Ai Confini della Vita, di Lucia Bigozzi

Marco Ganassi ci segnala questo libro attraverso le parole dell’autrice e noi siamo felici di pubblicarlo 

Dai confini della vita ci sono finita il 15 settembre 2016, quando la biopsia ha detto che nel seno sinistro cresceva un tumore e non c’era tempo da perdere. Dovevo correre e correre veloce. E così è iniziato il viaggio, non solo il mio ma anche quello dei medici che hanno avuto cura di me e continuano a farlo, perchè c’è un filo che lega paziente e oncologo (vale per il radiologo, il radioterapista, il ginecologo, l’endocrinologo, l’infermiera che ti fa l’emocromo e quella che ti attacca alla macchina della chemio), perchè questa malattia stabilisce e decide per te strani legami, percorsi condivisi, forzate consuetudini, ma al tempo stesso ti regala rapporti umani profondi che non potrai mai dimenticare nella vita nuova verso la quale ti incammini. Il tumore cancella il prima e disegna il qui e ora, non contempla la parola futuro perchè sei tu a doverlo costruire giorno dopo giorno, e tutto ciò che vivi è diverso, alternativo, più intenso. Più vero.

Faccio il tifo per chi fa i conti col tumore e per chi ha appena finito di farceli. Sto da questa parte, che poi è anche la mia ma non tanto per solidarietà o appartenenza alla “categoria” (insulsa classificazione spesso usata dai ‘normali’); ci sto perchè da questa parte le cose hanno un altro senso, una prospettiva diversa, un sapore unico: amaro certo, ma anche salato e spesso perfino dolce. Dipende da come lo assapori, da come lo mandi giù, da come lo trasformi in energia per affrontare i momenti più complicati, quelli in salita e salita ripidissima. Che mentre la percorri, senti le gambe pesanti, i muscoli induriti, il fiato corto, e pensi che forse non ce la fai perchè è davvero troppo ripida per te.

Un passo dopo l’altro, invece, i piedi vanno avanti e senti che c’è strada. Ancora.

Sto da questa parte della barricata perchè chi sta vivendo o ha vissuto un’esperienza del genere è un’altra persona. Non è più quella di prima, non lo sarà mai più. E’ una persona nuova che ha attraversato il dolore, sa cos’è, quanto costa, a cosa serve. Perchè anche in una fase così complessa, c’è una parte – ampia – col segno ‘più’, una parte positiva, una parte che ti insegna il valore della vita, ti fa sentire la sua forza in ogni centimetro di pelle, ti dimostra come niente sia scontato e come tutto possa cambiare in un secondo. Un esame, una diagnosi e ti ritrovi sotto il tavolo, lo stesso sopra il quale stavi un attimo prima. Sto da questa parte perchè chi sa cos’è il tumore sa anche come affrontare tutto il resto; sa che niente può fare più paura, più di quella che hai respirato nei giorni interminabili della chemioterapia e degli ‘effetti collaterali’ (ciascuno ha i suoi), quando sulla poltroncina attaccata alla macchina che emette un suono monotono vedi il dolore negli occhi e nei corpi delle persone appese – come te – al ‘distributore’ di farmaci che non sono sciroppo per la tosse. Vedi come la malattia trasforma i volti, rallenta i movimenti, deforma le forme.

Chi sa cos’è il tumore, ha respirato la paura nei racconti dei ‘compagni’ di chemio e ripercorso ogni attimo della propria storia; ha visto star male chi stava a mezzo metro dalla tua poltroncina, ne ha sentito il respiro irregolare, affaticato, ha raccolto il lamento che esce anche se provi a tenere la bocca chiusa contando i minuti che ti separano dalla fine della seduta. Stringere i denti e lavorare pancia a terra, sguardo fisso sul target è l’esercizio che ha reso la mia esperienza sopportabile. La fede in Dio è la mia chiave, il passepartout indispensabile, la mia certezza, l’unica in mezzo a un oceano di “non si sa”. E’ la fede che mi ha preparato alla prova, allenato alla sofferenza, sostenuto nei momenti più complicati portandomi a pensare sempre a chi sta peggio e dunque a non lamentarmi mai. E’ la fede che mi ha trasmesso la speranza, amplificato la fiducia in Gesù, fatto vivere momenti di dolcezza infinita nei quali mi sono sentita  – e continuo a sentirmi – ‘presa in braccio’, protetta. 

