Se “mi” racconto mi conosci – Tutte le Luz che ripartono nella «Corte» di periferia
Luz lascerà fra qualche settimana la Casa di Accoglienza di Arché, a Milano, dove ha vissuto negli ultimi anni, con la sua bambina. In tasca ha diecimila euro. Li ha guadagnati lavorando e ha saputo risparmiarli. Nessuno, in famiglia, le aveva mai insegnato a farlo. Ora sa occuparsi di sé, da sola. Vite che ripartono, dopo un periodo di fragilità. I volontari di Arché ne vedono ogni giorno. Ma sanno anche quanto sia difficile, per chi ha vissuto povertà e sofferenza, cercare una casa, un impiego, ritrovare relazioni e rapporti. Dice un proverbio africano, che «per educare un bambino ci vuole un villaggio intero». Una famiglia allargata, che lo protegga e lo incoraggi. Un po’ come avveniva nelle corti agricole, dove era normale aiutarsi a vicenda. Perché non solo i piccoli hanno bisogno di qualcuno accanto. Corti scomparse. E altre che stanno per nascere.
Il nuovo progetto
A breve nel giardino di Arché partiranno i lavori di costruzione della «Corte di Quarto»: il progetto con cui la onlus si apre al quartiere per creare nuovi legami e promuovere la nascita di imprese sociali. Quarto come Quarto Oggiaro, periferia di Milano. È qui, in via Lessona, che sorgerà la corte: un edificio di quattordici appartamenti, da costruire grazie a un finanziamento di UniCredit e l’aiuto da parte di altri enti e privati, come Enel Cuore e Fondazione Vismara. Chi ci abiterà? «In primis – spiega padre Giuseppe Bettoni (nella foto), fondatore di Arché – le mamme in uscita dalla nostra comunità muoveranno qui i primi passi verso l’autonomia». Ma non saranno sole. «Negli altri appartamenti potranno venire a vivere coppie o singoli, giovani o anziani: chiunque abbia voglia di condividere un pezzo della loro vita qui, sostenendo le mamme nel loro percorso. Sarebbe bellissimo se tutto l’arco generazionale fosse rappresentato». Un luogo dove ogni forza vitale del quartiere sarà la benvenuta. E poi un sogno: creare qui un distretto degli artigiani e coinvolgere le aziende della zona, per dare lavoro ai residenti e alle mamme. «Solidarietà, non assistenzialismo» è il motto di padre Giuseppe. La onlus ha dato l’esempio, avviando un laboratorio di sartoria con corsi aperti anche ai residenti e con progetti come «Ri Cucire». «Seguiamo 57 famiglie che stanno crollando sotto la soglia di povertà. Spesso sono nuclei stranieri, con molti figli. Stanno sempre coi connazionali, restano ai margini, c’è povertà – racconta la responsabile, Paola Ehsaei – educativa e economica. Noi cerchiamo di farli uscire da questa situazione: li facciamo seguire da un educatore finanziario e li reinseriamo nel tessuto sociale. Alle donne proponiamo di fare volontariato».
Un aiuto nel proprio quartiere. Lo hanno trovato Ashraf e Samah, egiziani, a Milano dal 2007 per far curare al San Raffaele uno dei loro figli. Da tre anni vivono a Quarto Oggiaro. «Nostro figlio maggiore studia informatica ed è negli scout, l’altro è in terza elementare. Oggi sentiamo l’Italia come nostra madrepatria: i nostri figli hanno appreso entrambe le culture. Nel quartiere abbiamo trovato sostegno e questo fa venire voglia di impegnarci per renderlo più bello». Solidarietà, ma anche spiritualità: «Nella riabilitazione della persona è uno strumento di potenza enorme. E alla Corte questa dimensione – spiega Padre Giuseppe – non mancherà, nel rispetto delle varie confessioni religiose e anche della non credenza. Ognuno di noi ha una spiritualità interiore, fatta di riti e preghiere, ma anche di condivisione profonda. E che produce grandi cambiamenti».
Tratto da Corriere della Sera – Buone Notizie