Rossoporpora – Il “Gesù migrante”? Una truffa
Per la categoria Rassegna Stampa pubblichiamo questo articolo di Rossoporpora
Martedì 18 dicembre 2018 a mezzogiorno in punto siamo stati testimoni di un curioso fenomeno meteorologico in zona San Pietro. Una strana nube dal profumo inconfondibile e fortissimo d’incenso ha coperto in pochi secondi il Cupolone, estendendosi in men che non si dica all’intero perimetro vaticano e a via della Conciliazione. Ad eccezione del mondo turiferario (giustamente in gran festa in un martedì che d’ora in poi sarà chiamato del Gaudete), il fuggifuggi è stato generale, almeno per chi non è svenuto all’istante per la dose eccessiva propinata – come rivelano fonti attendibili – da Casa Santa Marta. Un Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede ha dato ragione immediatamente dell’accaduto, annunciando due nomine importanti nel settore della comunicazione vaticana: l’Ill.mo Dott. Andrea Tornielli da coordinatore di Vatican Insider (contenitore religioso de La Stampa) diventa “Direttore della Direzione editoriale del Dicastero per la Comunicazione” (leggi: dipenderanno de facto da lui i vari media vaticani, eccetto la Sala Stampa) e l’Ill.mo Prof. Andrea Monda si insedia come Direttore Responsabile de L’Osservatore Romano.
Insomma al Turiferario Maggiore hanno lucidato il turibolo, con la navicella per la scorta di incenso e pure le catenelle. Non solo: ma l’hanno rifornito di un incenso speciale, coltivato biologicamente in serra nelle pampas argentine, così da garantirgli sempre un prodotto del marchio migliore. Potrà così – come ha dichiarato lui stesso – servire devotamente e ancora meglio che non a ‘Vatican Insider’ (i cui problemi economici ormai non lo affliggeranno più) “un giornalismo che, nell’epoca degli slogan (NdR: che sia un riferimento indiretto a Carlo Maria Viganò, Raymond L. Burke, Matteo Salvini, Donald Trump, Steve Bannon, ecc…?.), sia in grado di analizzare la realtà tenendo sempre di conto di tutti i suoi fattori”. Questo detto, è giusto riconoscere che il talvolta irascibile Tornielli – cinquantaquattrenne chiozzotto, gran lavoratore – non è né uno sprovveduto nell’ambito della comunicazione (anzi…) né un incolto in ambito storico-religioso. Sa perfino mostrarsi ragionevole (non sempre): insomma, diciamolo, non è tra i peggiori turiferari in circolazione, non raramente identificabili per la piaggeria tanto vuota quanto spinta di cui sono imbevuti.
Veniamo allora ad Andrea Monda, che succede a Giovanni Maria Vian alla direzione de L’Osservatore Romano. Di Vian evochiamo un passo dell’intervista che gli facemmo nel novembre 2007, un mese dopo essere entrato in carica come nuovo direttore del quotidiano della Santa Sede, apparsa nel mensile Il Consulente RE (vedi)
Domanda: Ci ha incuriosito il passo di un’intervista rilasciata a 30Giorni 9/2007. Si stava parlando di Suo nonno Agostino, amico di papa Sarto, san Pio X: “Quello che mi lega a mio nonno – ha detto – è certo la fedeltà intransigente alla Santa Sede”, aggiungendo: “Naturalmente senza indulgere a cortigianerie che possono arrivare addirittura a forme di papolatria dolciastra”. Può esemplificare a proposito di “papolatria dolciastra”?
Risposta: Essere fedeli al Papa non è un atteggiamento formale, che si colora di una foresta di aggettivi magniloquenti e di espressioni iperboliche quando si riferisce dei suoi interventi. I contenuti dei discorsi del Papa dicono di per sé già tutto: basta presentarli perché traspaiano nella loro essenziale efficacia, senza arricchimenti formali superflui. Benedetto XVI sta imprimendo al suo pontificato uno stile di semplicità e di sobrietà che, secondo me, accresce ancora l’importanza dell’annuncio della verità di Cristo, come del resto ha detto ieri ai nuovi cardinali.
Ognuno potrà valutare se in questi anni Giovanni Maria Vian ha saputo/potuto mantenere l’atteggiamento da lui sopra descritto. Per parte nostra la risposta è sostanzialmente positiva: pur in condizioni non facili Vian – uno storico culturalmente valido – ha saputo/potuto dirigere perlomeno con decoro il giornale ufficioso della Santa Sede. Il suo successore è il cinquantaduenne calabrese Andrea Monda, laureato in Giurisprudenza e poi in Scienze religiose, che ha lavorato per alcuni anni – per conto di un istituto bancario – presso l’Ufficio legale dell’esattoria del Comune di Roma. Docente di religione nei licei dal 2000, ha tenuto seminari su cristianesimo e letteratura presso la Lateranense e la Gregoriana e collabora con alcuni media come Avvenire, TV 2000, La Civiltà Cattolica (scrive recensioni… e padre Spadaro è stato tra i primi a esultare per la nomina). E’ stato anche scelto da papa Francesco per curare con i suoi allievi i testi della via Crucis papale di quest’anno. Nipote dell’ex-ministro Riccardo Misasi (sinistra DC), già ratzingeriano di ferro, è stato fulminato sulla via delle pampas.
