Don Massimiliano Nastasi – Riflessioni sulla IV Domenica del Tempo di quaresima / A

1 Sam 16, 1b.4.6-7.10-13  ⌘  Sal 22   Ef 5, 8-14   Gv 9, 1-41

La IV domenica del tempo di quaresima è centrale nel cammino che conduce alla Pasqua di resurrezione, e nella gioia di aderire al Signore ci è proposto il secondo grande quadro di Giovanni della “luce della vita” definito «il capolavoro della narrazione drammatica giovannea, così accuratamente costruito che non c’è una sola parola inutile» [R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2001, 476].

Come il racconto dell’“acqua viva” (Gv 4, 1-42), anche questo, presente solo nel IV Vangelo, è simbolico, ossia partendo da una descrizione puntuale di fatti accompagna il lettore ad un significato più alto, che va al di là dello stesso quadro storico di riferimento. I miracoli che Gesù compie non sono “soltanto” simbolici, ma sono come la punta di un iceberg e rimandano, in quanto manifestazioni materiali, a una totalità più grande. In questo caso all’esperienza battesimale che conduce l’uomo dalle tenebre del peccato alla luce della salvezza operata in Cristo per mezzo dello Spirito Santo. Come la samaritana così anche il cieco nato rappresenta l’umanità che incontra Dio.

Il Maestro giunge in Giudea attraverso la Samaria per la festa delle capanne. Essa è una ricorrenza che anticamente fissata in autunno per la raccolta dei frutti della terra (Lv 23,33-44; Dt 16,13-15; Ez 45,25), dopo l’esperienza nel deserto di Israele pellegrino dall’esodo dall’Egitto verso la Terra Promessa diventa «la più santa e la più grande delle solennità» [Giuseppe Flavio, Ant. 8.4,1], ricordando le capanne (sukkôt) di frasche dove abitavano gli Ebrei. A metà di questa festa, che dura otto giorni, Gesù è nella spianata del tempio di Gerusalemme dove inizia il suo insegnamento. Qui trova una forte resistenza da parte delle autorità che lo additato come un indemoniato (Gv 7,20). Egli, però, non tenta di giustificarsi, ma all’apice della controversia afferma apertamente la sua identità: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono» (Gv 8,58); un chiaro riferimento alla rivelazione stessa di Adonai a Mosè: «Io sono colui che sono» (Es 3,14). Per i Giudei è una bestemmia, e così di fronte alla loro rabbia che li stava portando a lapidarlo, Gesù «si nascose e uscì dal tempio» (Gv 8,59).

Mentre discende i gradini della spianata, che sono rivolti verso il monte degli Ulivi, «vide un uomo cieco dalla nascita» (Gv 9,1). Nei Sinottici Gesù guarisce diversi ciechi ma mai gli evangelisti appuntano se fossero così dalla nascita. È un’annotazione fondamentale perché cambia la prospettiva stessa dell’intervento divino; se diventato cieco per infermità, egli viene risanato, ma se tale dal parto, si ha un’opera creativa, ossia Gesù completa in lui l’atto creativo, aggiungendo quello che manca affinché riveda. Esso quindi rappresenta la «dimostrazione della forza creatrice di Gesù; il cieco, infatti, non doveva essere guarito da una malattia ma, per così dire, ri-creato» [K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2014, 475]. Una cecità che «non fu dovuta al peccato dei genitori, non al peccato personale di lui, ma perché si manifestassero in lui le opere di Dio» [Agostino, Serm., 136, 1, in «Opera omnia di sant’Agostino», vol. XXXI/1 (tr. it. di M. Reccchia), NBA – Città Nuova, Roma 1990]. Un miracolo che il cieco stesso riconosce davanti ai farisei che lo interrogano: «Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato» (Gv 9,32).

La grazia che Gesù opera nel cieco nato, in sintesi, è una risposta a coloro che hanno dubitato sulla sua pretesa di essere Dio, mostrando un segno della sua potenza creativa; coloro che vivono nella cecità spirituale, ossia nell’ostinarsi a non voler vedere e accogliere il Figlio di Dio. Ciò fino a giungere al paradosso che sia «meglio essere ciechi sul piano fisico e senza peccato, piuttosto che vedere e non credere a Gesù» [K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, cit., 476], come egli stesso afferma: «E’ per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi» (Gv 9,39).

Con il battesimo, Dio compie in ogni persona questa opera creativa, non di guarigione ma di rigenerazione, come spiega a Nicodemo, uno dei capi dei Giudei: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5). Toglie il peccato rendendo l’uomo capace di non peccare, ossia concedendogli la possibilità di vedere le opere di Dio in lui (la grazia) per la rigenerazione. Infatti «l’essenza di questo “segno” non consiste semplicemente nel fatto che venga restituita la vista, ma che venga donata la luce a chi non l’aveva mai posseduta. La luce che Gesù è venuto a portare non appartiene per diritto agli uomini, ma è un puro dono di Dio offerto per mezzo di Gesù Cristo: l’uomo in questo senso è per natura nato cieco» [B. Vawter, «Il vangelo secondo Giovanni», in Grande Commentario Biblico, Queriniana, Brescia 1973, 1406].

Per celebrare la santa Pasqua, la liturgia domenicale oggi ci invita a recuperare la vista, acquisita nel battesimo, per vedere e riconoscere Gesù Cristo come la vera ed unica «luce del mondo» (Gv 9,5).

«Battezzati, siamo illuminati, illuminati, siamo figli di Dio. Figli di Dio, riceviamo un dono perfetto; e ricevendo un dono perfetto, possediamo l’immortalità… Battezzati, liberati dai peccati la cui oscurità faceva ostacolo allo Spirito santo, abbiamo l’occhio dello spirito libero, trasparente, luminoso, capace di vedere Dio, dal momento che lo Spirito santo è stato effuso su di noi dall’alto del cielo. Penetrati da questo raggio eterno, possiamo vedere la luce eterna. Perché il simile ama il simile; ciò che è santo è amato dalla fonte di ogni santità che è essenzialmente luce. Voi infatti eravate tenebre, e ora siete luce nel Signore»: Clemente Alessandrino, Il pedagogo, 1.6 (tr. it. D. Tessore), Città Nuova, Roma 2005, 31.

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)