Alessandra Bialetti / Blog | 29 Luglio 2019

Le Lettere di Alessandra Bialetti – Chiedete e vi sarà dato: donaci la caduta

Gen 18, 20-32; Col 2, 12-14; Lc 11, 1-13

Welcome at Rebibbia: questo recita il muro della metropolitana quando esci dal sottosuolo. Qualcuno si è divertito evidentemente. Guardandosi intorno c’è poco da stare allegri. La via Tiburtina è un continuo cantiere che costringe a rocamboleschi slalom tra muretti, buche, transenne. Cattedrali nel deserto, un tempo sedi di lavoro, ora pericolosi rifugi in cui puoi trovare di tutto. Fermate di autobus in cui hai paura a sostare per un tempo che non sai quanto potrebbe essere lungo. Eppure qualcuno scrive welcome, benvenuti. Cerco di capire cosa sento leggendo quella scritta e trovo la riposta in un contesto assurdo che conduce a un luogo ancora più dimenticato. Quando mi avvicino alle mura del carcere inspiegabilmente provo un senso di pace, di calma, il tempo si ferma e con lui tutte le corse e faccende del fuori. Assurdo tutto questo, devo essere malata, ma è quello che provo perché ho la certezza che lì dentro mi aspetta qualcuno di importante che non guarda al dissesto delle strade o alle cattedrali dimenticate ma semplicemente alla voglia di incontro, di un piccolo tempo passato insieme, di parole da dirsi e da scambiarsi. Quindi sì, benvenuti in un’altra atmosfera, in un altro clima. Ve lo consiglio, almeno una volta ma vi avverto che potrebbe non essere l’ultima perché là dentro vive stabilmente il giocoliere.

Piove come solo questo dissesto climatico può far piovere: diluvia, scardina, trascina via tutto, crea disastri su una Roma già aggravata da mille problemi. Rebibbia è al buio da tutta la notte, sono saltati i generatori e stanno cercando una soluzione. Le guardie carcerarie ci avvertono, quasi prendendoci in giro, che della messa non si parla, nello scantinato, ovvero la cappella, regna il buio e la luce salta di continuo. Ma Don Antonello non si arrende facendo quasi perdere la pazienza alle guardie. Scende, apre la porta e… la luce c’è, la messa si celebra. Io sorrido tra me e me: so di chi è opera. Di chi non si ferma davanti a un temporale, a generatori che saltano, a guai a cui non si riesce a mettere rimedio. Di chi non si ferma davanti a nessuna imperfezione soprattutto la nostra, davanti a nessuna vita sbagliata. Nota di servizio: durante tutta la messa la luce non è mai mancata. Siamo tutti stanchi, fuori e dentro e oggi abbiamo dimenticato le chitarre. M. ci chiede se non si suonerà e mi sento un po’ in colpa per quella dimenticanza perché per loro una messa animata è altra cosa. Ma M. riprende: “L’importante è che siete con noi, che stiamo insieme”. Prima catechesi: noi che siamo quelli delle cose perfette, delle prestazioni eccellenti, dei risultati egregi, noi che spesso viviamo di immagine per non sfigurare, siamo messi in ginocchio da un detenuto che invece punta sulla relazione, sulla qualità dello stare insieme, sull’importanza di esserci, semplicemente esserci. Il Dio che passa e scrive dritto sulle righe storte, il Dio che si siede sulla terra e invita a fargli compagnia là dove si trova, senza cerimoniali, senza ufficialità: ciò che conta è esserci.

La prima lettura parla di un Dio che non distruggerà la città anche se si dovesse mobilitare per un gruppo esiguo di persone giuste o ingiuste che siano. E qui cosa si vuole cavare da un carcere? Di “giusti” quanti ce ne possono essere e vale la pena investirci? La domanda è per tutti noi quando calcoliamo se sia fruttuoso scommettere anche su una sola persona, su un solo rapporto, su un solo figlio, madre, padre, amico. Se sia “economico” impiegare forze e risorse per stare accanto all’altro, se non convenga invece quantificare costi e benefici, vantaggi e svantaggi. Seconda catechesi: per Cristo nessuno è perso, nessuno è immeritevole di essere visitato, di essere incrociato sul cammino. Cristo non ha il bilancino in mano siamo noi che lo abbiamo inventato e lo usiamo di continuo. Una logica assurda quella di Gesù, ma la sua logica, l’unica che veramente funziona.

