Blog / Nicola Sparvieri | 29 Novembre 2018

Le Lettere di Nicola Sparvieri – La vera storia di Onesimo di Bisanzio. La fuga dalla schiavitù e un incontro decisivo

Mi ha sempre intrigato la storia di Onesimo di Bisanzio. Vedo in questo schiavo del I secolo qualcosa che parla di me. La reazione alla schiavitù, la fuga avventurosa, un incontro decisivo e il ricapitolare tutto nella libertà.

Ecco la sua storia e i motivi che me la rendono cara.

Onesimo è una figura storicamente esistita. Di lui ne parla S. Paolo in una lettera che è da tutti riconosciuta nel canone cattolico come autentica, la “Lettera a Filemone”. È la più breve lettera di Paolo che sembra fu scritta intorno al 60 DC mentre Paolo si trovava in una prigione romana e tra tutte è particolare perché è una lettera personale, cioè scritta non ufficialmente a una Chiesa ma a un singolo cristiano, con cui “privatamente” affronta uno specifico problema.

Quale è questo problema?

Filemone era un ricco cittadino di Colossi che si era convertito al cristianesimo ascoltando la predicazione di Paolo a Efeso. Colossi era una città piuttosto piccola dell’entroterra della Frigia (oggi Turchia) sulla strada che collegava Efeso alla Palestina. Nel corso dei secoli la città poi decadde e nel medio evo era praticamente sparita a causa di un terremoto. Risulta che non siano mai stati fatti scavi archeologicinell’attuale sito. Efeso invece era una città importante, capitale della provincia romana dell’Asia Minore e di glorioso passato. A Efeso era nato il famoso filosofo greco Eraclito (quello del “tutto scorre”).

Paolo aveva fondato delle comunità cristiane a Efeso e alcuni abitanti di Colossi erano presenti alla sua predicazione. Tra questi Filemone, Epafra, Arpfia e Archippo, figlio di Filemone. Questi hanno poi, a loro volta, fondato la comunità cristiana di Colossi e Epafra sembra sia stato il primo vescovo.

Il nocciolo della lettera riguarda Onesimo, uno schiavo di Filemone, che, a un certo punto, decide di fuggire dal suo padrone dopo averlo derubato. La sua fuga lo aveva condotto a Roma dove Paolo, in quel momento, si trovava agli arresti domiciliari in attesa di essere giudicato dall’Imperatore come racconta Luca negli Atti degli Apostoli.

In quale modo Onesimo si imbatté in Paolo non si sa, ma il fatto è che i due si incontrarono e, dai colloqui che ne seguirono, Onesimo si convertì al cristianesimo e iniziò a cambiare vita e a collaborare con Paolo nell’ apostolato.

La fuga di uno schiavo dal suo padrone era considerata un fatto molto grave dalla legge di allora. Il reato veniva punito con condanne molto dure. Per noi pensare alla schiavitù è completamente fuori dal concepibile, ma quello che a noi sembra una mostruosità era in realtà perfettamente normale. Secondo la legislazione romana del I secolo, lo schiavo era completamente in balìa degli umori del suo padrone. Giuridicamente lo schiavo non era una persona ma un oggetto del quale il padrone poteva disporre liberamente. Essendo collocato sullo stesso piano degli animali domestici e degli arnesi da lavoro non era preso in considerazione dal diritto civile. Una famiglia normale poteva avere fino a due o tre schiavi, una persona ricca del I secolo ne poteva avere fino a diverse decine. I lavori svolti dagli schiavi nelle case erano molto vari, c’erano schiavi che lavoravano come custodi, cuochi, camerieri, addetti alle pulizie, corrieri, bambinaie, balie, oltre ad altri che rendevano servizi personali di ogni genere, per non parlare di quelli che esercitavano professioni dotte nelle case più grandi e più ricche. In pratica, la qualità della vita di uno schiavo impiegato in una casa dipendeva moltissimo dalla disposizione del padrone: chi aveva un padrone crudele poteva subire una serie infinita di cattiverie, ma un padrone buono e generoso poteva rendere la vita tollerabile e forse anche piacevole.

Paolo sapeva che lo schiavo fuggitivo Onesimo doveva tornare al suo legittimo proprietario ma era cosciente dei rischi che correva nel dover rispettare la legge. Tuttavia la condizione di una autentica vita cristiana per Onesimo passava proprio per il rispetto della legge da un lato e per la riconciliazione con Filemone dall’altro. Per questo motivo Paolo si decise a scrivere una lettera a Filemone nella quale si rivolge anche alla moglie Affia e al figlio Archippo e alla Chiesa che era presso la stessa casa di Filemone (la Chiesa dei primi secoli era unicamente Chiesa Domestica), con l’intento di chiedere di accogliere e perdonare Onesimo e di trattarlo come fratello nella fede. Paolo non impone, come forse avrebbe potuto fare, la riconciliazione tra i due ma la chiede in forza dell’amicizia che lo lega a Filemone facendo leva sulla comune fede che ormai unisce Onesimo a entrambi.

