Le Lettere di Alessandra Bialetti – Tentazione non ti temo
Cosa dire in un luogo come il carcere dove, se si è giunti fino a lì, la tentazione è arrivata a destinazione e ha colpito inesorabile? Sembra non si possa aggiungere nulla all’esame di realtà che inchioda vite vissute al limite. Ma sicuramente c’è da riflettere, da farsi permeare dalle parole del vangelo, da andare oltre ad un dato di fatto evidente. Entro in cappella e si avvicina A., il detenuto di religione ebraica che spesso condivide con noi la messa. Un viso corrucciato, sempre cupo anche se naturalmente il contesto in cui vive non agevola il sorriso. Lo saluto e gli chiedo come mai il suo viso sia sempre così scuro. Mi guarda e risponde: “Siamo un popolo maledetto, non lo sai?”. Mi colpisce perché lo dice con aria grave, con sofferenza. La tentazione di sentirsi un popolo non amato, in continuo peregrinare, con un destino, come lo definisce lui, scritto e ineluttabile. “E’ ciò che credi e vuoi credere”, gli dico e, stranamente, spunta un sorriso. Forse la tentazione di sentirsi sempre sbagliato e di negarsi anche solo un sorriso, momentaneamente lo ha abbandonato. Perché con le tentazioni accade così: è una lotta impari, un attimo soccombi e cadi e un attimo dopo, non tanto hai la meglio, ma riesci a trovare un senso al tuo cammino sempre così pericolante.
La tentazione come prova. Quante catechesi ascoltate. Messi alla prova. Pensa Gesù, c’è un deserto fatto di celle, in cui la messa alla prova è invece speranza di riabilitazione. Rappresenta l’essere riammessi in un circolo virtuoso di fiducia in cui sperimentarsi in modo diverso (lavori di pubblica utilità, attività di mediazione con la vittima del reato, condotte riparative). La tentazione allora è non credere che per A., M., P., S., ci sia una possibilità, che l’unica via sia “sfangare” la giornata e tornare a compiere reati una volta usciti. La tentazione per noi come per loro è soccombere alla negatività che ci circonda, è assuefarsi al male tanto da non percepirlo più, è tornare a maledire la propria vita anziché scovarvi germi di bene.
La tentazione di mollare è disegnata sul volto di D. addetto a preparare la cappellina per la messa, un servizio importante che ha il sapore della fiducia. Ma D. vuole mollare, ha perso il senso di ciò che fa, il suo fisico in una settimana si è appesantito, gli occhi spenti. Fatica. Fatica a dare un significato alla sua vita dietro le sbarre. La tentazione come fame di senso per chi ha cercato di mettere a tacere il vuoto e la mancanza di prospettive con il reato facile, con la soddisfazione immediata di un bisogno rubato che ora lo lascia davanti a un baratro ancora più grande. Come è simile la nostra tentazione quando ci sentiamo persi senza coordinate certe e un orizzonte sbiadito.
La tentazione di isolarsi, di non credere più nei rapporti umani, di non voler più rilanciare su un legame. La cella divide ma anche unisce. Ti butta in un oceano di disperazione condivisa, crea legami e mette a nudo. E apre alla tentazione di dominio, di giochi di potere che esistono anche in carcere sebbene siano tutti segnati da un percorso difficile e sofferente. La tentazione di dividere e non condividere, di creare frattura e non costruire ponti, di cedere al dubbio che i legami costruiti fuori possano distruggersi. Deve essere molto doloroso non sapere cosa accade alla persone care che hai lasciato fuori, che non senti e non vedi per lungo tempo o, se sei fortunato, che incontri una volta a settimana. La tentazione della solitudine affettiva deve essere enorme. Alla fine della messa, si forma una processione di richieste: molti arrivano con un pezzetto di carta sgualcito e strappato per chiedere di portare notizie di sé ai propri cari, per rassicurarli che non hanno potuto chiamare per un disservizio sulla linea ma che stanno bene, per dire semplicemente “ti mando un bacione e ti aspetto al colloquio” alla moglie che lo aspetta da anni. Certo Gesù che qua dentro si impara proprio a dare valore a qualcosa che per noi fuori, iperconnessi 24h, è scontato e spesso non vissuto pienamente. La ricchezza delle relazioni di cui spesso, solo quando le perdiamo, ne comprendiamo il valore e la profondità. Ci tenti oggi per riportarci a noi stessi e al nostro essere stati creati come relazione, uno legato all’altro e non divisi da muri che, oltre quelli del carcere, costruiamo con il nostro agire quotidiano. E’ possibile rendersi conto di questo vedendolo rispecchiato nella vita di chi ha relazioni spezzate e ferite? Sarebbe una tentazione non pensarci.
E poi la tentazione del giudizio. Di quella frase che spesso risuona “chiudiamoli dentro e buttiamo la chiave”. La tentazione di chi si sente dalla parte del giusto perché certi errori non li ha fatti o è riuscito a nasconderli, di chi pensa al carcere come la terra di nessuno in cui non vale la pena gettare un seme tanto non crescerà nulla, di chi cerca di tacitare la propria coscienza convincendosi che “a me non succederà mai”. Anche io mi chiedo la domenica mattina che terreno troverò: se l’asfalto duro impermeabile ad ogni intervento o la terra buona disposta ad accogliere la semente. Ma forse sarebbe meglio che mi chiedessi che terreno sono io, che giudizio mi separa dall’altro, che muri e sbarre metto a protezione della mia tranquillità. E vivo la tentazione di mollare tutto, di non farmi più interrogare da tanta sofferenza, dalla fatica di tante vite fatte a pezzi da scelte sbagliate, da leggerezza o anche ingenuità. “Tentazione ti temo”, la tentazione di sentirmi a posto e per questo migliore di tanti altri. Torno a casa, prendo in mano i foglietti sgualciti scritti con mani frettolose e insicure e metto insieme, con un piccolo filo, la vita di chi sta dentro e fuori. Grazie ragazzi. Abbiamo toccato insieme nuovi volti della tentazione e anche se ci siamo accorti che la temiamo, la nostra “messa alla prova” della speranza continua.
Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.