Chi sa cos’è il tumore non ha tempo per i convenevoli, l’apparenza, l’immagine, il ‘ruolo’ nella società. La malattia ti stacca dalla quotidianità e ti scaraventa in una dimensione parallela: ti accorgi che gli altri ti osservano in modo diverso e quando sanno cosa ti è capitato, alzano lo sguardo ‘investigativo’ sulla parrucca che indossi perchè i tuoi capelli nel frattempo sono andati a farsi un giro sotto braccio alla chemio, ti approcciano con finta benevolenza, insopportabile pietismo, come se tu fossi già con un piede nella fossa. Non vali più come valevi prima, sei considerata un ‘vuoto a perdere’, una da tenere a distanza perchè “improduttiva”.

Capita così, che perdi il lavoro perchè chi te lo ha dato fino a quel momento (e tu hai onorato con impegno e serietà), ha cambiato idea. Una decisione che dentro di te ha la potenza deflagrante di una bomba atomica, ma con la quale impari a fare i conti. Nessuno ti dice il motivo di un atto così drastico, o non ha il coraggio di farlo, e allora comprendi che chi ha scelto per te non si è fatto tanti scrupoli. Impari, impari. Tutto diventa patrimonio acquisito sul campo, conoscenza, esperienza. La sofferenza fortifica, distrugge l’orgoglio e ti consegna gli anticorpi necessari per andare avanti. Chi sa cos’è il dolore, sta nella vita con una marcia in più: guarda all’essenza delle cose, non si ferma in superficie ma cerca la profondità, conosce il valore dell’esserci, sa che ogni giorno è un dono, un’altra opportunità da non sprecare.   

Faccio il tifo per chi fa i conti col tumore o ha appena finito di farceli perchè il cancro mi ha insegnato cosa significa ‘condividere’ e voglio continuare a farlo consegnando la mia piccola testimonianza a chi potrà servirsene per gestire questa fase dolorosa con la consapevolezza che si può fare, ne vale la pena perchè in ballo ci sei tu e niente e nessuno è più prezioso di un altro giorno, niente vale più di svegliarsi al mattino e rendersi conto di essere vivi. Chi ha avuto un tumore non è un morto che cammina ma una persona con una marcia in più perchè è nata due volte.

Il tumore ti spinge ai confini della vita e sei tu a dovertela riguadagnare, metro dopo metro, allontanando da te quel confine. 

“Ai confini della vita” è quello che ho vissuto fin qui – ancora ci sto dentro – e il titolo di questo libro: semplicemente la mia storia. E’ la forza e la bellezza che hai dentro a riportarti a galla e ti ritrovi a muovere gambe e braccia perchè la stagione della vita duri più a lungo possibile. Perchè chi sa cos’è il tumore, sa cos’è la vita.

Scrivere per me è anzitutto una necessità fisica, come l’aria che respiro. Nell’anno del “tempo sospeso” (2016-2017) è diventata ancora più totalizzante perchè c’è un senso di urgenza. E i motivi sono due: il tempo che ora acquista una dimensione più corta, precaria, e il bisogno di raccontare qualcosa che è capitato a te ma appartiene a tutti. In questo caso la storia è mia ma non sono io la protagonista. Io sono solo uno strumento, ciò che conta è l’obiettivo: mettere in comune concetti, stati d’animo, esperienza, paure, coraggio con chi – leggendo – potrà sentirsi meno solo e un po’ più forte. Scrivo per abbracciare tutte le persone che in questo momento sono in una sala chemio, o nell’anticamera di un senologo in attesa dell’esito della biopsia che poi diventa ‘sentenza’, o sotto il ‘raggio fotonico’ della radioterapia (mi viene in mente un cartoon che adoravo da ragazzina, ‘Gig Robot cuore e acciaio’ col raggio che sprigionava dalla pancia).

