METRO – Ecco quando una maschera è pericolosa
“Persona” in latino vuol dire maschera. Era una protezione che copriva il volto ma, non essendoci i microfoni, serviva anche come rudimentale megafono: per-sona. Questa identificazione tra noi e la necessità di un travestimento ci dice molta verità. Fra tutte, quella per cui per stare nel mondo abbiamo bisogno di proteggerci. La vita con gli altri ci impone molte maschere: sociali, economiche, lavorative. Sono una gabbia ma al contempo sono necessarie per avere relazioni, per sopravvivere. Chi non ricorda in Cado dalle nubi la battuta di Checco Zalone al prete che, senza colletto, non viene riconosciuto? Ha ragione Checco, eppure conosco tanti preti bravissimi che non portano il colletto né alcun altro segno di riconoscimento. Le maschere sociali sono necessarie finché sono in funzione della nostra identità, ma diventano pericolose quando non le usiamo “come megafono” ma siamo a noi a vivere in funzione di esse: quando confondiamo questi simulacri con il nostro vero io. Allora la maschera che dovrebbe servire a potenziare la nostra voce – la nostra identità – diventa un guscio che copre il nostro vuoto esistenziale e la bugia diventa lo schema della nostra vita. Non è così per i miei amici preti senza colletto, che si vestono in questo modo non perché si vergognano della loro identità ma per essere vicini anche a chi prova disagio quando vede il colletto di un prete.
Tratto da Metro