
Lettere di M. B. – Cronache di un medico contagiato da Covid-19
M.B. è medico, donna, madre e moglie. Esercita in un paesino del nord Italia e desidera condividere con il blog la sua esperienza. Mantenendo la discrezione necessaria racconterà quello che riterrà opportuno l’emergenza che sta colpendo tutto il paese.
Sono M.B. un medico di famiglia ai tempi del corona in un paesino del nord Italia in zona gialla, ora zona rossa.
Tutto è iniziato Domenica 23 febbraio, per noi la Domenica di Carnevale tra il giovedì e il martedì grasso.
Nessuna sfilata di carnevale.
E pensare che in paese era tutto pronto: un carnevale davvero ben pensato con tanto di tema e di sfilata con carri. Non se ne vedeva uno così ben organizzato da anni.
Sospeso tutto perché è arrivato un ospite tanto inatteso quanto inopportuno, della grandezza di poche decine di nanometri che visto al microscopio elettronico rivela un’immagine che ricorda una corona reale o una corona solare.
È un Coronavirus, della stessa famiglia del banale raffreddore, e per il quale in nessun angolo del mondo è stata finora trovata una cura. Da noi si dice che ci volevano “tre giorni a venire, tre giorni a stare, tre giorni ad andare”. Sono i nove giorni canonici lungo i quali, con il cuore in pace e tanti fazzoletti usati, il raffreddore ti resta addosso.
Per comodità è stato abbreviato ma, anziché diventare più mansueto, ha assunto un suono sinistro e sta lasciando il vuoto attorno a sé. Si chiama SARS-CoV-2 che causa la malattia denominata COVID -19.
Fa paura perché non si conosce.
Fa paura perché è nuovo. Fa paura perché è modificato ed è di elevata contagiosità e questo fa ancora più paura (e scusate le ripetizioni). Noi umani siamo sì evoluti tecnologicamente ma non siamo certo pronti a sostenere una pandemia di queste proporzioni. Qualora tutti lo prendessero contemporaneamente anche se pochi fossero da ospedalizzare, sarebbero sempre troppi con, in prospettiva, la stramaledetta polmonite interstiziale che va intubata.
E così, soprattutto nelle zone ad alta densità di popolazione, come qui al nord Italia, si sta diffondendo molto molto rapidamente.
Ecco l’importanza delle norme che l’OMS ha prontamente diffuso e che vanno assolutamente seguite.
24 febbraio
Mentre si susseguono i comunicati ufficiali di Ministero, Regione e Ats, che stampo e cerco di leggere in tempo reale, mi arrivano dai social foto assurde che non avrei mai voluto vedere. Da ieri pomeriggio, i supermercati della nostra zona sono stati letteralmente presi d’assalto e svuotati. Così scopro che mentre io, in quel paio d’ore, leggevo le mail a passeggiavo nel bosco sola con il mio cane, la gente era andata ad incontrarsi – stipata in file enormi – alle casse dei discount della zona, per far scorte di cibo: ma perché? È arrivato un virus nuovo e molto contagioso, non una bomba radioattiva o una carestia globale: i rifornimenti non sono a rischio. E il primo giorno ci comportiamo proprio nell’unico modo in cui non dovremmo.
E questo avrà delle conseguenze.
25 febbraio
Le mie tre figlie sono a casa.
La scuola e l’università sono chiuse
La palestra è chiusa
La squadra di pallavolo è ferma, gli allenamenti sono interrotti.
Il catechismo è fermo
Le lezioni di pianoforte sono ferme
I cinema chiusi.
Questo significa che da un giorno all’altro siamo stati obbligati a passare da una vita frenetica dove si doveva incastrare tutto, al nulla. Proprio al nulla.
All’inizio, come accade sempre, tutto ciò può trasmettere una carica e una freschezza inaspettate e così vedo che tra un rientro in casa e una telefonata, le mie figlie recuperano le forze e il sonno. Si sono messe a sistemare gli appunti, la cameretta, e non mi va di dire che ci voleva il coronavirus.
Escono a fare una bella camminata per sentieri qui attorno. Godono il fatto di non dover perdere un sacco di tempo per i viaggi giornalieri in università.
27 febbraio
I pazienti cominciano a capire l’importanza di tenere le distanze, di lavarsi frequentemente le mani bene, di non darsela la mano quando ci si saluta, che devono telefonarmi per avere un appuntamento in ambulatorio perché sono tanti e non possono venire sperando che non ci sia nessuno. Non è facile, non fila tutto liscio. Prima erano abituati a venire senza appuntamento, per lo meno in alcuni giorni della settimana.
Ringrazio che ci siano i social, i cellulari, whatsapp. Quanto sono d’aiuto per raggiungere i più in questo periodo. Anche se non tutti li usano.
