Penna spuntata – Il peccato di quando il marito non dà abbastanza piacere a sua moglie a letto
Un mio amico sacerdote mi segnala questo articolo
Ehm.
L’argomento è quello che è, e cercherò di essere il meno descrittiva possibile per non turbare i castissimi occhi di chi legge i miei articoli.
Però, questo aneddoto è così curioso (e così indicativo del livello di fake news che ci beviamo tutti, addirittura riguardo la nostra stessa Chiesa) che ho deciso che sì: bisognava proprio raccontarlo.
La nostra Storia affonda le sue radici in un’epoca lontana lontana sorprendentemente poco lontana, nella quale l’umanità e la scienza cominciano a chiedersi: come nascono i bambini?
Cioè. Capiamoci. Il concetto astratto che i bambini nascessero a seguito di un rapporto sessuale, era già chiaro e acquisito.
Altrettanto chiaro e acquisito era il concetto che, per far nascere un bambino, occorresse un rapporto sessuale consumato nella sua interezza, cioè (ehm. Da qui in poi, inizierò con le perifrasi pudiche) con emissione del seme maschile in vaso debito.
Terzo concetto che nessuno contestava, era quello per cui l’emissione del seme maschile avveniva quando (ehm. Altra perifrasi in arrivo) l’uomo raggiungeva l’acme del piacere sessuale.
Fin lì, tutto chiaro, ‘nsomma.
Il problema è che era molto nebuloso tutto il resto, e francamente non è poco. Restavano irrisolte domande anche importanti, tipo: come mai le donne restano incinte solo ogni tanto? Qual è la differenza tra un rapporto sessuale che genera vita e uno che invece si conclude in un “niente di fatto”? Dipende dall’uomo? Dipende dalla donna?
L’opinione comunque, guarda un po’, era che dipendesse dalla donna.
Ma, una volta tanto nel corso della Storia umana, le donne si sono viste attribuire colpe immeritate… ma con conseguenze, tutto sommato, non sgradevoli.
Gli scienziati hanno cominciato a fare questo ragionamento: ok, ci siamo resi conto che il piacere maschile è funzionale alla procreazione, perché si è notato empiricamente che il piacere maschile porta all’emissione del seme. Ma allora non è che, forse forse, anche il piacere femminile gioca un ruolo di pari importanza ai fini del concepimento? Ovvero: non è che le donne sterili che non riescono a concepire, sono tali perché non giungono al piacere, poverette?
Che cosa succedesse, esattamente, nel corpo femminile, quando la donna provava piacere, era cosa difficile a capirsi (se non altro, per banali difficoltà… anatomiche). E se Aristotele aveva sostenuto con fermezza come l’unico responsabile della fecondazione fosse il seme maschile, Ippocrate e Galeno avevano invece enfatizzato l’importanza del piacere sessuale – indispensabile all’uomo per emettere il seme, ma indispensabile anche alla donna per “preparare l’utero a ricevere il fluido vitale”.
Del resto, era anche un pensiero ragionevole. Se, nell’uomo, il piacere sessuale esiste per una finalità precisa, vuoi mica che gli dèi abbiano dato il piacere alla donna solo per non fare una discriminazione di genere?
Enunciata con una certa decisione da Ippocrate e Galeno, questa convinzione resta in auge per un po’, poi cade nel dimenticatoio, poi ricomincia ad essere studiata… e, infine, viene riportata all’attenzione della comunità scientifica internazionale dal De re anatomica di Realdo Colombo, pubblicato nel 1559.
E il fatto che Realdo Colombo fosse archiatra pontificio è un dettaglio non da poco, per spiegare la vera e propria rivoluzione con cui, grazie alla sua opera, non solo la scienza, ma anche la Chiesa, cominciano a guardare la sessualità.
Se un medico importante riporta in auge la teoria per cui il piacere femminile è indispensabile ai fini della procreazione, ne consegue che la ricerca del piacere durante il rapporto non è più lussuriosa libidine (e/o un desiderio tollerabile come male minore): no no, è proprio un preciso dovere cristiano e partriottico, sotto il punto di vista etico, morale e spirituale. Se non soddisfi tua moglie a letto, quella non ti resta incinta: orpo, amico, qui bisogna darsi daffare!
L’opera più esplicita sul tema è il De sancto matrimonii sacramento disputationum tomi tres a firma di Tomás Sánchez, un gesuita spagnolo morto in odore di santità (ma mai dichiarato santo) all’inizio del ‘600. Pubblicato per la prima volta a Madrid nel 1605, ma presto divenuto un vero e proprio best seller ristampato in diversi luoghi d’Europa, il trattato parla di matrimonio… ma, soprattutto, parla di intimità coniugale. E, signori miei, ne parla in termini così dirompenti da far probabilmente arrossire molti dei teologi d’oggi!
Contestando aspramente quei Padri della Chiesa che avevano sostenuto come l’atto coniugale fosse necessariamente intriso di colpe a causa dello sfrenato piacere che vi si prova, Sánchez ribatte invece che esso è lecito, meritorio (gode, infatti, di dignità sacramentale) e addirittura doveroso (soddisfa, infatti, l’impegno che è stato preso sottoscrivendo il patto matrimoniale). E per quanto riguarda il godimento fisico che si accompagna al gesto, niente panico: del resto “il piacere non è male in sé, visto che la natura stessa sagacemente lo ha annesso all’atto al fine della procreazione […] così come ha posto piacere nel cibo, per la conservazione dell’individuo”.