La lettera fu portata a Filemone da Tichico, che era un collaboratore di Paolo, insieme alla più famosa lettera ai Colossesi. Proprio in quest’ultima ci viene rivelato che Onesimo effettivamente ritorna a casa da Filemone (capitolo 4, versetto 7-9 dove Paolo scrive: “Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tichico, il caro fratello e ministro fedele, mio compagno nel servizio del Signore, che io mando a voi, perché conosciate le nostre condizioni e perché rechi conforto ai vostri cuori. Con lui verrà anche Onesimo, il fedele e caro fratello, che è dei vostri. Essi vi informeranno di tutte le cose di qui.“).

A parte le considerazioni sull’importanza del perdono e sul diritto di proprietà, che va comunque rispettato, la lettera non ci spiega perché Onesimo si trovasse con Paolo a Roma a più di mille chilometri da Colossi. Soprattutto nulla ci dice su quello che successe veramente ad Onesimo dopo il suo rientro a casa. Se Filemone lo accoglie con amore in obbedienza a Paolo, o se prevarrà in lui il lato umano e le circostanze sociali. Forse non sarà stato punito a norma di legge romana, ma quale è stata la sua vita dopo il suo rientro?

Ovviamente la domanda non ha senso. È come chiedere quanti figli siano nati a Lucia Mondella e Renzo Tramaglino dopo il matrimonio, dato che il romanzo dei Promessi Sposi non ne parla.

Qui la storia di Onesimo di Bisanzio finisce ma non il nostro desiderio di saperne di più anche perché, come ho detto all’inizio, questa storia mi ha sempre intrigato perché anche io sono un po’ Onesimo. Anche io infatti mi sono sentito schiavo di una vita troppo stretta, del lavoro e del matrimonio. Anche io ho rubacchiato e tradito per alleviare le mie sofferenze. Anche io ho avuto e ho un sogno di libertà e felicità che mi sottragga da una società ingiusta e schiavista fatta di convenzioni inutili e pallose. Anche io ho detestato le regole troppo rigide, ho detestato un cristianesimo ipocrita e benpensante, ho detestato una politica corrotta e l’arroganza dei più furbi. Anche io ho rubato e tradito e sono scappato. Scappato nella pratica ma soprattutto con la testa e sono andato vagando.

Vale quindi la pena di forzare la realtà storica che fino ad ora ho raccontato cominciando a inventare quello che è successo dopo. Inventare e/o immaginare, dato che immaginando dipingo quello che più preferisco o quello in cui più mi trovo. A me piace pensare a quello che passava per la mente di Onesimo nel corso della sua vita avventurosa e immaginare la sua vita dopo il rientro. Mi piace immedesimarmi in lui nella sua vita prima della fuga, nelle sue sofferenze inaudite e del tutto immeritate. Poi mi piace vivere con lui la sua fuga avventurosa e disperata in cui si gioca il tutto per tutto per di non vivere in un modo di cosi basso profilo. Sento di fare il tifo per lui nel momento esaltante della fuga.

Dopo la fuga poteva pensare a un taglio netto e a una nuova vita inventandosi un nome nuovo e una nuova reputazione tutta da costruire. Poteva cercare di riprendersi quello che la vita gli aveva ingiustamente negato fino a quel momento. Ma lui ha voluto altro: mettersi alla ricerca di qualcosa o qualcuno che gli consentisse di saldare il nuovo col vecchio, senza mai tornare alla condizione di schiavo, ma in modo che nulla della sua vita andasse perduto. Quello che veramente voleva era di non rinnegare nulla della sua storia ma recuperare ogni cosa in un modo nuovo e soddisfacente. Forse quello che aveva lasciato era anche qualche amico vero o una relazione con una schiava con cui aveva forse condiviso la fantasia di un progetto di vita insieme. Tornare alla sua casa ma come uomo libero era il suo desiderio profondo per poter risaldare i pezzi di una vita che doveva essere unica. E allora forse cercare l’unica persona che avesse ascendente sul suo ex padrone poteva valere la pena per raggiungere questo scopo.

Imbattersi nella figura di Paolo deve essere stato risolutivo e fidarsi di lui e tornare indietro, sapendo quello che rischiava, non deve essere stato facile.

Onesimo ha ritrovato la sua casa accolto da Filemone che ha obbedito a Paolo ma forse l’accoglienza non è stata quella del padre del figliol prodigo e la fuga di Onesimo è stata accettata e tollerata ma forse mai perdonata pienamente da Filemone.

Onesimo è tornato a casa con una mente diversa, con esperienze che lo hanno maturato, ha conosciuto Paolo e una conversione vissuta concretamente sulla sua pelle. Ora egli è una persona diversa e la relazione con Filemone, benché cristianamente corretta, è lontana e difficile.

Ma ora vive una pienezza mai sperimentata, una libertà che, oltre che giuridica, riguarda le idee e le cose che finalmente sente di poter fare in libertà. Ora sente che vivere la sua libertà e la sua felicità, consiste nell’essere se stesso. In questo essere se stesso si sente veramente “a casa” al di là del luogo fisico in cui mai si fosse trovato. Sente ora tutte le positive conseguenze di aver scelto di conservare l’unità della sua vita senza rifiutare nemmeno quel periodo tremendo di schiavitù che ora restituisce tanta felicità.

Onesimo è venerato come santo da tutte le chiese cristiane.

 

Nicola Sparvieri (Roma, 1959), sposato, nove figli, vive e lavora a Roma. Laurea in Fisica. Per interesse ed esperienze personali segue le vicende del cattolicesimo nelle sue relazioni con la Scienza e la Società. Ha un blog