Di lui citiamo solo una considerazione contenuta in un’intervista fattagli il 17 giugno 2018 da don Mauro Leonardi (un altro ‘fulminato’): Il Papa è un punto luminoso perché appare per quello che è, un uomo vero, vivo, integro, in cui il pensiero, la parola e il gesto sono uniti nella vita in modo armonioso e coerente. Tanto basta (e speriamo in meglio). Lo chiameremo intanto il Turiferario Armonioso, tutto incenso e miele.
Un’ultima annotazione in materia. L’Avvenire di ieri, mercoledì 19 dicembre, ha ignorato in prima pagina le nomine e in pagina interna (Catholica, pag. 17) ha titolato in grande: Media vaticani, Monda e Tornielli nominati direttori. Nel sommario e nell’articolo la precedenza è data a Monda (che gerarchicamente de facto sarà però sotto Tornielli). Due le foto: la prima è di Andrea Monda e la seconda di Andrea Tornielli. Quest’ultima graficamente è venuta proprio male. Eppure Tarquinio il Superbo dovrebbe essere sollevato: è ormai ufficiale che non sarà Tornielli a scalzarlo dalla cadrega come a un certo momento si vociferava…
E Famiglia (cosiddetta) cristiana del 16 dicembre 2018 mette in copertina il grande titolo “Non c’era posto per loro” , evocazione evangelica attualizzata a due migranti ghanesi, alla loro figlia e a un nascituro, che sarebbero stati “messi in strada dal decreto sicurezza”. E il peraltro simpatico arcivescovo Giancarlo Bregantini nello stesso numero della rivista sinistrata si dichiara in palese sofferenza: “Ci preoccupa, ci angoscia e ci fa soffrire sentir dire al ministro Salvini che tanti cattolici gli chiedono di andare avanti sulla sua linea. (…) Che ci siano dei cattolici che ‘confortano’ Salvini sulla sua linea è veramente perdente come cristiani”.
E a Padova il prete pro-migranti don Luca Favarin scrive su Facebook che “quest’anno non fare il presepe è il più evangelico dei segni”. E che “applaudire il decreto sicurezza di Salvini e fare il presepio è schizofrenia pura. E che “chissenefrega delle quattro statuette, fare digiuno di questi segni ci fa tornare un appetito sociale valoriale di cui tutti abbiamo bisogno”.
E a Genova, a san Torpete, il noto don Paolo Farinella scrive una lettera ai parrocchiani per annunciare che dal 24 dicembre al 5 gennaio “San Torpete in Genova resterà chiusa per dire no a un Natale senza Cristo, un Natale senza Dio, un Natale senza uomo“. Per quali motivi? Leggiamo quel che scrive nel suo blog de Il Fatto quotidiano con eccezionale lucidità storica (e anche anatomica, come si potrà facilmente constatare): Gesù,“perseguitato dalla polizia di Erode e migrante in Egitto, riattraversa il mar Rosso e il deserto, affronta rischi e pericoli propri di un viaggio allucinante, arriva nel Paese del presepe e delle cattedrali che inneggiano il suo Natale, ma alla frontiera trova l’erede di Giussano con in mano un presepe di plastica, nell’altra il rosario, nell’altra ancora il Vangelo e con la quarta mano impone l’alt: ‘Voi tre non potete passare. Tornate da dove siete venuti e noi vedremo di aiutarvi a casa vostra, se a casa nostra avanza qualcosa, ma non ne sono sicuro’. Allora: Con quale diritto i cristiani possono pretendere di celebrare il Natale di quel Gesù che il loro Paese, senza alcuna loro resistenza o protesta, espelle come uomo nel Figlio di Dio? (…) Come è possibile aprire le chiese e baloccarsi con ninne-nanne, “Tu scendi dalle stelle”, canti gregoriani, presepi scellerati, quando fuori il vero Cristo è offeso, torturato, stuprato, vilipeso, venduto, schiaffeggiato, ucciso, come l’”uomo dei dolori” d’Isaia profeta? (Is 53).”. E’ evidente perciò che i cattolici che esaltano Salvini “sono complici di lesa umanità e di ‘deicidio’”.
Presepi in cui si evidenziano migranti e gommoni – sotto il segno di ‘Gesù migrante’ – ne sono stati allestiti in non poche parrocchie della Penisola con malcelato compiacimento dei vertici della Cei e delle sue propaggini mediatiche, in testa naturalmente Avvenire. E di preti che, magari nelle omelie domenicali, esprimono contenuti simili a quelli di don Favarin e don Farinella ne troviamo altri, ad esempio l’acuto don Paolo Tofani in San Piero di Agliana (Pistoia).
