Alessandra Bialetti / Blog | 20 Novembre 2018

Le Lettere di Alessandra Bialetti – Pensieri sparsi: Giovanni Franzoni

La settimana scorsa, venerdì 9 e sabato 10 novembre, ero alla Comunità Cristiana di Base di San Paolo al convegno “Storia e Profezia: l’eredità di Giovanni Franzoni” in occasione del suo novantesimo compleanno. Non ho la pretesa di dire nulla di Giovanni Franzoni come esperienza diretta dato che non ho avuto il dono di seguirlo in vita ma di iniziare a conoscerlo attraverso i vissuti, i racconti e i percorsi degli amici della Comunità. Di lui ognuno può sapere che dopo essersi formato al sacerdozio all’interno dell’ordine benedettino, fu eletto abate dell’abbazia di San paolo fuori le mura in Roma e che, partecipò alle ultime sessioni del Concilio Vaticano II. Proprio in quegli anni ebbe inizio l’esperienza della Comunità di Base di San Paolo in cui Franzoni coniugò sempre la lettura del vangelo e della situazione politica e sociale. Le sue posizioni e le sue scelte lo portarono nel tempo ad essere sollevato dall’incarico di abate, alla sospensione a divinis e alla riduzione allo stato laicale. Non abbandonò però mai la sua lotta a fianco degli ultimi continuando a seguire, tra l’altro, il percorso della Comunità e dei tanti che con lui hanno camminato

Queste sono scarne notizie che tutti possono reperire in rete: io posso condividere dei piccoli pensieri che ho maturato nell’ascolto dei vari interventi e che mi sono rimasti nel cuore.

Si è parlato di un mondo ripiegato su se stesso in cui i veri maestri di vita sono le persone di strada, quei perduti e ritrovati che hanno fatto parte del popolo di Franzoni, dei suoi sforzi di ascolto, di accoglienza, di inclusione. Tutti passi in cui nessuno si sentisse escluso ma appartenente a pieno diritto della chiesa quale popolo in cammino. Perduti e ritrovati: perché solo mettersi alla ricerca dell’ultimo fa incontrare schiere di gente che attendono una parola, un gesto, un abbraccio o, semplicemente, di sentirsi parte di un progetto universale d’amore.

La sera di venerdì, nello spettacolo di Marco Campedelli, sono stata inchiodata da una “semplice” frase: Franzoni fedele all’amore. La sua fedeltà è stata a quel vangelo non fatto di regole che dividono in buoni e cattivi, ma di carne. Di storie di vita, di mani, di visi, di braccia, di corpi da stringere e anime da accarezzare. Fedele all’amore perché Gesù è amore e rimanere fedeli a lui vuol dire non dimenticare mai la dedizione all’Uomo, qualunque esso sia. Un amore che può assumere le forme più diverse ma che trova la sua ragione di essere nella fedeltà ad un progetto di bene, nonostante le cadute, gli sbagli, le situazioni paradossali della vita.

E poi Franzoni come uomo del Noi. In lui il passaggio dall’Io autoreferenziale al Noi è stato un percorso di vita. La persona che diventa un Noi, pur non perdendo mai la propria unicità, che entra a far parte di una cittadinanza in cui ognuno si possa riconoscere e sentirsi accolto. Un noi che rende l’uomo creatura universale dove universale (cattolico nel credo che recitiamo) sta ad indicare una responsabilità condivisa, un occhio uno sull’altro, un aver a cuore non solo se stessi ma la vita dell’altro. L’altro è “affar mio” esattamente come io lo divento in un cammino comune. E l’altro senza etichette, catalogazioni, senza schieramenti buoni-cattivi perché essere contro una categoria di persone vuol dire essere contro l’umanità intera. Franzoni uomo di parole che diventano fatti: l’unica parola credibile è l’azione. Radicale, coerente, autentica, coraggiosa.

E la commozione la sera di sabato nel seguire i “bambini” di Giovanni ora giovani belli, positivi, in cammino verso la loro vita. I bambini che con lui e con le mani e parole amorevoli della Comunità sono cresciuti alla scoperta di quel mondo di perduti e ritrovati che hanno celebrato sul palco. Nel loro modo, con i loro gesti, con i loro ricordi. Con Giovanni hanno camminato nel laboratorio di religione, esperienza nata con l’intento, non di rappresentare un vivaio per allevare cattolici del dissenso, ma di creare un luogo di relazioni in cui fornire gli strumenti perché i bambini potessero operare le loro scelte e trovare il loro percorso di fede. Bellissima la metafora di Giovanni che ha accompagnato questi bambini a crescere e ad assumere responsabilità: “la vita è come il gioco a carte non ti puoi tenere tutte le carte in mano qualcuna la devi scartare. Come sarà la tua vita dipenderà dalle carte che deciderai di tenere e quelle che deciderai di scartare.” E su questo stimolo i bambini hanno esplorato i loto territori tenendo e scartando carte alla ricerca di se stessi e del mondo accanto. Tra le carte tenute strette questi bambini ormai cresciuti ci hanno parlato del sogno di una chiesa “altra”, povera, libera e forse scomoda; dell’importanza dell’ascolto e dell’attenzione all’altro; della parità e mai della sopraffazione; del coraggio di fare scelte anche impopolari e spesso non comprese nemmeno dalle persone accanto; della delusione di un mondo in cui sembravano contare solo gli assi ma che spingeva ad agire, a cambiare, a muoversi. A fare scelte coraggiose per essere se stessi e semi di novità e cambiamento. E alla fine dello spettacolo commuoversi di tenerezza e di speranza vedendo i ragazzi seduti per terra davanti ad un video in cui scorrevano le loro immagini di piccoli accanto a quel Giovanni mai una spanna sopra ma accanto a loro alla scoperta di quel diamante prezioso ritrovato e da ritrovare anche in mezzo a tanto letame, a tanta negatività. Ecco che ritorna l’essere fedeli all’amore.

Solo una volta ho partecipato alla celebrazione eucaristica con la presenza di Giovanni. Ricordo questo aneddoto: Giovanni amava parlare e spesso si dilungava. Così fece quel giorno e improvvisamente un partecipante della Comunità con fare molto deciso lo ha interrotto dicendo che doveva lasciare spazio anche agli altri. Ecco cosa mi ha colpito: essere pari tra pari, non il maestro cui si deve timore reverenziale, che non si deve interrompere, del quale si deve avere rispetto solo per un ruolo ma un compagno di cammino, un essere come gli altri, un condividere lo stesso percorso, una parola che ha lo stesso spessore e ricchezza di quella degli altri. E Giovanni ha lasciato la parola e si è posto in ascolto esattamente come altri avevano fatto con lui. Una comunità matura accompagnata a crescere e a portare frutti anche dopo la partenza del suo “fondatore”.

Virgoletto fondatore perché, come è stato più volte ripetuto, la Comunità di base non è Giovanni Franzoni e Giovanni Franzoni non è appannaggio esclusivo della Comunità di base. Giovanni è eredità di tutti, a tutti ha parlato, a tutti ha lasciato un compito prima preso su se stesso, a tutti ha lasciato quel monito di essere fedeli all’amore. Sempre e ovunque.

E infine una frase su tutte: “Non si è dato nulla fino a quando non si è dato tutto”.

Grazie Giovanni

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.