Le Lettere di Alessandra Bialetti – Trasfigurati o sfigurati?
Rebibbia comincia da fuori, dall’ingresso, dalle guardie che esaminano i documenti e iniziano a riconoscerti e a scherzare. Passaggi obbligati: il controllo della chitarra. Ogni volta. Anche se ti conoscono. Il fodero si apre a mostrare il suo contenuto, uno strumento per animare la messa ma… pericoloso. Oggi ci dicono di tenere alta la guardia sulle corde: sono di metallo, le contano, sono sei e devono tornare tali. Mai avresti pensato che qualcosa che produce suono e armonia potesse diventare oggetto ambiguo in mani ritenute pericolose. Oggetti che si trasfigurano, appaiono diversi, assumono sembianze differenti da ciò per cui sono state progettate. Tengo dentro di me questo pensiero mentre mi avvio verso la cappellina. Scorro velocemente le letture del giorno e rimango, come al solito, sorpresa dal gran giocoliere che è il Gesù dietro le sbarre. La Scrittura ci parla di un volto, ci parla di una trasfigurazione, di una nube che copre e cela allo sguardo. Viene proclamato il vangelo e inizia l’omelia dialogata come sempre, appuntamento atteso dai detenuti che si confrontano spesso parlando uno sull’altro per la voglia di intervenire. Il cappellano si rivolge a D. chiedendogli il contenuto del vangelo. “Parla di soldi”, risponde un D. distratto dalle chiacchiere durante la lettura. “Soldi?” ma dove sarà andato a prendere questo concetto da un vangelo che dice tutt’altro. Eppure qui in carcere spesso ascoltiamo il vangelo secondo i detenuti. Un vangelo fatto dalle parole della loro vita, magari trasfigurato ovvero reso altro perché coniugato attraverso un percorso di vita discutibile e travagliato. Ma pieno anche di spunti di riflessione. Così D. spiega che nei soldi vede la sicurezza, una tranquillità, che le tende del brano appena letto rappresentano una certezza e per quella certezza si mette in gioco tutto e si perde tutto. A. aggiunge: “I soldi hanno sfigurato la mia vita (attenzione sfigurato non trasfigurato), quel di più che cercavo mi ha distrutto, mi ha portato dall’apice all’ultimo gradino. Oggi chiedo solo di darmi i soldi necessari per una vita dignitosa ma non il di più che mi ha reso altro da ciò che sono, quel di più che è la parte del demonio che mi ha tentato su una strada che pensavo fosse giusta per me e i miei figli”.
Ecco, giocoliere, che grande differenza tra trasfigurato e sfigurato. Il primo termine parla di un cambiamento in genere positivo, una luce che trasforma, un’emozione forte che rende visibile ciò che è nascosto e che non affiora immediatamente. Parla di un cammino di mutamento, di una esistenza che vuole arrivare a dire altro di sé, a far emergere ciò che sta sotto, celato, deturpato da errori commessi. Sfigurare fa invece riferimento allo stravolgere una fisionomia, quasi sempre bella, una vita creata come un’opportunità e distrutta, in un attimo, da scelte sbagliate. La paura sfigura, quella paura nei volti dei detenuti quando diventano consapevoli di ciò che hanno commesso e di quanto le tre tende del vangelo, simbolo di relazioni, affetti e legami, sono state spazzate via e ora è difficile rimetterle in piedi. L’amore invece trasfigura, scartavetra l’immagine e la corazza creata per rispondere alle logiche del mondo, sana l’anima deturpata da un libero arbitrio che è diventato una prigione di massima sicurezza. Gesù trasfigura il volto del detenuto sfigurato. Lo porta nuovamente a esistenza, lo chiama a far affiorare la parte migliore, il frutto di quel seme gettato nel suo campo con la massima fiducia. Gesù “trasfigurante” chiede ai vari D., A., S., P. di dire altro di sé, di generare una narrazione diversa della loro vita, di piantare nuovamente le tende dell’incontro, della condivisione, dell’autenticità, della relazione sanante e sanata.
E guarda caso, e nulla accade a caso, M. leggendo il salmo che recita “Cercate il mio volto” ha sbagliato benché non importi che la proclamazione sia perfetta ma che la Parola venga pronunciata anche attraverso mezzi di fortuna considerati indegni. Ha letto “Cercate nel mio volto”. Ora dimmi, giocoliere, se è un caso questo! E’ nel tuo volto che il nostro essere sfigurati si apre alla trasfigurazione, a diventare luce abbattendo il buio, ad aprire porte dove esistono solo sbarre e barriere. Nel tuo volto specchiamo il nostro viso sfigurato e lo percepiamo altro, nei tuoi occhi ritroviamo qualcuno che ci benedice, ovvero dice bene di noi, nonostante i nostri lineamenti siano ancora deturpati e non così belli da vedere. Il tuo volto parla di un incontro che cambia i connotati, non a forza di pugni, violenze, bassezze, tradimenti ma con il lifting dell’amore, dell’incontro profondo, di una intimità in cui costruire le tre tende. Vedi M. che la tua lettura a volte incerta ci ha aperto invece una strada? Basta stare all’erta, vigilare. Su quei soldi in più che non ti cambiano la vita, su quelle scelte che sfigurano, su quelle parole di male che non devono convincere, sulla ricerca di una facile felicità che getta invece in un baratro.
Allora trasfigurati e non sfigurati.
Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.