Blog / Luciano Sesta | 14 Agosto 2018

Le Lettere di Luciano Sesta – La maternità surrogata e il diritto gay di essere capace, come gli altri, di rinunciarvi

Per riconoscere diritti anche alle coppie gay, non è necessario omologarle alla famiglia tradizionale, come invece facciamo quando, con la maternità surrogata, ne accogliamo le più radicali richieste di emulazione della sua struttura eterosessuale. “Avere figli”, in effetti, è una peculiarità eterosessuale, non omosessuale. Quando gli omosessuali, con la maternità surrogata o l’adozione di minori, chiedono di essere come gli eterosessuali, non si comportano in modo diverso da altri omosessuali che, non accettando la loro omosessualità, cercano di renderla più simile possibile all’eterosessualità ricorrendo alla terapia riparativa. Il rischio, insomma, è che le coppie gay che rivendicano il diritto di adottare bambini o di procrearli artificialmente, non si avvedono di essere guidate da un pregiudizio “eterosessista”, e cioè dalla convinzione che coppie omosessuali senza figli non siano pienamente coppie, e che solo la coppia eterosessuale, con la sua funzione procreativa, sia veramente degna di essere chiamata “coppia” o “famiglia”.

Non nego, come ho scritto in tante occasioni, che le persone omosessuali abbiano lo stesso diritto di amarsi che hanno gli eterosessuali, e di farlo nella piena accettazione e valorizzazione della loro specifica condizione, senza complessi di inferiorità nei confronti dell’amore eterosessuale. Il caso della maternità surrogata, però, non rientra a mio avviso in questo “diritto di amore”. Qui, infatti, la tendenza mimetica della coppia gay non si limita a riprodurre, in proprio, i tratti della famiglia eterosessuale, ma li “toglie”, per così dire, alla stessa famiglia eterosessuale. E “togliere”, qui, non è una metafora, visto che, nella maternità surrogata, al bambino è fisicamente tolta la propria madre.
Io non credo che le persone che formano una coppia gay, e che hanno un comprensibile e umanissimo desiderio di figli, siano così limitate da non comprendere che, anche se dolorosa, la rinuncia ad avere un figlio in questo modo è ragionevole. Ed è anzi un gesto di maturità affettiva, richiesto, peraltro, anche a coppie eterosessuali tentate dalla fecondazione eterologa. Talvolta, purtroppo, corriamo il rischio di assecondare tutte le richieste delle persone omosessuali, anche le meno accettabili, per tacitare il nostro storico senso di colpa nei loro confronti, vista la discriminazione a cui le abbiamo sottoposte socialmente e moralmente. In questo modo, però, continuiamo, anche se più sottilmente, a discriminarle, ritenendole incapaci di porsi dei limiti che, al di là del fatto che si sia omosessuali o eterosessuali, è giusto che ogni persona ragionevole si ponga. Rispettare tutte le persone, in effetti, significa rispettare anche i bambini. Anche loro sono persone. E rispettare tutte le persone significa rispettare anche la loro capacità di porsi responsabilmente dei limiti. Senza pensare che siano incapaci di farlo.

 

Luciano Sesta, sposato e padre di quattro bambini, è docente di Storia e Filosofia nei Licei Statali Insegna Antropologia filosofica e bioetica all’Università di Palermo, ed è stato membro dell’Ufficio della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo. Ha pubblicato numerosi saggi nell’ambito della teologia morale, della bioetica e dell’etica