Può darsi che sia la stessa cosa che v’ha detto anche il vostro prete quando avete fatto il corso prematrimoniale, solo che Sánchez è un prete della Controriforma, e, voglio dire, non ditemi che la cosa non vi stupisce neanche un po’.
Ma Sánchez non si ferma qui. Va oltre.
In ossequio all’embriologia ippocratico-galenica per cui il piacere maschile e quello femminile concorrono in parti uguali alla generazione, Sánchez si dilunga in raccomandazioni (francamente, anche un po’ imbarazzanti) sull’importanza assoluta che i coniugi giungano entrambi a godere, e che, possibilmente, lo facciano anche nello stesso momento (un dettaglio che, secondo Ippocrate e Galeno, rende ancor più probabile la fecondazione). E, a quel punto, il testo di morale si trasforma in un vero e proprio manuale di educazione sessuale, pronto sottolineare l’importanza di tutto quello che noi moderni definiremmo preliminari – preziosissimi nell’interesse del “coniuge più lento”, per dirla con le parole di Sánchez.
E il gesuita è molto netto nel sottolineare che, no, non è affatto un peccato per il marito agire in tal modo, anzi: è suo preciso dovere. Peccato, semmai, sarebbe il “considerar chiusa la questione” dopo aver goduto: al contrario “è obbligatorio continuare […] perché ciò serve alla completa consumazione da parte della moglie”.
Sarà magari il caso di sottolineare, per una questione di correttezza storica, che tutto ‘sto interesse verso il piacere femminile nasceva a causa di una convinzione medica sbagliata: senza quello, niente bambini. Giusto per essere chiari, non è che Sánchez fosse un femminista ante litteram: è che, in base alle convinzioni mediche che andavano per la maggiore, evitare di… compiacere il partner era un po’ come usare un contraccettivo, se me la passate.
Ad ogni buon conto, penso che le donne dell’epoca seppero accettare con una certa filosofia una siffatta convinzione, ancorché sbagliata. Credeteci o no (mi rendo conto che una affermazione simile stoni parecchio, con la nostra idea preconcetta di un passato sessuofobo e atterrito dal piacere fisico) ma questa convinzione, con tutte le conseguenze del caso, continuò ad essere periodicamente tirata in ballo per diversi secoli della storia recente. Solo nell’Ottocento, quando fu scoperta l’ovulazione femminile, la comunità medica trovò finalmente consenso su cosa effettivamente rendesse fecondi alcuni rapporti e altri no, e su come effettivamente avvenisse il concepimento.
E quello, ehm, fu un giorno molto infelice per tutte le donne. E non lo dico a mo’ di battuta, la mia è una considerazione vera (o, quantomeno, condivisa da molti storici). Fu grossomodo in quel momento che la donna cominciò ad essere considerata come la parte “passiva” della coppia, quella parte per la quale l’intimità poteva anche essere un fatto noioso o addirittura un dovere spiacevole – tanto, la donna è fertile comunque, indipendentemente da tutto il resto. Mica c’è bisogno che sia contenta, o serena, o coinvolta.
Una affermazione che non avrebbe stonato affatto sulle labbra di un marito d’età vittoriana… ma che, fino a qualche secolo prima, sarebbe stata considerata imprudente, insensata, assurda.
Una curiosità: se cercate informazioni su Internet, verrete a sapere che l’opera di Tomás Sánchez fu messa all’Indice dei Libri Proibiti.
Il che è vero.
Ma è sbagliata la motivazione che su Internet va per la maggiore: non è affatto vero che il De sancto matrimonii fu messo all’Indice a causa delle teorie troppo progressiste dell’autore. No, anzi: papa Clemente VIII aveva pubblicamente elogiato l’opera e i suoi contenuti. Ad essere messa all’Indice fu una riedizione postuma del trattato, pubblicata a Venezia nel 1614 (quattro anni dopo la morte del Sánchez), in cui l’editore – su richiesta del governo della Repubblica veneta – aveva eliminato un paragrafo in cui l’autore sosteneva il diritto della Chiesa a legittimare i figli illegittimi, a prescindere dall’intervento o dalla volontà dell’autorità civile. Questa “censura” di natura politica fece infuriare il papa e determinò, per l’appunto, nel 1627, la messa all’Indice del terzo volume di quell’edizione veneziana. Ma nulla più, e nulla che non sia stato causato da questa specifica ragione.
Vi pare strano?
Non credete a una singola parola di quanto avete letto?
Oh, non sono pazza eh: questo articolo è ovviamente documentato. E, come molti altri sullo stesso tema, arriva a voi grazie al meraviglioso, esilarante, sorprendente saggio Due in una carne. Chiesa e sessualità nella Storia a cura di Margherita Pelaja e Lucetta Scaraffia, recentemente ripubblicato nella catena Economici Laterza.
Se avete un interesse verso la Chiesa, verso la Storia (o anche solo, ehm… verso la sessualità), non lasciatevelo scappare. Trecento paginoni che volano via in un soffio, perfetti per farvi ridere fino alle lacrime, stupirvi fin nel midollo e farvi mettere in discussione tutte quelle strane idee preconcette che ci portiamo addosso riguardo al nostro passato. Molto meno tristo e buio di quanto si potrebbe immaginare!
Tratto da UnaPennaSpuntata