Blog / Marco Ganassi | 09 Aprile 2019

Le Lettere di Marco Ganassi – Il velo di Nasrin

Una cappa di silenzio, pesante come un macigno, cala troppo spesso su vicende che dovrebbero ripugnare alle nostre coscienze di “illuminati e liberi pensatori occidentali”.

In Iran c’è una donna coraggiosa, un avvocato, che deve scontare trentotto anni di prigione ed una pena accessoria di centoquarantotto frustate (sic), per aver difeso altre donne che rivendicano il diritto a non indossare il velo e per aver contestato la pena di morte e l’inasprimento del codice penale con norme che vìolano ancor di più il diritto alla difesa degli imputati.

Pensiamo un momento cosa deve sopportare quella Donna (la maiuscola è d’obbligo) che potrebbe essere nostra madre, nostra sorella, una nostra amica o parente.

Nasrin Sotoudeh, questo il suo nome, è rinchiusa in una prigione che non è certo paragonabile a quelle europee, con la prospettiva di uscirne a 93 anni se sopravvive al numero assurdo di frustate che quel galantuomo di giudice le ha comminato come pena ultronea.

Tutto questo incubo solo perché ha esercitato con coscienza e passione la sua professione di avvocato.

Perché ha creduto nella dignità delle persone e del diritto.

Perché vuole sollevare il velo fisico delle donne ma anche quello figurato del silenzio sul sistema penale violentato da leggi liberticide.

Nasrin, la Donna cui il Parlamento Europeo ha riconosciuto il premio Sakharov nel 2012, è stata gettata in quell’incubo infernale che ha sempre combattuto con coraggio pagando un prezzo altissimo.

E lei è lì, sola, prigioniera di un regime che vuole annientarla nel corpo e nello spirito.

C’è di che sobbalzare sulla sedia e, come minimo, ingolfare la casella di posta elettronica dell’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran con appelli e proteste.

Ma non basta. L’incubo diventa farsa quando si apprende che il giudice galantuomo pare sia stato nominato dalle Nazioni Unite in una commissione che si occupa della questione femminile.

Bene. Anzi, male. Aspetto, impaziente, di ascoltare le proteste accorate di molti, qui, nel Paese culla del diritto e della libertà.

Per ora, le voci che si sono levate lodevolmente a difesa di Nasrin sono quelle di Amnesty International, dell’Ordine degli Avvocati e di qualche politico. Qualcosa si sta muovendo, qualcuno scenderà in piazza a protestare davanti all’Ambasciata iraniana entro pochi giorni.

Non è poco, ma non è ancora abbastanza.

Piuttosto che il silenzio o il timido brusio, a me andrebbe bene anche un farisaico piagnisteo telecomandato sulla difesa dei diritti umani di molti politici, sindacalisti, opinionisti del video e della carta stampata ed artisti nostrani, pur di sollevare il velo sulla sofferenza di Nasrin e di tante donne coraggiose come lei.

Voglio ancora sperare che la difesa della dignità di ogni essere umano prevalga su biechi interessi di politica economica internazionale. Voglio ancora sognare, e vorrei che tanti sognassero, di costruire un ponte che da Roma, da Bruxelles, giunga fino a Teheran per portare un messaggio di speranza a tutti coloro che, come Nasrin, sognano una società più giusta. Sognare è vivere, sognare insieme è volare in alto con le ali della libertà. Quella che dovremmo restituire a Nasrin. Perché la sua prigionia ci interroga sul senso della nostra umanità.

(Roma, 1968.) Responsabile del settore legislativo di una associazione di categoria, opera tra Roma e Bruxelles. Curioso e divoratore di libri, appassionato di storia e di politica estera, da qualche anno approfondisce i temi legati alla teologia spirituale e collabora alla causa di beatificazione di Padre Candido Amantini, noto sacerdote esorcista passionista della Scala Santa di Roma.