Le Lettere di Alessandra Bialetti – Spalle al muro: esperienza di una mamma
Circa cinque anni di cammino insieme, uniti in cordata: gioie e dolori, sconfitte e vittorie. Poche parole per riassumere un percorso umano che racchiude il vissuto dei tanti genitori passati attraverso l’esperienza del gruppo di auto-mutuo-aiuto di Agedo (Associazione di genitori, amici e parenti di persone omosessuali, bisessuali e transessuali).
Collaboro da anni con Agedo e insieme a questi genitori abbiamo costruito uno spazio di ascolto e condivisione dei vissuti delicati e difficili affrontati da loro dal momento del coming out dei figli fino alla costruzione di nuove relazioni familiari improntate alla piena accoglienza del figlio e della figlia. Sono i genitori i protagonisti di questo cammino in cui il valore aggiunto e imprescindibile per arrivare all’elaborazione del lutto del figlio sperato, risiede proprio nella condivisione della propria sofferenza, dei dubbi, delle paure, dei giudizi e pregiudizi per tornare a essere punti di riferimento e guide sicure. Come conduttrice fungo solo da tramite per tenere insieme le storie, per sostenere la discesa nella propria storia delicata ma soprattutto per non rimanere vittime di sensi di colpa e giudizio verso se stessi. Con tutta onestà devo dire che negli anni è più ciò che ho ricevuto che ciò che ho dato. Con loro mi sono arricchita, interrogata, messa in discussione, ho aperto riflessioni che mi aiutassero ad abbandonare giudizi e pregiudizi per far posto all’accoglienza incondizionata dell’altro.
Oggi, di ritorno, dall’incontro di gruppo, sento il bisogno di condividere questa esperienza molto forte nel suo genere verso la quale chiedo a chi legge di non innescare l’immediato giudizio che, comprendo, potrebbe venire spontaneo, ma disporsi all’ascolto e alla riflessione con un atteggiamento più libero e accogliente possibile. Non voglio convincere ma solo far nascere pensieri che possano aiutarci a comprendere.
Angela (nome di fantasia per giusta protezione), oggi condivide il suo racconto di madre. Pochi giorni fa si è trovata a parlare con il figlio, omosessuale, del momento in cui lei attendeva la sua nascita. Racconta che se avesse saputo che il figlio avrebbe potuto essere portatore di una anomalia, non se la sarebbe sentita di portare avanti la gravidanza. Il figlio allora chiede se, conosciuta la sua omosessualità, avrebbe agito nello stesso modo. Il gruppo segue e ascolta con attenzione in attesa della risposta che arriva precisa e puntuale con grande, grandissimo coraggio. La risposta è stata un sì che ha creato il silenzio, un sì pronunciato con fatica e dolore ma con grande schiettezza e apertura. Angela è una persona che non si fa sconti, che affronta se stessa trattandosi a volte anche duramente. Non se la sente mai di mentire per non perdere la faccia, per salvare l’immagine della madre buona che accoglie sempre e che ha accettato tutto del figlio. Angela è in cammino, non riesce ancora a guardare all’omosessualità di suo figlio con riconciliazione, non ce la fa a immaginarlo in una relazione di coppia, in un’affettività che non capisce e non condivide. Con grande coraggio apre il suo cuore al figlio rischiando un rifiuto, accettando il suo sconcerto davanti a una verità scomoda. Ma non vuole mentire nemmeno a suo figlio, che ama più della sua vita, ancora non ce la fa ad accogliere quell’orientamento non previsto, quella diversità inattesa. L’educazione ricevuta, il percorso di vita, non le ha fornito gli strumenti per sostenere questa realtà. Li sta cercando dentro se stessa e nella condivisione con gli altri nel gruppo. Cerca risposte e non teme il giudizio, non teme di raccontarsi e di esporsi anche se la sofferenza è tanta. Chiede a se stessa e al gruppo se quella verità possa aver conseguenze nella vita di suo figlio. Il gruppo si interroga, cerca di immedesimarsi ma soprattutto di non formulare giudizi sulla bontà o meno di questa madre. Sarebbe facile “bollare” e ghettizzare. Sarebbe facile dire “io non lo avrei mai fatto o detto”. Difficile, invece, entrare nel vissuto, coglierne lo spessore. La verità costa, ha un prezzo altissimo ma il figlio di Angela sa che sull’onestà della madre potrà sempre contare e quando lo abbraccerà, e già lo fa di continuo, in quel gesto si celerà tutto: un amore infinito come anche la sofferenza di qualcosa che non si riesce ancora a elaborare. Ci vorrà tempo ma quella verità faticosa sta unendo due vite che si mettono in cammino insieme. Angela metterà al mondo suo figlio per la seconda volta. E questo figlio, anche col comprensibile dolore di quella risposta, oggi già vive un rapporto di forte verità con la madre: mai e poi mai, se non avesse avvertito l’amore profondo di Angela, sarebbe riuscito ad arrivare a quella domanda così tagliente, a cercare una risposta col rischio che fosse negativa. Laddove c’è amore c’è la libertà e la fiducia di un figlio che può chiedere e ricevere risposte. Semmai Angela pensasse di essere una cattiva madre per le difficoltà che vive, l’atteggiamento di totale affidamento del figlio sarebbe la risposta più eloquente. Da qui il cammino verrà, a carte scoperte con l’amore quotidiano che Angela nutre per suo figlio, pur con le sue difficoltà di accoglienza. Una verità, seguita e accompagnata dall’amore, sarà la loro carta vincente. E Angela sa che quella risposta presto sarà totalmente altro.
A noi restano due riflessioni. Quanto lavoro dobbiamo ancora fare per creare una cultura e una sensibilità che non giudichi e pregiudichi ma prepari, ascolti e accolga la difficoltà e sofferenza dei genitori davanti al coming out dei figli e delle figlie. Perché, come dice Angela, quando aspetti un figlio nessuno ti dice che potrebbe nascere con un orientamento o un’identità di genere diversi. Perché ai corsi preparto si attende un bambino o una bambina eterosessuale e tutto il resto non è contemplato. Perché non ci sono parole per definire qualcosa che non ha nome e luogo per essere legittimato. E questa è responsabilità di ognuno di noi in quanto società. E poi quanto dolore e quanta disperazione può vivere una madre per arrivare al pensiero di rinunciare alla vita che porta in grembo per la paura di ciò che la attende. Per la solitudine. Per il timore di una società che discrimina, esclude, stigmatizza. Davanti a questo spero che non scatti la condanna quanto invece la volontà di creare sempre più una rete intorno ai genitori delle persone omosessuali, bisessuali, transessuali, perché possano elaborare il loro dolore e riaprirsi alla vita. Perché non si sentano soli, perché non si sentano muti, perché non siano invisibili ma soprattutto condannati da una morale benpensante che invece di aprire le braccia costruisce barriere.
Mi auguro che questa sia la via. Che possano anche essere formati professionisti seri in grado di accompagnare le vite di questi genitori a trovarsi e ritrovarsi. Perché prendersi cura delle famiglie è prendersi cura di quei figli e figlie che attendono accoglienza, sostegno e amore. E’ prendersi cura di una società che non può più rimanere sorda, cieca e muta davanti alla vita di tante persone.
Ringrazio Angela, ringrazio il gruppo che con me ha vissuto questa forte esperienza, ringrazio Agedo per l’impagabile lavoro di accoglienza che svolge quotidianamente. Ringrazio chi avrà letto senza formulare un giudizio ma lasciandosi attraversare da questa storia e dal dolore che esprime in attesa di una nuova nascita.
Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.