Blog / Valentina Grimaldi | 21 Settembre 2018

La Dott.ssa Grimaldi risponde – L’età del no: un cruccio per tanti genitori

Per inviare quesiti o richieste alla pediatra, puoi scrivere a [email protected]


Cara Valentina,
ho 35 anni ed ho una bambina di quasi un anno. Ho letto molti libri ed opuscoli sull’educazione dei figli e spesso ho letto della cosiddetta “età del no”. Vorrei saperne di più e capire cosa rappresenta per il bambino e soprattutto come affrontarla da madre. Grazie, Federica da Roma

Dalla nascita fino all’età adulta il filo conduttore della crescita di un figlio, ma più in generale di un individuo, è la costruzione della propria identità, autonoma rispetto a quella dei genitori . Tale processo passa attraverso due meccanismi psicologici fondamentali di separazione ed individuazione che portano appunto il figlio a separarsi dalle figure genitoriali (agli inizi soprattutto la madre) per poi individualizzare e caratterizzare la propria personalità, strutturandola secondo le proprie inclinazioni individuali.
L’età del no rientra proprio in questo meccanismo di separazione ed individuazione che porterà poi nel tempo alla formazione dell’individuo adulto. Si colloca generalmente intorno ai 3 anni, quando appunto il bambino entra nell’età della prima opposizione: dice sempre “io”, “è mio”, “no”, perché queste sono un po’ le parole chiave della sua crescita. Opponendosi a noi, molte volte in modo ostinato e testardo, comincia ad affermare il suo iniziale nucleo di identità. Ora la grande domanda è: cosa devono fare i genitori? Assecondarlo pensando che è una fase  e prima o poi passerà? Contrastarlo ferocemente e strenuamente perché è meglio agire subito e far capire chi è che comanda? Come sempre la cosa giusta è trovare un equilibrio fra i due estremi.

Questa è una fase molto importante per la crescita del bambino, perché pone le basi per la propria individualità futura e lo fa confrontandosi con l’autorità (con i genitori) che devono essere autorevoli (non autoritari) per contenerlo e guidarlo. Assecondarlo incondizionatamente è sbagliato perché equivale a lasciarlo da solo, senza “nessuna indicazione” in balia di sé stesso e dei suoi impulsi; allo stesso modo contrastarlo e piegarlo di continuo non concedendogli mai nulla equivale a “castrare” ogni suo tentativo di sperimentazione del sé mortificandolo. Pertanto l’obiettivo è mantenere un giusto equilibrio, usando più l’astuzia che la forza: lo scopo infatti non è “vincere” su nostro figlio, ma piuttosto condurre il gioco fino a quando il bambino non sarà capace di farlo da solo.

A 3 anni saranno mille al minuto le situazioni nel quali un bambino dirà no e si opporrà, dobbiamo essere noi a capire, da adulti (perché non dobbiamo mai dimenticarci che gli adulti siamo noi e non nostro figlio), quali sono le situazioni cruciali nelle quali bisogna essere fermi (perché sentiamo che nostro figlio sta misurando la nostra autorità su di lui) e quelli nei quali una trattativa o una concessione saranno molto più utili di un atto di fermezza, la flessibilità intelligente (non la resa impotente) è molto più resistente della forza!

Un esempio per tutti: se al mattino al momento di prepararsi per l’asilo vorrà indossare una maglietta anziché un’altra, tenere il punto solo perché “è la mamma che decide cosa devi metterti”, può essere piuttosto inutile oltre che terribilmente faticoso. Concedergli di indossare quella che preferisce, sottolineandogli che gli permettete questa cosa perché avete capito quanto a lui piaccia quella maglietta, non fa perdere autorevolezza al genitore, ma conferma il suo ruolo guida perché concedere così come vietare è proprio di chi tiene le fila del gioco, di chi comanda.

 

Valentina Grimaldi è nata nel 1964, laureata in medicina e chirurgia nel 1989 all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma e specializzata nello stesso Ateneo in Pediatria nel 1993. Autrice di diverse pubblicazioni scientifiche e relatrice in convegni nazionali ed internazionali; ha conseguito un master di II livello in Allergologia pediatrica. Dopo l’esperienza ospedaliera e di ricerca presso il Policlinico Gemelli di Roma, esercita a Roma la professione di pediatra di famiglia dal 1996. Da sempre attenta alle problematiche psicoeducazionali e della genitorialità si è specializzata in Psicoterapia Infantile per meglio soddisfare i bisogni di salute dei bambini e delle loro famiglie. Questa rubrica non vuole sostituirsi al medico curante né alimentare il fai da te, al contrario vuole indurre il lettore a riflettere su alcune tematiche comuni ai bambini ed alle famiglie per poi affrontarle nelle giuste sedi con il pediatra di fiducia o lo psicoterapeuta

Simple Share Buttons