Luigi Chiarello – La prima regola per chi è sotto attacco è riconoscere il proprio nemico (che non è l’intero Islam, ma una sua porzione radicale)
Per arricchire il dibattito a proposito del blog Agi sui tweet di Obama e della Clinton, segnaliamo questo articolo di Luigi Chiarello su ItaliaOggi
Le parole sono importanti. Ammetto che provo un certo fastidio quando leggo articoli in cui chi li verga si rivolge o scrive del Papa chiamandolo semplicemente: «Bergoglio». Solo per cognome. Perché così lo spogliano di ciò che è: il Papa. Lo derubricano a uno capitato lì, per caso. Gli sottraggono autorevolezza, quasi a sottendere che non è lui il vero Papa, ma Benedetto XVI (che volutamente non ho chiamato Ratzinger). È un non detto carico di significato.
Egualmente, penso che non sia intellettualmente onesto definire «fedeli» o «devoti» o «adoratori» della Pasqua (scegliete la traduzione che più vi piace) i Cristiani uccisi in preghiera, in Chiesa, in Sri Lanka, come, invece, hanno fatto Barack Obama e Hillary Clinton, nei loro tweet di solidarietà. Le persone trucidate dagli ordigni sono state definite «easter worshippers».
Attenzione, non è un semplice fatto di traduzione corretta, come alcuni media di area democrats vorrebbero far intendere, affermando che «i sovranisti dovrebbero imparare l’inglese»:
– Primo, perché la medesima e quasi contemporanea scelta dei termini usati dai due politici (quindi non è un caso, ma una precisa strategia di comunicazione) è stata stigmatizzata proprio a partire dagli Stati Uniti, dove pro e contro usano tutti lo stesso idioma. Ed evidentemente si capiscono tra loro, anche nelle sfumature linguistiche.
– Secondo, perché chi è morto in Sri Lanka, colpito dagli ordigni, è stato ucciso quanto «Cristiano», non in quanto generico «adoratore»: che sia della Pasqua, della dea Calì o di Bahà ‘u llàh, non rileva. E perché gli hotel che hanno subito attentati sono quelli più frequentati dagli Occidentali; dunque agli occhi dei jihadisti dai «Cristiani»: i nipotini dei «crociati»
Peraltro, occorrerebbe ricordare a Clinton e Obama, che erano i pagani romani a definire con disprezzo i cristiani «Adoratori della Croce».
Bisogna, allora, rivolgere una domanda semplice semplice ai due politici Usa e a chi li sostiene in questa tenzone dialettica. Quando ci fu la strage di Christchurch, in Nuova Zelanda, tutti parlarono apertamente di islamofobia e di attentato contro la minoranza musulmana. Giustamente, perché tale era l’attentato alle due moschee, che portò ad una strage : un crimine mosso da islamofobia. Perché allora non chiamare in questo caso ciò che accade col suo corretto termine? «Cristianofobia».
Muoiono cristiani, non generici fedeli. E gli jihadisti mettono le bombe negli hotel frequentati dagli occidentali per uccidere cristiani. Non tamil, non induisti, non musulmani.
Non solo: secondo una prima indagine i cui risultati sono stati comunicati dal viceministro della difesa dello Sri Lanka, Ruwan Wijewardene, la strage di Cristiani sarebbe proprio «una rappresaglia dello jihadismo radicale per gli episodi di Christchurch».
Perché, allora, non ipotizzare che questo attentato sia un contraccolpo della sconfitta del Daesh, i cui guerriglieri (giunti anche dal far east e orfani della loro causa) avendo fallito in Siria e Iraq, tentano ora di destabilizzare i paesi dell’Indocina più deboli, colpendo la minoranza più aggredibile? I cristiani in Sri Lanka sono il 6% e i musulmani il 9%.
Dunque, cosa vogliono annacquare Clinton e Obama? Cosa vogliono sostenere gli scriba che li difendono sul piano filologico-semantico, senza porsi il minimo dubbio? La prima regola dell’informazione è dare alle cose il loro nome. La prima regola per chi è sotto attacco è riconoscere il proprio nemico (che non è l’intero Islam, ma una sua porzione radicale).
La prima regola per chi combatte i terroristi è asciugare il loro consenso, identificarli e isolarli. Chiamandoli col loro nome.
Un mio carissimo amico musulmano era ospite a casa mia nelle stesse ore in cui scorrevano le immagini dell’attentato in Sri Lanka.
Io gli dissi: «Ancora non si sa chi è stato» (forse anche per non metterlo in imbarazzo. Una cautela pelosa, la mia …). Lui mi ha subito risposto: «Sono stati gli islamisti radicali. Lo hanno detto».
Lui li detesta. Perseguitano gli altri musulmani e destabilizzano nord Africa e medio Oriente. Il mio amico musulmano non ha paura di chiamare i criminali islamisti col loro nome. Né di dare un nome a chi li foraggia. O a chi li usa. E spesso chi lo fa dice di essere un nostro alleato. Sarà per questo che non si vuole dare il giusto nome alle cose?
Le parole sono importanti. In alcuni casi sono vita o morte.