Se “mi” racconto mi conosci – Faustino, medico (in pensione) ora volontario di strada

«Piacere Faustino, Fausto per gli amici». Così comincia, con una stretta di mano e un sorriso, la chiacchierata con il patriarca dei medici di strada, Faustino Boioli, nel Poliambulatorio di via Padova 104, cuore multietnico di Milano, proprio dentro una viuzza che affianca il vecchio ponte della ferrovia. Immigrati irregolari e italiani senza tetto, emarginati di qualsiasi nazionalità che non possono o non sanno utilizzare la sanità nazionale hanno l’opportunità di rivolgersi a questa «banda di amici», come la chiama il Presidente, una onlus iscritta al registro del volontariato come Mvi, Medici volontari italiani. Esperienza ventennale di soccorso per le strade milanesi, con disponibilità di farmaci che Boioli mostra con orgoglio aprendo una porta del poliambulatorio su una stanzetta ben temperata con scaffalature piene di medicine pronte a rispondere alla richiesta degli «invisibili». Così li definisce Boioli. Gli invisibili. Oppure, più semplicemente, barboni.

Nel 2017 le visite sono state circa cinquemila, effettuate qui ma anche sul camper parcheggiato di sera a rotazione settimanale nei pressi della Stazione Centrale o di Piazza Santo Stefano. Un veicolo alquanto antiquato, adattato al ruolo, che adesso verrà sostituito da una nuova unità mobile, più confortevole. Boioli indossa con noncuranza i suoi 78 anni e il suo passato. A giudicare dalla barba e dalla battuta vivace non si direbbe che si porta sulle spalle una carriera di assessore in Provincia dal 1975 al 1985 e poi, fino al 1990, assessore in Comune nell’era Pillitteri: da quella lunga parentesi uscì, dice, «in maniera traumatica». Ricorda volentieri la militanza giovanile («entusiasmante anche se molto pesante») nel Partito comunista, non l’ultima fase dell’assessorato. Ne esce, dalla politica, sbattendo la porta, per ritornare al mestiere di medico, come primario e direttore del Servizio Radiologia del Fatebenefratelli per un quindicennio, con altri incarichi di prestigio. La pensione, il 1 gennaio 2008, trasforma in attività principale un’esperienza avviata dieci anni prima con la Fondazione San Francesco di via Moscova. La prima unità mobile risale al 2001, realizzata in Piemonte da un gruppo di medici del lavoro: «Era un cassone su telaio Ducati, senza riscaldamento, non potevi neanche toglierti la giacca a vento…». Un cimelio.

Che cosa è cambiato negli ultimi tempi? «L’aumento della spesa privata è un problema serio: non esiste più una pomata prescrivibile per l’allergia cutanea atopica… Qualche settimana fa un sioux metropolitano, disoccupato e senza dimora, si è presentato rosso dappertutto: non poteva permettersi di comperare uno o due tubetti di crema alla settimana… Il fatto è che il Servizio sanitario nazionale è stato impoverito anno dopo anno, e adesso gli ospedali sono sottorganico perché i medici che vanno in pensione non vengono sostituiti». Anche per questo sono diventati necessari i Medici Volontari, ormai più di una trentina, tra pensionati e dottori di famiglia in vena di lavorare nel tempo libero. «C’è stato un periodo in cui tutto sembrava dovuto, la gente arrivava e si spiaggiava qua, grazie alla politica dell’abbandono che si è riempita la bocca con l’accoglienza. Io non sono un buonista, perché la non-gestione dell’emigrazione è durata troppo tempo e ha fatto parecchi danni, trasformando in problema quella che i demografi considerano una risorsa».

Boioli parla di un’attività a soglia zero, cioè senza filtro e senza appuntamento: porte aperte a tutti. «Per noi non esiste emergenza, perché quando una situazione è grave anche i senza dimora sanno dove andare». Dove? In pronto soccorso. «E se non ricorrono ai medici di famiglia è perché si vergognano: preferiscono venire da noi per rimanere anonimi. Se un commerciante di Voghera si separa, gli va anche male il lavoro e finisce per strada, cosa fa? Si sposta a Milano, dove può restare nell’anonimato anche frequentando una mensa o dormendo in un buco fetente». I Medici volontari italiani si occupano di tutti: gli esclusi dalle cure perché clandestini e gli autoesclusi incapaci di sfruttare la sanità pubblica, o perché non vogliono. Tanti giovani egiziani, maghrebini, sudamericani. E gli italiani, dice Boioli, sono una quota crescente (sul 15 per cento): «Mai dimenticare che in Grecia, con il crollo economico, i morti per cattiva gestione della sanità si sono moltiplicati».

Discorso a parte per i bambini, le cui madri spesso vorrebbero evitare i pediatri e i medici volontari devono insistere perché si convincano, con le buone e con le cattive, a portarli dagli specialisti: «Spesso è una battaglia di logoramento: si fa un’enorme fatica a farsi capire dalle madri». Complicato farsi capire anche da chi viene a chiedere una medicina per suo fratello o per sua moglie. Tra tanti interventi ordinari, raffreddori, emicranie, coliti, sbornie da Tavernello o da… discoteca, ci sono i casi seri, come il barbone arrivato di recente con piaghe della scabbia, infezione da grattamento e febbre alta. Nel «delirio» quotidiano, la signora polacca un po’ matta è una vecchia conoscenza dell’unità mobile, Ma può anche capitare di imbattersi in un quarantenne statunitense che si dichiara rifugiato politico. E Faustino Boioli non smette mai di sorriderci sopra. Ostinazione a parte, se non avesse l’allegria che ha forse farebbe vita da pensionato: «Per fortuna ho una moglie che mi fa da retrovia, capisce e mi sostiene».

Tratto da Corriere della Sera – Buone Notizie