METRO – Quei canti, tra i lapilli, verso il cielo
Cosa avremmo pensato se l’11 settembre 2001 la gente si fosse fermata sotto le Torri Gemelle di New York per farsi un selfie mentre stavano per crollare? Vent’anni fa i selfie non erano ancora esplosi né, grazie al Cielo, le fiamme della cattedrale di Notre Dame sono paragonabili a quelle che distrussero le Twin Towers causando migliaia di morti, ma vedere “la spettacolarizzazione social” della catastrofe che ha distrutto la Chiesa simbolo di Parigi ha qualcosa di blasfemo. Come fotografare qualcuno che sta percorrendo gli ultimi metri della propria vita. Il momento dell’agonia è da sempre sacro; ogni essere vivente cerca riparo nell’istante del nascere e del morire. Quei selfie però hanno dovuto immortalare anche i canti e la preghiera di migliaia di francesi, per lo più giovani, che salivano al Cielo insieme ai lapilli. Ragazzi qualsiasi che, appena saputa la notizia, non hanno trovato di meglio che correre in strada, inginocchiarsi e cantare l’Ave Maria. Con la nuda voce, senza strumenti. Perché non era un concerto ma “un flashmob” organizzato da Chi è oltre l’uomo. Cosa fai mentre un errore manda in fumo l’icona di una città che non è solo se stessa ma anche il simbolo di una civiltà? Preghi cantando perché la musica trascina le parole oltre le parole, perché il suono della voce può abbracciare e lenire il rumore del fuoco e portarlo nel profondo. Dei cuori e dei Cieli.