Lettere di M. B. – Cronache di un medico contagiato da Covid-19 (4)

10 marzo

Oggi mi alzo con un’emicrania frontale sinistra mai provata prima cui si associa dopo un paio d’ore un dolore di stomaco del genere dei crampi davvero fastidioso; provo con un antinfiammatorio che di solito funziona dopo aver preso un Maalox, ma nulla. Questo mal di testa sarà la mia compagnia lungo tutto il giorno.
Il telefono squilla sempre, non è cambiato nulla da ieri: si va da chi ha bisogno di essere rassicurato, a chi chiede giorni di malattia o delucidazioni. So che qualcuno tramite Don Mauro mi ha chiesto che cosa significasse “continuità assistenziale”: in pratica è la classica guardia medica. In vigore la notte e nei giorni festivi in tutta Italia, qui nella mia zona funziona anche dalle 14 alle 20 di ogni pomeriggio per aiutare i medici di famiglia in difficoltà.
Fare il medico al computer e al cellulare non mi piace affatto. Io per visitare il malato ho bisogno di toccarlo, ho bisogno anche del contatto fisico, del dare e ricevere un abbraccio, una stretta di mano. Confesso che è dura, mi sembra l’antitesi del mio mestiere. Ma è assolutamente giusto in questi giorni comportarci così se vogliamo che ciascuno con la propria piccola goccia possa fermare questo virus e vincere questa guerra.
In questi giorni sono davvero piacevolmente stupita delle mie figlie che nonostante alcune piccole defaillance dovute allo stare troppo in casa insieme cosa cui nessuna era più abituata, si stanno davvero comportando bene. Si sono messe a seguire le lezioni online e pure pensano a tenere in ordine la loro camera e un po’ la casa. Anche perché, per precauzione, la signora che ci dava una mano in casa non viene più: abbiamo preferito lasciarla a casa per le canoniche due settimane.
Mio marito invece, che lavora da solo in ufficio, va al lavoro solo mezza giornata così può cucinare e pensare un po’ a garantire una parvenza di normalità in casa: almeno i pasti ci sono.
Certo, riflettevo, noi siamo fortunati. Per farci la nostra quarantena dobbiamo stare in casa ma non viviamo in un appartamento in città. Abbiamo la fortuna di vivere in mezzo al verde e quindi non appena passa la febbre e il male di ossa possiamo fare una passeggiata per i monti o per una mulattiera o nel giardino o nei campi dietro casa in totale solitudine. Queste passeggiate davvero mi rigenerano perché non c’è come vedere la primavera che sta sbocciando nonostante tutto, per sentire che la vita continua: primule e violette, peschi selvatici e mandorli in fiore. Sentire il rumore del ruscello che scende lungo la valle mi consola. Il suo suono è più forte delle campane a morto o delle sirene. Bastano queste sensazioni a coccolarmi e ad aumentarmi le difese immunitarie. Così sento nel cuore che ce la faremo
Sono prima di tutto un medico che non riesce assolutamente a fare a meno di esserlo. Lo sono prima che moglie e madre. Non riesco a tacere il dolore che ho sentito oggi quando ho ricevuto la notizia del decesso di un altro mio paziente cui ero affezionata: erano marito e moglie soli, l’uno per l’altra con i figli all’estero.
Telefono in serata alla vedova e parliamo brevemente. I figli devono decidere se venire e stare poi in quarantena due settimane con lei o se aspettare che tutto finisca.
L’emicrania non mi lascia ma concludo la giornata senza febbre.