Blog / Libri recensiti dal blog | 04 Agosto 2018

Carmelo Abbate – Maschi normalmente bastardi

Chi critica l’uso del termine “femminicidio” dovrebbe leggere una per una le dieci storie collezionate nel libro di Carmelo Abbate.
“Bastardi”, infatti, sono certamente tutti gli uomini che si macchiano di quei terribili delitti che hanno come presupposto il ritenere che le donne, in quanto tali, siano oggetti a loro propria disposizione ma – e qui sta la sottolineatura di questo saggio/romanzo – non sono “bastardi” solo i protagonisti della violenza: lo sono anche tutti i maschi che sghignazzano, minimizzano o sottovalutano.
L’aggettivo “bastardo”, forte, è in linea con il giornalismo di quell’Abbate che siamo abituati a vedere in Tv e che io ho conosciuto frequentando il set di Quarto Grado. Lì Carmelo mostra che la sua forza non sono solo i concetti espressi dalle parole, ma anche il modo di parlare, la gestualità, la schiettezza: davanti alle telecamere e dietro Abbate è la sincerità del cuore fatta carne. Carmelo Abbate è un giornalista che non appartiene a nessuna scuderia: o anche, che appartiene solo a quella scuderia che si chiama verità.
Io, in quanto maschio, leggendo questo libro, mi sono dovuto fare un esame di coscienza rigoroso. E mi sono profondamente pentito di alcuni miei atteggiamenti e, al contempo, mi sono adirato per tutti i miei colleghi maschi – perché anche i preti sono maschi, non dimentichiamolo – che arrivano persino a dire che la donna, vittima, sarebbe invece la colpevole. Perché porterebbe il marito all’esasperazione, perché con il proprio vestiario “provocherebbe” gelosie e successive violenze, e così via. Sciorinando l’intera giostra delle altre solite crudeli assurdità.
Gli uomini bastardi sono quelli che, pur non intervenendo direttamente, fiancheggiano con la loro indifferenza e superficialità, una visione subculturale della donna e della femminilità, rimanendo sordi di fronte al crescere delle denunce per gli abusi subiti da molte donne, non solo quelle famose e bellissime ma anche quelle normali: impiegate, cassiere, ragazze, madri, mogli, compagne.
Carmelo Abbate, con acume e oggettività chirurgica, fedele al metodo giudiziario, racconta con nettezza dieci storie tragiche dove a farla da padrona è stata, non solo la vicenda in sé, ma anche l’assenza di solidarietà umana. Per compiere un delitto infatti, non basta la violenza di una singola persona, di un maschio, ma serve anche che la vittima venga lasciata sola.
Infine, a saldare il tutto e a dargli una particolare qualità, ecco la decisione di Abbate di presentare come protagonisti negativi di queste storie tutti uomini “normali”. Non mostri cui chiunque avrebbe pronosticato la capacità di compiere un delitto ma maschi qualsiasi. Un operaio, un bravo marito, maschi quotidiani e feriali accomunati però da un patologico infantilismo e da un egocentrismo assurdo e criminale che consente loro di vedere la propria donna come proprio possesso, come oggetto sempre a disposizione. Abbate, con i tratti del romanziere, racconta come la terribile onnipotenza egolatrica di questi individui, inneschi una spirale di violenza che, come il fiume in piena, distrugge ogni cosa, tutto e tutti. Il dolore provocato da un amore che non è tale ma che è solo possesso fa risaltare, per opposizione, la bellezza dell’amore vero che tutti dovremmo provare, difendere, custodire, insegnare e proteggere.

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