’app come quella diffusa dal governo cinese con AliBaba, per il cellulare, che dica ai cittadini che fare in caso d’emergenza e al governo se e dove si stanno generando focolai: «Ha consentito alle persone di uscire di nuovo con crescente fiducia, lo stesso è successo in Corea». È il tema della tracciabilità dei cittadini, attuale ora e di semplice soluzione forse in Cina, meno nelle democrazie.

I turni in fabbrica
La fabbrica italiana di Venchi, a Castelletto Stura (Cuneo), sta lavorando con il 30% dei dipendenti, dice l’imprenditore: «Abbiamo messo i lavoratori in ferie a turno e gli addetti alle vendite nei negozi ora sono in cassa integrazione». Ma la produzione continua, «non abbiamo licenziato nessuno», e ora è il momento delle uova di Pasqua, perlopiù ferme nei magazzini perché la catena retail non le sta assorbendo. Perciò la previsione di toccare i 115 milioni di ricavi quest’anno andrà di certo rivista, ma «i cinque milioni d’investimento destinati alle nuove aperture nel 2020 sono confermati», dice Ferrero: «I nostri colleghi in Cina hanno firmato i contratti anche durante la crisi più nera del Covid-19». Ora nel Paese presieduto da Xi Jinping, dove il blocco totale delle attività è stato il 23 gennaio, «sta andando ogni giorno un po’ meglio». Dice Ferrero: «Noi abbiamo riaperto tutto fra il 10 e il 17 febbraio, dopo due settimane di crisi dura. Pechino è stata un po’ più lenta, 14 marzo». La progressione è evidente: «Due settimane fa siamo passati al -30% del fatturato previsto in Cina, ma la settimana precedente eravamo al -50% e quella prima al -75%. Allo scoppio del virus avevamo perso il 100%».

Le fintech
Ferrero sta però seguendo anche un’altra strada, tecnologica, per oliare la catena industriale: accordarsi con operatori alternativi alle banche per fare arrivare il più in fretta possibile i soldi destinati alle partite Iva — i suoi clienti — dal decreto Cura Italia. «Studiamo nuovi accordi con le fintech per dare accesso veloce alle risorse — dice Ferrero —. Noi siamo un’azienda grandicella e per fortuna stiamo in piedi con le nostre gambe, vediamo poi che la Cina è solida. Ai fornitori pensiamo noi. La mia preoccupazione sono i nostri clienti, tutte partite Iva. In Italia abbiamo 45 negozi, ma anche 6 mila clienti fra i piccoli commercianti: enoteche, ristoranti di lusso, bar. Tutti chiusi. Sto cercando di usare gli strumenti del decreto per fare arrivare loro liquidità rapidamente usando le garanzie statali messe a disposizione. Perché il problema sono le microimprese, fra i 100 mila euro e il milione di ricavi, dagli artigiani alla piccola pensione. Milioni di posti di lavoro».

I progetti a Bologna
Funzionerà? Venchi parte da una base di autosufficienza finanziaria, e difatti finora non ha mai voluto soci né quotarsi in Borsa («Restiamo di quell’idea»). Ma pesa anche la determinazione. E per capire il grado d’ottimismo di quest’imprenditore che ha dichiarato battaglia a Godiva, il re del cioccolato: «Confermo che apriremo a Bologna tra giugno e luglio», dice. E ancora: «Il 5 marzo abbiamo inaugurato il secondo negozio in Giappone, a giugno faremo lo stesso a Giakarta. Abbiamo firmato per due nuovi punti vendita a New York. La Venchi non si ferma».

Oltre le uova di cioccolato
E se le uova di cioccolato sono bloccate, ora l’azienda sta producendo il gelato per l’estate e il cioccolato extra fondente che non invecchia. «L’essenziale è pensare in modo innovativo, perché questa crisi cambierà il modo di fare impresa, probabilmente per sempre».

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