Non sono io la protagonista ma quello che ho attraversato, indagato, sentito sulla pelle e dentro la parte più intima dell’anima. Bianca è il mio alter ego, o se preferite il mio Avatar, l’interprete della narrazione attimo dopo attimo, scena dopo scena e le immagini sono tutte lì, dalla prima all’ultima, chiare, nitide, indelebili. Ogni capitolo, ogni situazione descritta significa rivivere quei momenti e sono miliardi di emozioni. Montagne russe. Bianca sono io e tutte le altre del ‘Benvenuta nel Club’, ma condividere significa sostenersi, aiutarsi, ascoltarsi, parlarsi, uscirne meglio che si può e magari più velocemente possibile.

La storia incrocia quella dei medici con cui ho condiviso la quotidianità di un lungo anno, in particolare quattro donne con cui si è instaurato un rapporto speciale di stima e immensa gratitudine per come si sono prese cura di me. Medici in gamba ma ancor prima, sono donne coraggiose, vite parallele con dentro tutto e il suo contrario: attimi di felicità, delusioni, fragilità, desideri, forza, progetti, amori.

Alice, Lavinia, Rossella, Caterina sono i quattro ‘punti cardinali’ del viaggio di Bianca senza i quali la navigazione sarebbe stata priva di strumenti di bordo, al buio. O forse, non ci sarebbe stata. Ma come ogni buon viaggio che si rispetti, sono numerosi e tutti importanti gli incontri accaduti –  non per caso – nel suo incedere. Volti, mani, storie, lacrime e sorrisi. Abbracci. Racconto col ‘grandangolo’ del romanzo una chirurga senologa, una chirurga ricostruttrice, un’anestesista e un’oncologa e insieme a loro un’infermiera: voglio ringraziarle provando a dire cosa e quanto ciascuna di loro mi ha dato, oltre all’impegno determinato nel salvarmi la vita. Non lo dimenticherò mai.

Il tumore è un’esperienza terribilmente umana, ci sono miliardi di sfaccettature, aspetti, condizioni: sensazioni fortissime, come il fatto di considerare la morte qualcosa di non più lontano da me. Un’opzione possibile. Certo, può accadere in qualsiasi momento e a prescindere dal tumore, eppure si impara a ragionarci sopra, soprattutto ogni volta che scopri che qualcuno non ce l’ha fatta.

Non c’è alternativa: bisogna sempre considerare il bicchiere mezzo pieno, anche se sei immersa in un senso di precarietà permanente. Ma è proprio sulla parte piena del bicchiere che assapori la bellezza, la ricchezza e l’unicità della vita.

Il tempo che l’anno del “tempo sospeso” ti mette a disposizione è abbastanza per insegnarti a prendere cura di te stessa come forse non avevi mai fatto. Hai tempo nella dimensione dilatata delle chemio, ma sopratutto vuoi farlo per non lasciare alla malattia e all’ipotesi recidiva nemmeno un millimetro di terreno, che poi è il tuo corpo.

“Recidiva” è la parola nuova con cui adesso mi sto misurando e non è facile da digerire, specialmente quando ascolti persone che ci combattono per la terza, quarta, quinta volta. Eppure le osservi e negli occhi vedi la stessa voglia di farcela e di fare che hai tu che sei ‘solo’ alla prima. Rimugini: e se dovesse accadere, cosa farò? Respiri profondamente, poi la risposta arriva: sarà come è già stato, indietro non si torna, non ci sono mezze misure.

L’esperienza fortifica la consapevolezza di ciò che hai vissuto fin qui; la forza della vita impone di non arrenderti e diversamente da prima, adesso sai cos’è e sai come è. E sai anche che si può fare. Elmetto in testa, avanti senza paura! Lucia