Avvenire – Ondate di indignazione digitale e sopravvivenza delle istituzioni
La rubrica odierna di WikiChiesa di Guido Mocellin cita il mio articolo “FarodiRoma – Condannare una mamma senza saperne nulla“
Con un bel post che, pur se composto da 12mila caratteri, va letto per intero, fra Paolo Benanti prende spunto dalle reazioni ai fatti di Genova per un’autopsia dello «stato di rabbia diffusa» dai social network, delle ondate di «indignazione digitale» e della loro incapacità di «strutturare il discorso e lo spazio pubblico». Ne trae un referto preoccupato, che egli compila riguardo allo Stato ma che tocca più o meno tutte le istituzioni: hanno scarse probabilità di «sopravvivere in questa crisi di sovranità digitale». Associo a tale preoccupazione anche le reazioni a un evento incomparabilmente piccolo a confronto della catastrofe di Genova. Protagonista una famiglia: ci sono una mamma concentrata sul suo smartphone e una figlia alla quale, per un minuto e mezzo, la mamma pare indifferente. Quando il video che documenta tutto ciò va in Rete, riferisce don Mauro Leonardi riprendendo un post di Francesca Gheduzzi, «l’odio sul web parte e la signora», di cui non sappiamo nulla, ma che probabilmente è solo una madre stanca, «diventa un incrocio tra la strega cattiva e Godzilla».
Mi chiedo quale sia il grado di esposizione dell’istituzione-Chiesa a questo rischio di sopravvivenza all’indignazione digitale. Certo, bisogna distinguere tra la rabbia che si esprime dall’esterno, allorché vengono alla luce casi di controtestimonianza come quelli, nuovamente al centro dell’attenzione in questi giorni, relativi alla pedofilia del clero, e la rabbia, per così dire, intraecclesiale, allorché cristiani singoli od organizzati manifestano violentemente il loro dissenso online non solo e non tanto a fronte dei medesimi casi di inoppugnabile controtestimonianza, ma anche in più opinabili casi di decisioni di governo e di orientamenti teologico-pastorali non condivisi. Serve comunque anche alla Chiesa trovare i modi, auspicati da Benanti, per «imbrigliare le onde di una rabbia che altrimenti si rivelerà come mera forza distruttrice, privandoci […] di ogni desiderio di futuro».
Tratto da Avvenire