Blog / Luciano Sesta | 23 Settembre 2019

Le Lettere di Luciano Sesta – Suicidio cristiano?

Ieri mi sono imposto una penitenza. Ascoltare una tavola rotonda mandata in onda da Radio Maria su “Suicidio assistito ed eutanasia”. Tre ospiti e un conduttore che, in un’ora e mezza di tempo, hanno ribadito ciò che si sapeva sarebbe stato ribadito (e questo è ovvio e legittimo), ma, con argomenti talmente confusi e contraddittori, da sfociare nella disonestà intellettuale nei confronti degli ascoltatori. Ho provato a prendere la linea per intervenire, ma non ci sono riuscito. Mi sfogo qui, limitandomi all’affermazione principale ripetuta dai tre ospiti e tralasciando tutti gli argomenti periferici (e spesso imprecisi) usati per dimostrarla.

“La vita è un bene in se’, e nessuno può decidere a quali condizioni è degna di essere vissuta”.

Questo è falso nello stesso cristianesimo, per il quale si può rinunciare alla propria vita per valori più alti, come la testimonianza di fede o la castità. Una vita vissuta al prezzo della propria fede o della propria castità, per un cristiano, non è degna di essere vissuta. E ciò è talmente vero, che se sono in gioco questi due beni più elevati, è lecito non solo accettare di perdere la vita nel martirio, ma anche decidere di togliersela con il suicidio. Diversamente la Chiesa non venererebbe come sante le vergini che, nell’antichità, si uccisero pur di non essere violentate (Pelagia, Apollonia, Domnina e le sue figlie, fra le altre). Se la vita fosse un bene in se’ e fosse sempre degna di essere vissuta, allora dovrebbe esserlo anche la vita di chi ha dovuto rinnegare la propria fede o perdere la propria verginità fisica.

L’obiezione potrebbe essere che una cosa è accettare di essere uccisi in nome di Cristo, altra cosa è uccidersi per un qualsiasi altro motivo. Ma le vergini si suicidarono, appunto, non furono uccise. Lo stesso San Girolamo, non a caso, scrive: “Non è lecito uccidersi neppure nelle persecuzioni, tranne il caso in cui sia in pericolo la castità” (Commentatorium in Ionam prophetam liber, 1, 16).

E non si tratta di posizioni sorpassate. Nel 2011 Benedetto XVI ha infatti beatificato 5 suore che, nel 1941, a Sarajevo, si gettarono dalla finestra della caserma in cui erano state recluse, pur di non essere stuprate dai loro aguzzini. Com’è possibile che la stessa Chiesa che condanna il suicidio di un disperato che si toglie la vita in preda a sofferenze insopportabili lodi poi, fino a considerarlo un gesto di santità, il suicidio di persone che non intendono rinunciare all’immagine che si sono fatta di se stessi? Perché di questo si tratta. Se la sofferenza di un tetraplegico cieco, paralizzato e quasi sordo, rende peccaminoso il suicidio, perché dovrebbe invece renderlo santo la sofferenza di chi ha perso la verginità fisica o di chi fa fatica ad accettare di non essere il cristiano che credeva di essere?

Per non parlare del suicidio altruistico di chi, ormai malato e prossimo alla morte, toglie il disturbo per liberare i propri cari dal peso che la sua assistenza richiede. È un gesto drammatico, che non voglio qui giudicare, ma che certamente potrebbe risultare ben più nobile del suicidio di chi, non riuscendo a sopportare l’idea di non aver avuto il coraggio richiesto da una vera fede, si toglie la vita.

Se la vita è un bene in se’ sempre degno di essere vissuto, perché coloro che si uccidono per non perdere la castità dovrebbero andare in Cielo mentre coloro che si uccidono per amore degli altri dovrebbero andare all’Inferno? Non ci sarà, nel primo suicidio, un Dio confuso con l’Io? Purtroppo a Radio Maria, di questo e di tanto altro, non sospettano lontanamente…

PS. Si dirà: ma la Chiesa non sostiene affatto che i suicidi vadano all’inferno, perché Dio è misericordioso. È vero. Ma si sappia che questo lo si dice solo ora, più precisamente dal 1983, nel nuovo Codice di diritto canonico, che non nega più le esequie religiose per i suicidi, ora “affidati alla misericordia di Dio” (Catechismo della Chiesa cattolica, 2283).

Luciano Sesta, sposato e padre di quattro bambini, è docente di Storia e Filosofia nei Licei Statali Insegna Antropologia filosofica e bioetica all’Università di Palermo, ed è stato membro dell’Ufficio della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo. Ha pubblicato numerosi saggi nell’ambito della teologia morale, della bioetica e dell’etica

 

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