28 febbraio
Da oggi, dopo un giorno di emicrania, mi sono iniziati dolori davvero fastidiosi a muscoli e ossa, agli arti inferiori e alla schiena. Sono dolori che poi passano e mi lasciano tranquillamente lavorare con un antinfiammatorio o del paracetamolo. Sono sintomi collaterali che ho trovato in vari pazienti. Non sento più sapori e odori: mio marito è in questa condizione da due giorni.
Non ho febbre.
Le mie figlie invece stanno bene, e se devo essere sincera, non sono preoccupata per loro. Sono ragazze giovani e in questo caso l’età aiuta molto. Sono sane e con un sistema immunitario forte. Inoltre, come se non bastasse, da me sono sempre state spinte a prendere spremute o acerola e a camminare molto all’aria aperta, lungo tutto l’inverno.
4 marzo
Oggi vado da due pazienti a casa loro.
Uno è anziano, ma fino a ieri guidava l’auto ed era lui che accudiva la moglie quasi in tutto. Ora ha febbre e una brutta tosse associate a nausea e inappetenza. Dice che vuole vedere me, cioè il suo medico e vuole essere visitato. Arrivo tutta bardata e mi guarda con i suoi occhioni azzurri. Gli si legge in viso che è preoccupato “per ‘sto corona”…
I figli amorevolmente si alternano ad accudirlo e il telefono squilla ininterrottamente. A volte confesso sono esausta, ma quando all’altro capo sento persone anziane soprattutto sole, una figlia sola in casa ad accudire il papà anziano perché nessuno viene più a darle una mano, o ancora mamme spaventate perché i figli presentano febbre e tosse, mi tornano le forze, e mi ripeto: forza! siamo forti! le nostre difese risponderanno! E a chi mi chiede consigli preventivi non accusando ancora febbre o tosse dico perentoria: “Abbiamo le nostre difese. Rinforziamole con spremute, frutta e verdura, vitamina C, camminate nel bosco o comunque lungo il fiume. E pensando positivo, non facendoci prendere dalla paura né tanto meno dal panico che tagliane le gambe anche alle nostre difese immunitarie
Se non si accusano febbre associata a problemi respiratori ingravescenti, non c’è da temere però c’è da riposare, da non strafare.
E per noi non è facile rallentare, demandare, aspettare. Mi chiedono del tampone? Dove possono andare a farlo? Chi devono contattare… no no: spiego che non funziona così. Il tampone ha senso e lo fanno solo in ospedale ai casi conclamati che devono ricoverare o che devono dimettere al domicilio in isolamento per due settimane. Altrimenti è inutile: in queste nostre zone con tosse, febbre, cefalea, poliartralgie e un poco a volte di affanno è quasi sicuramente infezione da coronavirus e quindi si parte con i consigli cui già accennavo: paracetamolo, riposo a casa bevendo molte tisane, suggerendo da subito che ci vorrà pazienza e fiducia perché purtroppo è lungo e deve fare il suo corso: quindici giorni servono tutti!!
5 marzo
Al telefono e con whatsapp per dodici quattordici ore al giorno cerco semplicemente di contenere l’ansia e di normalizzare con consigli medici e vicinanza umana, ciò che normale non è più; di calmare gli animi e di mitigare le paure.
Confesso che anche io a volte ho paura. Ho paura quando apprendo che il mio giovane collega è stato pure lui intubato. Paura quando sento che mancano infermieri e medici per assistere i pazienti. Paura quando so che non ci sono i mezzi di soccorso sufficienti a far fronte alle chiamate. Però è una paura spesso frutto della stanchezza estrema, figlia dello sfinimento.
6 marzo
Sono in ambulatorio.
Rispondo alle telefonate per inviare i giorni di malattia, fare ricette e soprattutto per ascoltare al telefono pazienti di cui ormai conosco la quotidianità e pazienti con sintomatologia appena insorta.
Mi chiama il figlio del pazinete anziano che ho visto ieri al domicilio. È a terra, non respira più, è ancora caldo. Arrivo subito. È il primo decesso da coronavirus tra i miei pazienti.
Scrivevo che dobbiamo seguire le preziose norme precauzionali dateci per contenere il contagio. Quindi come non mi è consentito dare coccole e baci a mia figlia, non posso dare la mano o una pacca sulla spalla ai miei pazienti, o un abbraccio a questi figli attoniti che in tre giorni si sono visti portar via l’anziano papà già molto acciaccato papà: e allora facciamo parlare gli occhi. Sono lo specchio dell’anima. Ma sono molto di più ora: sono tutto, insieme alla parola. Sono conforto, sostegno, vicinanza: La tenerezza passa dagli occhi perché solo quelli si vedono attraverso la mascherina e gli occhiali trasparenti e dalla voce. Con occhi e voce posso dire che ci sono, sono con te, siamo tutti nella stessa barca. Insieme.