Blog – Sergio Mattarella, ovvero l’arte del rammendo
Sono tra i milioni di italiani che sorridono al discorso di fine anno di Mattarella. E, come moltissimi, anche io sono rimasto affascinato da una delle espressioni finali: quel saluto “all’Italia che ricuce” che molti commentatori hanno indicato come espressione chiave nell’allocuzione del Presidente. Ho spesso raccontato di avere l’abitudine, da sempre, di scrivere come se stessi per pubblicare pur non avendo idea di se, come e quando sarebbe accaduto: perché io scrivo da sempre anche se solo da qualche anno pubblico le mie cose. L’altra sera sono trasalito alle parole del nostro Presidente perché uno dei mie inediti, uno dei brani che ho nel cassetto e che non ho mai pubblicato, riguarda proprio l’arte di ricucire, cioè, in senso metaforico, l’arte del rammendare le relazioni. Proprio ciò di cui parlava il Presidente. Lo voglio proporre qui sotto, con una piccola precisazione. Non so se qualcuna delle espressioni che state per leggere sia solo mia o del tutto mia. Credo di sì. Ho fatto una piccola ricerca su Google e non ne ho trovato traccia ma a scanso di equivoci preferisco mettere le mani avanti: perché, quando ero più giovane mi capitava di trovare, o sentire cose belle, e di trascriverle come possibili spunti futuri, senza registrarne sempre le fonti. Ecco quindi. Mi sembra che quanto state per leggere sia tutta farina del mio sacco ma, se così non fosse, se ci fosse qualche frase o spunto di altri, ringrazio l’ispiratore (o gli ispiratori) e chiedo di farmene conoscere il nome. Buona lettura.
Intere civiltà hanno basato il loro percorso sull’intelligenza modulatrice, sulla riparazione e sul riadattamento di oggetti per prolungarne il funzionamento o per costruirne altri. Coltelli e frecce dalle schegge di silice, scodelle dalle zucche, archi da caccia dai rami d’albero, nuove statue di bronzo dalla fusione di altre statue, chiese cristiane da templi pagane, nuove città su vecchie città. Oggi non è più così. Dal punto di vista economico spesso non conviene riparare, aggiustare, accomodare. Quante volte ci siamo sentiti dire che aggiustare la nostra radiolina non conviene perché il costo della riparazione è uguale o superiore ad una radio nuova (che peraltro farà anche questo e quest’altro)? Quante volte ci viene detto che per sistemare il fanalino posteriore dell’auto che ha un piccolo graffio, bisogna sostituire l’intero il gruppo ottico (che sono cinque fanali)? Ci spiegano che produrre, confezionare, trasportare, distribuire, commercializzare il singolo fanalino è antieconomico. Non si tratta di fare un’apologia del passato ma di riflettere sul fatto che è delicato applicare concetti che nascono in determinati settori, dove forse sono effettivamente positivi, ad ambiti dove rischiano di diventare pericolosi. L’idea di convenienza, il presupposto per cui ogni elemento della vita debba essere ottimizzato in base al miglior rapporto costi benefici non può essere applicato al campo delle relazioni sociali, umane ed affettive: non si tratta di una merce sottoposta alla legge di mercato. Una persona non è conveniente, adeguata, efficiente, vantaggiosa: è una persona. È ampiamente noto il fenomeno per cui quando sorgono difficoltà con un partner piuttosto che riparare la relazione si preferisce sostituire la persona. Credo che neppure quando si cerca un lavoro sia giusto ragionare pensando che ci si vende al miglior offerente. Mi sembra fortemente riduttivo. Le relazioni umane, che oltretutto si basano sull’amore e quindi sulla gratuità, sono impregnate di incertezze, ambivalenze, errori, contraddizioni. Se veniamo spinti ad identificarci con il concetto di un certo tipo di efficienza siamo inevitabilmente condannati ad un’esistenza dolorosa e frustrante. Ecco qui splendere il concetto chiave del discorso di Mattarella: l’arte di ricucire, chiamata anche più prosaicamente l’arte del rammendo. Poiché gli errori sono sempre possibili, se non conosciamo il valore di restaurare e ricucire uno strappo nell’amore, nell’amicizia, sul lavoro, nel campo spirituale, siamo destinati alla solitudine e all’isolamento. La prima cosa da avere chiara a proposito di “ricucire” e di rammendare, è che questo processo di strappi e di ricuciture, di crisi e di superamenti, migliora la relazione, non la peggiore. Tutti noi avremo sentito difficile buttare un golf, uno scialle, una cappotto, una borsa, un paio di scarpe: è perché le cose usate e riparate, acquistano un’anima. Una crisi matrimoniale che si ricuce non si sciupa ma si affina e di migliora. Io vedo una analogia tra il processo che porta a un matrimonio riuscito e quello che porta alla santità. Nel loro cammino verso la perfezione, i santi attraversano spesso la cosiddetta “notte oscura dei sensi”, in cui non provano più alcun sentimento, nessuno slancio; sono aridi, vuoti, fanno tutto a forza di volontà e con fatica. Dopo questa, viene la “notte oscura dello spirito”, in cui non entra in crisi solo il sentimento, ma anche l’intelligenza e la volontà. Si arriva a dubitare se si è sulla strada giusta, se per caso non si è sbagliato tutto; buio completo, tentazioni a non finire. Si va avanti solo per fede. Molte coppie – ma vale anche per i rapporti di lavoro e le amicizie – non faranno fatica a riconoscere in ciò la propria esperienza. Anch’esse hanno attraversato nel loro matrimonio, la notte dei sensi in cui viene a mancare ogni trasporto e l’estasi dei sensi, se mai c’è stata, è solo un ricordo del passato. Alcuni conoscono anche la notte oscura dello spirito, lo stato in cui entra in crisi perfino la scelta di fondo e sembra di non avere più nulla in comune. Ma ricucire dà l’anima alle cose. Se siamo disponibili ad accettare che il senso dell’esperienza umana si dipana e si costruisce anche attraverso eventi dolorosi, allora possiamo fermarci ed interrogarci su quali elementi possono contribuire a migliorarla. E qui riferisco un discorso avvenuto anni fa con una di quelle donne che pare non esistano più, una persona capace di fare i cosiddetti “rammenti invisibili”. Guardato lo strappo, mi diceva, bisogna cercare la pezza. Che a volte si trova, a volte invece bisogna ricostruire. E lei mi diceva che, per il rammendo, si tesse dal rovescio, se si può con lo stesso filo, poi si completa dal diritto. Poi aggiungeva che bisogna stare attenti a seguire la riga: riga su riga. E mi indicava i fili sottilissimi della trama. E io la guardavo procedere tranquilla su un ordito che ormai le apparteneva e che io già non ricucivo più a seguire neppure con la vista. La leggerezza dei movimenti della mano di quella donna erano un tutt’uno con filo e ago e con colori artigianali: polvere di caffè ed essenza di mandarino. Erano mani delicate. Più delicate di quelle del ricamo. Perché è più difficile cucire su uno strappo. Ci vuole un’estrema attenzione per non sciupare un disegno che c’era, c’è, anche se è ferito, da uno strappo. Poi, alla fine, c’erano i nodi. Importantissimi. Più importanti del ricamo. In un rammendo i nodi, mi diceva, sono la cosa più stupida ma forse la più importante: se non reggono prima o poi si rovinerà tutto. C’è bisogno di fare dei nodi che tengano. E io me lo ricordo. I nodi che tengono sono la libertà della vita nell’amore della mia vita. La voglia di incastrarsi con la concretezza della verità.