Gesù ‘migrante’ nel presepe di Betlemme? E’ una vera truffa, una proterva falsificazione e strumentalizzazione del Vangelo per ragioni politiche (e anche, come è stato più volte assodato, di mantenimento del business economico).
Leggiamo quel che scrive un riconosciuto esperto in materia biblica, l’insospettabile cardinale Gianfranco Ravasi, ex-prefetto della Biblioteca ambrosiana e da undici anni presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Anche Ravasi ha più volte ceduto alla demagogia radical-chic come ad esempio quando, nei giorni in cui la nave Aquarius vagava per il Mediterraneo alla ricerca di un porto, twittò (era l’11 giugno 2018, di prima mattina) il famoso “Ero straniero e non mi avete accolto” (Mt 25,43)… cui seguiva nel testo evangelico “Andatevene, maledetti, nel fuoco eterno!”. Tuttavia stavolta nel suo blog e nella Famiglia (cosiddetta) cristiana del 16 dicembre già citata, Ravasi ha scritto con onestà biblica a proposito di Maria e Giuseppe a Betlemme:
(in cammino per adempiere agli obblighi del censimento): Seguiamo, dunque, questa giovane incinta che con il suo sposo Giuseppe giunge a Betlemme, la patria del re Davide. Secondo i calcoli cronologici degli studiosi, siamo attorno al 6 a.C., mentre sulla Palestina regnava Erode che morirà nel 4 a.C. e sull’Impero romano Augusto (30 a.C.-14 d.C.), che controllava quest’area attraverso un governatore di stanza in Siria, Quirinio.
Spesso queste operazioni esigevano che i censiti si registrassero nella sede di origine del loro clan familiare. E così, Giuseppe, “figlio di Davide” (Matteo 1,20), cioè appartenente alla genealogia del celebre re ebraico, è costretto con la sua sposa incinta a scendere dalla regione settentrionale di Galilea fino alla meridionale Giudea, nella “città di Davide chiamata Betlemme proprio perché apparteneva al casato della famiglia di Davide” (Luca 2,4). Si può immaginare come sia stato faticoso questo trasferimento per una donna incinta, ormai prossima a partorire, come era allora Maria.
(non c’era posto per loro, come titola con intenzioni anti-salviniane Famiglia (cosiddetta) cristiana ?) Appena entrati in Betlemme, ecco l’affannosa ricerca di un’ospitalità, impegno reso difficile dall’affollarsi di altri più o meno reali discendenti di Davide confluiti in quel villaggio per il censimento. Luca sottolinea che quella coppia povera non trovò posto nel katályma. Questo vocabolo greco ha vari significati possibili: locanda, casa, alloggio, soggiorno, stanza. Prevalente è, però, l’idea della stanza di una casa, come si ha nel racconto dell’ultima cena, quando i discepoli devono chiedere, su indicazione di Gesù, a un cittadino gerosolimitano: “Dov’è la stanza (katályma) in cui posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli?” (22,11).
Perciò, è probabile che i parenti di Giuseppe non avessero più a disposizione una stanza per lui e la sposa incinta. Gli offrirono, allora, uno spazio collegato alle residenze di allora, ove erano ospitati gli animali di notte e d’inverno e ove spesso si riuniva la famiglia nelle serate fredde. È san Girolamo che visse per decenni a Betlemme a evocare questo riparo offerto da una grotta naturale o scavata nella roccia, addossata o inglobata nella casa di una famiglia. Si spiega, così, la mangiatoia che funge da culla per il neonato Gesù. Infatti, come narra Luca, là ”si compirono per Maria i giorni del parto e diede alla luce il suo figlio primogenito” (2,7).
Altra truffa per motivi politici e di business economico. Leggiamo che dice della ‘Fuga in Egitto’ uno dei più accreditati studiosi di san Giuseppe e della Sacra Famiglia, il biblista e teologo oblato Tarcisio Stramare. In un’intervista del 4 febbraio 2018 condotta dal direttore del sito “La fede quotidiana”, Michele M. Ippolito, padre Stramare osserva:
Non è esatto affermare che Gesù fosse figlio di migranti e dunque migrante”.
La Sacra Famiglia, come tutte quelle del tempo, del resto, si era mossa non spinta da motivi di migrazione, ma per rispondere al censimento, farsi registrare e pagare il tributo previsto, un atto di normale amministrazione allora. Il Vangelo è chiaro. Magari il riferimento è al successivo trasferimento in Egitto, però anche in quel caso non possiamo parlare di migranti”.
Alla luce delle attuali categorie l’ andata o meglio la fuga in Egitto, non sarebbe qualificabile come migrazione, al massimo la Sacra Famiglia sarebbe stata considerabile di rifugiati o esiliata. In tutta sincerità non amo, parlo per via generale, questi accostamenti con la stretta attualità e a categorie sociologiche o politiche. Oggi è di moda dire che tutti quelli che si muovono sono migranti ed esiste la tendenza a strumentalizzare Gesù e la stessa Sacra Famiglia a fini politici”.