Don Antonello invita a riflettere proprio sul significato di logica: quale sistema, quale ragionamento vige nella nostra vita? Ognuno ha la sua ma tutti siamo affetti dalla stessa malattia: il potere, il dominare l’altro e non servirlo, l’essere più furbi, smaliziati. Praticamente la fine di ogni relazione perché dove c’è potere e dominio l’altro ha paura, resta vicino perché dominato, perché sotto scacco, non si fa prossimo per scelta ma per timore di essere travolto. E’ la legge del boss che tiene tutti sotto scacco e asserviti al potere, al terrore ma non la logica del Cristo che non è padrone ma padre, non è vendetta ma misericordia, non è tagliare le gambe ma rilanciare la corsa, un Cristo che accetta di perdere ogni potere e disporsi anche a essere messo in croce pur di salvare ognuno dalla cultura dello scarto, del rifiuto, del “caso perso”.

Anche oggi A. ha da dire la sua: “Qua dentro sembriamo tutti grandi e grossi, furbi e potenti ma l’unica grandezza è la piccolezza dell’altare che ogni domenica ci aspetta e invita a reinventarci, a diventare un tutto completamente diverso da quello fuori. Noi qui dentro stiamo riscoprendo l’essere padri, mariti, figli, fratelli, tutte cose che fuori non esistevano perché regnavano le sostanze, i furti, le rapine o anche peggio”. Ecco il senso del vangelo, di quel chiedete e vi sarà dato. Oggi nella cappella si chiede la caduta, il crollo dai troni di potere che si erano costruiti, la fine delle logiche di potere che non bastavano mai. Oggi si chiede non la libertà dal carcere ma di sperimentare il nulla, la povertà, lo sbaglio, di sentirlo bruciare e non dimenticarselo perché fuori presumi di aver capito tutto e ti trovi invece senza nulla. Chiedere di cadere? Un’assurdità Gesù, eppure… terza catechesi: “nella prosperità l’uomo non comprende” dice la Scrittura. La grazia della caduta, della nudità, dello sbaglio, del silenzio assordante di quando per l’altro non sei più nessuno e invece si fa presente la voce di un Dio che non smette mai di chiamare e di raccoglierci. Una caduta che ci fa sperimentare il dono dell’abbraccio. Difficile scegliere di non essere più temuto per il proprio potere ma amato per la propria fragilità e debolezza. Ma così è. Ascoltare una voce che non è nel tuono, nel rombo, nelle cose grandi impossibili da non sentire ma nella brezza leggera che richiede attenzione e silenzio per essere udita e fatta propria, noi che siamo invece abituati ai rumori assordanti e alle cose eclatanti.

In cella fa un caldo insopportabile, di notte domina l’insonnia e nell’insonnia, ci dice A. si va fuori di testa. I pensieri ti abbrancano, le preoccupazioni si moltiplicano, le sofferenze ti lacerano. Si vive una vigilanza pericolosa, dolorosa. Quarta catechesi: l’unica via è l’abbandono alla vigilanza del Cristo, che scende in quell’inferno, che non toglie il caldo ma abita la disperazione, la fragilità, si fa compagno di ore che non passano mai, prende dimora in quella testa e in quel cuore che vanno per conto loro. “Chiedete e vi sarà dato”: ti chiediamo, Signore, non di rendere il nostro dolore un paradiso ma di abitarlo, di passare con noi quelle ore di insonnia esistenziale in cui rischiamo di perderci continuamente.

Alla fine della messa cammino per i corridoi, ripuliti e dipinti per le visite ufficiali ma non ti trovo, Gesù. Nella “mia” cappellina, nella “nostra” stanzetta sporca, scrostata, usurata dal tempo e dall’incuria, lì dove non dovresti essere perché luogo non dignitoso, lì hai deciso di abitare. Nelle cose piccole, immeritevoli e dimenticate. Meno male.

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.