Lettere di M. B. – Cronache di un medico contagiato da Covid-19 (6)

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13 marzo

Ormai la febbre non c’è da circa quattro giorni (non ricordo nemmeno) e credo proprio che ormai non tornerà più.
Però oggi è una giornata dura non tanto per il mio fisico quanto per il mio morale.
Non avendo più la febbre, come sanitario posso tornare al lavoro sul campo e quindi ho voluto testare le forze e vedere se ce la facevo e sono uscita. Sono andata, adeguatamente bardata con mascherina, doppi guanti e occhiali, a fare due constatazioni di morte di due anziani, che conoscevo molto bene: uno la mattina e uno la sera. Andavo a trovare uno di questi ogni quindici giorni: era paralizzato sulla sedia a rotelle da anni; la moglie, ormai da tre anni, preparava una torta casalinga per le mie figlie, conoscendo le mie scarse capacità culinarie e il poco tempo che dedico alla cucina.
L’altro era molto molto anziano, ma era brillante e autosufficiente.
Non è stato facile. Soprattutto ho scoperto quanto sono ancora astenica, senza forze, con il fiato che non viene bene, subito in affanno per una rampa di scale, anche se il polmone ora pare libero. L’Emicrania va e viene.
Non sono né un’eroina né Wonder Woman (non mi è nemmeno mai piaciuta se devo essere sincera: per chi se la ricorda, preferivo la donna bionica!) e lo sconforto mi prende.
Tanti, troppi morti: tutti noi, da queste parti, abbiamo ormai conoscenti morti: parenti prossimi o lontani, amici.
Questo nuovo virus è davvero bastardo e qui ormai non si riesce più a percepire come un’influenza come le altre, per lo meno non è così per tutti.
Per troppi è molto di più: proprio per la rapidità con cui ha contagiato tutti ma proprio tutti.
È di più per chi si è visto in pochi giorni portare via la mamma o il papà, il nonno o la nonna.
È di più come numeri perché molti contagiati bimbi, adolescenti non hanno manifestato sintomi; adulti e anziani lo hanno preso ma a nessuno di loro hanno fatto né faranno il tampone, e pertanto saranno fuori dalle statistiche, non registrati: ma, credetemi, quanti siano può capire dagli annunci affissi ai luoghi preposti nei nostri paesi o sul quotidiano della provincia: le pagine dei necrologi sono passate da due a dieci.

14.03
Esco stamane per constatare un altro decesso: un anziano, morto in casa dopo 18 giorni di malattia attorniato dall’affetto dei suoi cari. Mi dicono che in questa ultima notte li ha lasciati dormire tranquillamente poi stamane ha aspettato che fossero tutti lì per finire i suoi respiri.
E loro mi raccontano che le imprese di pompe funebri non riescono a soddisfare in tempo reale le chiamate. Le bare scarseggiano, le salme chiuse vengono portate direttamente al cimitero senza funerali, solo con rapide esequie. Non accade solo in un comune: io vi parlo di tre comuni limitrofi e grossi.
È un virus ti sta addosso per almeno 15 giorni
È un virus che se sei sulla quarantina ti può portare in ospedale per insufficienza respiratoria con polmonite virale, curabile se c’è posto per te.
È un virus che ti può far finire intubato in terapia intensiva per almeno diciotto, venti giorni: solo ora cominciano a guarire i primi!
Noi siamo ormai stanchi di ordinanze e discorsi: stiamo tutti chiusi in casa, a parte chi deve fare lavori “socialmente utili”.
È anche un virus che mi fa trovare tanta umanità nelle case visitate dove è morto un nonno, dove ciascuno cerca di essere attento all’altro, di accorgersi dell’altro, di uscire da se stesso e dalle proprie paure senza essere concentrati solo sul proprio Io, sui propri bisogni o desideri
È un virus che mi fa credere che come vivo l’oggi così sarà il mio domani. Come mi prendo cura oggi, così avrò cure domani, come amo oggi, ritroverò amore domani.
Io vivo anche di questo.
Io credo anche a questo e cio mi dà forza

In casa, nella nostra csa, c’è chi studia, chi vede un film: io e mio marito ci siamo visti Passengers, come consigliato da don Mauro sul blog
Chi prega: ogni giorno riusciamo a ritagliarci un momento breve tutti insieme e a noi infonde coraggio e serenità.
C’è chi gioca o fa un’ora di fitness con lezioni virtuali
C’è chi perde la pazienza perché l’estrema continua vicinanza dopo un po’ si fa sentire
C’è chi fa video chiamate connesse con più amiche: le figlie
C’è chi piange per l’insofferenza di essere chiusi in casa.
Comunque siamo insieme dentro casa e scopriamo in questi giorni il profondo significato del detto: casa dolce casa.