Gian Guido Vecchi – Krajewski, l’elemosiniere del papa: «L’ho fatto per quei bimbi, me ne assumo la responsabilità»
Condividiamo l’intervista al Cardinal Krajewski rilasciata al Corriere Della Sera
CITTÀ DEL VATICANO — Salvini sostiene che ora deve pagare le bollette arretrate, che ne dice?
«Da questo momento, da quando è stato riattaccato il contatore, pago io, non c’è problema… Anzi, pagherò anche le sue, di bollette». Il cardinale Konrad Krajewski ride sereno, «vede, non voglio che diventi una cosa politica, io faccio l’elemosiniere e mi preoccupo dei poveri, di quelle famiglie, dei bambini… Intanto, hanno luce e acqua calda, finalmente. Adesso tutto dipende dal Comune, aspettiamo che riaprano gli uffici…».
Quando Francesco, da poco eletto, lo chiamò a guidare l’Elemosineria apostolica — l’istituzione vaticana che coordina la carità del Papa è testimoniata dall’inizio Duecento in una Bolla di Innocenzo III — , gli raccomandò: «La scrivania non fa per te, puoi venderla. Non aspettare la gente che bussa, devi uscire e cercare i poveri». L’arcivescovo lo ha preso alla lettera.
Polacco, 55 anni, la notte gira per Roma con un furgoncino bianco e distribuisce viveri, coperte, soldi, aiuti vari. Si devono a lui molti servizi per i senzatetto aperti intorno al colonnato di San Pietro: il barbiere, le docce, il presidio medico, i bagni pubblici, i pasti caldi. Ha accompagnato i clochard a pranzo col Papa, li ha portati al circo, mostrato loro la Cappella Sistina, perché non si vive di solo pane. Da tempo i poveri della capitale hanno imparato a chiamarlo semplicemente «don Corrado», molti di loro non sospettano neppure che sia un cardinale. Guai a chiamarlo «eminenza», del resto. Francesco gli ha dato la porpora l’anno scorso e lui sorrideva solo all’idea: «Scherza? Quando mi chiamavano “eccellenza” facevo pagare 5 euro per i poveri, adesso almeno 10…».
Che cos’è successo nel palazzo di Santa Croce in Gerusalemme?
«Mi assumo tutta la responsabilità. E non devo dare spiegazioni, c’è poco da darne. Ci ricordiamo cosa accadde l’ultima volta che ci fu un blackout a Roma? Mancò la luce per poche ore e fu un dramma. Ecco, adesso s’immagini cosa può significare restare senza luce per sei giorni. Ci sono quasi cinquecento persone, in quel palazzo, un centinaio di bambini…».
Lo conosceva già?
«Ma certo, sono elemosiniere, conosco la situazione da tanto tempo. Dal Vaticano mandavamo l’ambulanza, i medici, i viveri. Stiamo parlando di vite umane. Guardi, sono appena tornato da Lesbo».
Dove ha guidato la delegazione vaticana in visita all’isola dove Francesco andò tre anni fa, nei campi profughi di Moria e Kara Tepe, portando i fondi perché la Caritas costruisca uno spazio giochi per i bimbi. Com’è la situazione là?
«Sono dei campi di concentramento. Eppure i soldi non mancano: sono le scelte che si fanno, il problema. E lì parliamo della periferia dell’Europa, i confini ai quali arrivano i profughi dalla Siria, l’Iraq, l’Afghanistan. La cosa assurda è che qui siamo nel cuore di Roma. Quasi cinquecento persone abbandonate a se stesse. Sarebbe bello combattere anche solo per una persona, si figuri 500».
In un certo senso, anche quel palazzo è periferia…
«Sì, e non è certo l’unico caso. Sgomberi, famiglie che non hanno un posto dove andare, gente che fatica a sopravvivere… Roma è anche questo, basta andare a farsi un giro nelle nostre stazioni. Dove sono finiti i diritti umani dell’Europa? Se qualcuno non capisce questo, provi a staccare la corrente a casa sua per qualche ora e vedrà che cosa vuole dire».
E le bollette non pagate?
«Si parla di soldi ma non è questo il primo problema. Ci sono i bambini. E allora la prima domanda da porsi è: perché sono lì, per quale motivo? Com’è possibile che delle famiglie si trovino in una situazione simile?».
È vero che sabato ha provato invano a chiamare gli uffici comunali perché riallacciassero la corrente?
«Sabato e domenica con chi potevo parlare, col portiere? A Roma il fine settimana non funziona nulla, salvo bar e ristoranti! Adesso aspettiamo la riapertura, speriamo intervengano».
Ma è stato lei a calarsi nel tombino per staccare i sigilli?
«Cosa vuole, era una situazione particolare, disperata… Lo ripeto: mi assumo tutta la responsabilità. Dovesse arrivare, pagherò anche la multa».
Uno degli inquilini dice che lei era pratico e in Polonia, prima di prendere i voti, lavorava in questo campo…
«Ma no, questo no! In Polonia abbiamo avuto un presidente, Lech Walesa, che era stato elettricista, si saranno confusi con lui! Io non sono un elettricista, sono un liturgista. Ma in fondo i liturgisti accendono candele, spostano i microfoni, qualcosa ne capiscono…».
Tratto da Il Corriere della Sera