IlSismografo – Cambiamenti sostanziali nel rescritto per ottenere la dispensa presbiterale
Paolo Falcone segnala al blog questo articolo apparso su Ilsismografo (José Manuel Vidal – Articolo pubblicato il 23.9.2019 in Religión Digital – Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli)
I preti che lasciano il ministero possono servire le loro comunità e insegnare nei collegi e nelle università della Chiesa. Da “traditori”, quasi appestati ed esiliati a fratelli dispensati. Cambiamento assoluto e radicale nella procedura che devono seguire i preti che lasciano il ministero e richiedono la dispensa. Cambiamento nel tono e nella sostanza del documento, tecnicamente chiamato “rescritto”. Era uno degli argomenti in sospeso di papa Francesco, che solo pochi mesi fa ha appena approvato tramite la Congregazione del Clero, presieduta dal cardinale Stella.
Questo cambiamento sostanziale o svolta totale nella procedura per ottenere la dispensa dal celibato e dall’esercizio del ministero sembra essere parte di un movimento più ampio, che contempla l’ordinazione di uomini sposati e la possibilità che i preti dispensati possano riprendere l’esercizio del ministero e, naturalmente, insegnare religione e teologia nei collegi e nelle facoltà ecclesiastiche.
Il primo cambiamento sostanziale è quello del linguaggio utilizzato dal nuovo rescritto. Non si parla più di “secolarizzazione” del prete o della sua “riduzione allo stato laicale” (che comprendeva una chiara sottovalutazione del laicato), ma di “dispensare” o “chierico dispensato”.
Diamo un’occhiata ad alcuni di questi cambiamenti fondamentali. Se al prete che lasciava il ministero prima non era permesso neanche continuare ad essere in contatto con la sua parrocchia, ora si chiede che gli si faciliti lo svolgimento di “servizi utili” alla comunità. In particolare, il numero 5 del rescritto recita come segue: “L’Autorità ecclesiastica si adopererà per facilitare che il chierico dispensato svolga servizi utili alla comunità cristiana, mettendo al suo servizio i propri doni e i talenti ricevuti da Dio” (n. 5).
Inoltre, il numero 6 aggiunge che “il chierico dispensato sia accolto dalla comunità ecclesiale in cui risiede, per continuare il suo cammino, fedele ai doveri della vocazione battesimale” (n. 6). Si elimina quindi alla radice il riferimento precedente all’«esilio» del prete, che recitava come segue: “il prete dispensato dal celibato e a maggior ragione il prete che si è sposato deve stare lontano dal luogo o territorio in cui è conosciuto il suo stato precedente” (n. 5f).
Si è anche totalmente eliminato l’obbligo prescritto dal precedente rescritto di imporre una penitenza al prete dispensato, perché si presupponeva che avesse commesso un peccato e avesse violato i suoi obblighi. Per questo stabiliva: “Verrà imposto all’interessato una qualche opera di carità o di pietà”.
D’altra parte, se il prete che chiedeva la dispensa voleva sposarsi (cosa abituale nella maggior parte dei casi), il precedente rescritto prescriveva che “l’ordinario deve prestare la massima attenzione affinché la sua celebrazione venga effettuata con discrezione, senza pompa o sfarzo” (n. 4). Cioè, nascondendo il sacramento del matrimonio del prete alla comunità. Come se ricevere un simile sacramento fosse, in questo caso e solo in questo, una vergogna o, peggio ancora, uno scandalo per i fedeli. Ora invece si dice solo che si celebri il matrimonio “rispettando la sensibilità dei fedeli del luogo” (n. 4).
Oltre ai cambiamenti di linguaggio, di tono e di normativa, il nuovo decreto scende ancora di più nel pratico e consente ai preti dispensati di poter continuare ad essere pastoralmente attivi. Infatti, il precedente rescritto prevedeva quanto segue: “Il prete dispensato è escluso dall’esercizio dell’ordine sacro… e non può fare omelie o ricoprire alcun incarico di direzione nell’ambito pastorale, né gli si potrà conferire alcuna responsabilità nell’amministrazione parrocchiale” (n. 5b) e “non può esercitare in nessun luogo la funzione di lettore, di accolito, o distribuire o essere ministro straordinario dell’Eucaristia” (n. 5f). Sebbene contemplasse la possibilità che l’Ordinario della diocesi potesse derogare ad alcune o anche a tutte queste clausole (n. 6).
Il nuovo rescritto proclama: “Il chierico dispensato può esercitare gli uffici ecclesiastici che non richiedono l’Ordine sacro, con il permesso del Vescovo competente” (n. 5a).
C’è anche un cambiamento sostanziale nelle funzioni che un prete secolarizzato può svolgere in istituti dipendenti o meno dall’autorità ecclesiastica. Il rescritto precedente diceva che “non può svolgere l’incarico di direttore in istituti di studi superiori che in qualche modo dipendano dall’autorità ecclesiastica” (n. 5c), senza eccezioni. Ora, “tale proibizione può essere rimessa dalla Congregazione del Clero, su richiesta del Vescovo competente e dopo aver consultato la Congregazione per l’Educazione Cattolica” (n. 8).
Inoltre, il rescritto precedente diceva che “negli istituti di studi superiori, dipendenti o meno dall’autorità ecclesiastica, non può insegnare nessuna disciplina teologica o con essa strettamente connessa ” (n. 5d), senza eccezioni. Ora “tale divieto potrà essere rimosso dalla Congregazione per il Clero, su richiesta del Vescovo competente e dopo aver consultato la Congregazione per l’Educazione Cattolica”.
Il rescritto precedente diceva che “negli istituti di studi inferiori dipendenti dall’autorità ecclesiastica non può esercitare un compito direttivo o di insegnamento di discipline teologiche. Il prete dispensato è tenuto dalla stessa norma per quanto riguarda l’insegnamento della religione negli istituti similari non dipendenti dall’autorità ecclesiastica” (n. 5e), sebbene contemplava il fatto che l’Ordinario della diocesi potesse derogare a questa specifica clausola (n. 6).
Nell’attuale rescritto si dice semplicemente che può farlo, “considerando le circostanze concrete, secondo la prudente valutazione del Vescovo competente” (n. 7).
Il rescritto precedente diceva che “non può svolgere alcuna funzione in seminari o istituti equivalenti” (n. 5c); ora si parla solo del fatto che “non può svolgere funzioni formative” (n. 10).