Le Lettere di Marco Giranzani – Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi!

Marco segnala questo articolo e lo introduce così:

Ho letto questo articolo in cui si parla della terribile pratica degli stupri di guerra in particolare su maschi adulti, adolescenti e bambini e questa piaga si intreccia al tema dell’omofobia che subiscono le vittime delle violenze sessuali, accusate – esattamente allo stesso modo con cui troppo spesso vengono rimproverate le donne vittime di stupro – di aver provocato i loro aguzzini. Giungo è il mese dell’Orgoglio LGBT+ e ancora ci sono cattolici – anche se la loro è una minoranza – che avversano con virulenza i Gay Pride in nome di una complessiva ignoranza di questa importante manifestazione colorata e pacifica, trincerandosi dietro quei più unici che rari versetti biblici che condannerebbero l’omosessualità ma soprattutto dietro dottrine umane troppo umane ben poco conformi al Vangelo. Fra le varie critiche che invero suonano come condanne c’è quella del Peccato di Sodoma e Gomorra, e a tal proposito mi sono sempre chiesto: può davvero Dio condannare gli innocenti assieme ai malvagi? La risposta che mi sono sempre dato, dacché ho memoria, è un secco e risoluto No; stando tuttavia alla nostra morale sessuale cattolica parrebbe di sì visto che ad esempio la masturbazione è condannata assieme allo stupro, l’omosessualità assieme alla pedofilia… Ecco dunque la verità che appare leggendo questo articolo tremendo ma molto interessante: gli stupri, che siano di guerra o verso Ospiti Stranieri, che sono agiti come mezzo per sottomettere le persone annientandone la dignità e compromettendo la loro stessa vita futura – questo è il Peccato di Sodoma e Gomorra, non certo l’omosessualità, l’amore e le coppie delle Persone LGBT+, né tantomeno le famiglie arcobaleno.  Questa verità rende libere le Persone LGBT+, e questa Liberazione viene da Dio e dal Vangelo che considera Beati gli ultimi, gli emarginati, i perseguitati, i poveri e suscita la loro Promozione Umana!

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“Era seduto con il suo fucile AK-47 in mano e quando mi avvicinai me lo puntò sulla fronte. Non so perché mi ricordo sempre – è un’immagine ricorrente – che la bocca dell’arma sembrava bucherellata, come usurata. L’uomo mi disse che dovevo fare quello che voleva lui. Mi portò in una stanza e io pensai che mi avrebbe ucciso. Lì abusò sessualmente di me. Avevo dodici anni. La prima cosa che ti lascia un’esperienza del genere è una sensazione di sporcizia, di disgusto. Rimani in silenzio, hai paura che lo venga a sapere qualcuno. E quella cosa diventa un fardello terribile. A quell’età fu una tortura, un trauma tremendo. Sono diventato ribelle, mi sono depresso, ho perso interesse per lo studio, mi sono isolato”. Moreno (nome di fantasia) è uno dei 650 uomini stuprati nella guerra tra esercito e Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC). Lui è stato violentato da un soldato nel 1999.

E negli anni successivi, fino al 2006, la violenza sessuale è stata usata ancor più frequentemente come arma di guerra: soldati, guerriglieri e paramilitari hanno abusato di migliaia di donne, ma anche di centinaia di uomini (si calcola che rappresentino il 12% circa delle vittime), intorno ai quali però la nebbia del silenzio e della negazione rimane sempre fitta. E sono le donne a combattere per diradarla, perché loro hanno combattuto e vinto demoni e sono riuscite, organizzandosi insieme, a tornare protagoniste delle proprie vite nonostante il trauma della violenza. Un percorso che gli uomini da soli non riescono neppure ad immaginare e per questo associazioni femminili come l’Unità delle vittime o il Tavolo nazionale delle vittime oggi tendono loro la mano.

Gli uomini violentati non subiscono soltanto danni psicologici e fisici, ma devono affrontare anche lo stigma di una società machista ed omofobica: quando riescono, tengono segreta la violenza e non chiedono aiuto a nessuno, perché, se la notizia diventa pubblica, sono additati come omosessuali, emarginati dalla comunità, abbandonati dalla famiglia. “Mia moglie lo scoprì e non mi guardava più come prima – racconta al Tiempo un uomo violentato da due soldati nel 2006, quando era uno stimato insegnante – Dopo un po’ ci siamo separati, perché lei mi cacciò. Venti anni di matrimonio distrutti da quello che era successo: figuratevi che mi accusò di averlo provocato”. L’abuso sessuale subito diventa una colpa che crea pressioni interiori ed esterne insopportabili: molti uomini violentati finiscono per suicidarsi.

Sono questi effetti di annullamento della vittima e della sua autorevolezza che spingono i combattenti ad abusare sessualmente di leader politici avversari, di sindacalisti, di attivisti per i diritti umani. O dei loro figli. Uccidere queste persone non basta, perché loro rischiano di diventare martiri e le loro idee di sopravvivere. Lo stupro, invece, li polverizza agli occhi della comunità, distruggendo anche la loro eredità morale. Sono meccanismi terribili conosciuti bene da eserciti e milizie di tutto il mondo, come ricostruisce il rapporto “Nel mainstream: affrontare la violenza sessuale contro uomini e ragazzi in guerra” di Refugee Law Project, Plan e War Child UK [Refugee Law Project], ma ignorati dalle istituzioni nazionali e dalle organizzazioni internazionali.

Secondo questo rapporto, 62 stati, in cui vivono quasi i due terzi della popolazione mondiale, non riconosce neppure la possibilità che un uomo possa subire uno stupro e addirittura 67 stati criminalizzano gli uomini che denunciano di avere subito una violenza sessuale. Ma non sono solo questi dati a preoccupare: la risoluzione 1325 adottata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU nel 2000, se giustamente condanna gli abusi perpetrati contro donne e bambine, dà per scontato che le violenze possano essere rivolte solo contro di loro. E delle 4mila organizzazioni umanitarie che  si occupano anche di abusi sessuali, solo il 3% cita nei propri documenti (di solito solo con un riferimento en passant) gli stupri contro uomini e bambini.

Rompere questo silenzio e affrontare il problema è urgente per cercare di fermare le violenze, di restituire dignità alle vittime, di affrontare una mentalità maschilista che sta alla base degli abusi commessi contro tutti questi uomini e contro un numero ancora più alto di donne.

Pier Cesare Notaro