Avvenire – Dare alle cose giusta misura
Dal Festival di Sanremo a papa Francesco, dai migranti ai ‘Manifesti della fede’, da qualche tempo in Italia va in onda la soffocante strumentalizzazione di qualunque ragionamento. Quando si discute, sapere dove stanno la ragione o il torto è l’ultimo dei problemi visto che ogni punto di vista è letto solo con la lente dell’essere pro o contro qualcuno o qualcosa. Pare proprio che in Italia i problemi non si possano e vogliano comprendere e risolvere: se esistono, vengono solamente utilizzati in un ‘per me o contro di me’ suicida. Se in un caso di violenza è coinvolto uno straniero non si parla della violenza e di come estirparla ma di immigrazione, di religione, di scontro tra culture cercando un capro espiatorio su cui scaricare la propria frustrazione.
Se non fosse sintomo di una grave malattia, il fatto che l’espressione ‘scoppiano le polemiche’ possa essere legittimamente accostata a un festival canoro sarebbe solo ridicolo e grottesco.
Invece la vittoria o la sconfitta di un cantante diventano inesorabilmente luogo di polemiche non inerenti il canto ma riguardanti la politica, l’immigrazione, il made in Italy. Pare che la gente possa aspettarsi risposte ai mali del Paese dal reality o dal varietà di turno invece che dall’azione politica e di governo. Persino sull’opportunità di costruire una linea ferroviaria ad alta velocità tra Italia e Francia si abbandona il terreno dei criteri tecnici che dovrebbero orientare la scelta per ricondurre una questione intrinsecamente complessa a rumorosi schieramenti l’un contro l’altro armati, con l’ormai celebre ‘relazione costibenefici’ che cessa di proporsi come un riferimento teoricamente oggettivo per diventare materiale da scagliare nell’opposta trincea.
È drammatico, come riesce ad esserlo solo ogni vero comico, il video sul ‘benaltrismo’ di Francesco Capaldo dei ‘The Jackal’ in cui uno spot nato per parlare di immigrati diventa un insulso minestrone che per essere ‘non escludente’ deve parlare anche di terremotati, gay, plastica nel mare, violenza sulle donne, scioglimento dei ghiacciai e di tanto altro, anzi, di tutto quello che rimane. Una persona di buona volontà, specie se credente, che in questa situazione voglia cercare di ‘costruire la pace’, deve innanzitutto restituire verità alle cose. Sanremo è solo un festival della canzone e non una succursale dei Ministero dell’Interno o del Lavoro. I casi singoli di violenza, malavita, degrado, vanno trattati come tali senza fare di tutta l’erba un fascio e soprattutto senza cercare divisioni e nemici laddove spesso c’è solo una diversa (e magari anche sana) alternativa di vedute.
Quello che il Papa dice a proposito dei migranti riguarda l’accoglienza chiesta dal Vangelo e dal senso di umanità e non può diventare pretesto per soli garbugli politici. E la Tav è una linea ferroviaria, non la trincea di una guerra. Se il papà di Manuel Bortuzzo – il giovane campione di nuoto ferito che a quanto pare non potrà più camminare – dice che a Treviso non sarebbe successo e che a Roma «non è possibile che si rischi la vita per niente, anche andando a mangiare un panino», sta parlando di sicurezza delle strade, non sta facendo un attacco allasindaca Raggi. Estrapolare frasi del Papa o di chiunque altro, scoto- mizzare avvenimenti di politica e di cronaca per accreditare o screditare una parte politica o un’ideologia, non è cristiano. Fomentare il sospetto dei complotti e indurre la disillusione nelle coscienze è una logica dalla quale il credente deve liberarsi come da un veleno. Anzi, da un idolo. Perché queste operazioni obbediscono a logiche che non sono cristiane. Dio quando ci viene accanto e cura il nostro corpo ferito ci mette in mano la nostra vita per tornare a essere protagonisti, liberi nelle scelte e nelle responsabilità. Basta pensare all’evangelico «alzati prendi il tuo lettuccio e cammina» (Mc 2,11) di quando Gesù cura il paralitico ma, una volta guarito, proprio per restituirgli dignità non gli rifà il letto. Invece, fomentare il caos del complottismo, del cui prodest, del ‘chi ci sta dietro davvero’, significa non solo mettersi un gradino sopra gli altri ‘che non sanno come stanno le cose’ ma anche esimersi dall’impegno reale, piccolo, faticoso, che è alla nostra portata. Nessuno di noi è in grado di competere con i complotti delle mafie che impediscono di risolvere l’emergenza rifiuti nelle metropoli, ma ciascuno è in grado di camminare venti passi in più per fare la raccolta differenziata e mettere la carta nel giusto raccoglitore. È questa l’umiltà cristiana, quella di chi accetta la misura delle cose. È l’umiltà che conduce alla verità, a chiamare le cose per nome, a tenere separati i problemi per renderli piccoli e quindi abbordabili. Alla nostra portata.
Tratto da Avvenire