Il crocifisso esibito nei porti, simbolico argine alla temuta islamizzazione dell’Occidente cristiano, cifra di un’identità che ci tiene a precisarsi, e per contrasto. Senza capire che il crocifisso non può mai essere esibito come delimitazione, ma solo vissuto come apertura. Senza capire che il concetto stesso di “esibizione” è incompatibile con il significato del crocifisso, che è quello di una divina discrezione, che all’ostentazione della gloria preferisce l’umiliazione del nascondimento. Senza capire che poiché nel crocifisso Dio è presente solo in quanto si è lasciato togliere di mezzo, non ha senso imporre per legge chi ha rinunciato a imporsi. Un Dio “esibito” come frontiera non è più Dio, ma una divinità patriottica partigiana, forse un travestimento cristiano delle acque padane. Non certo il Dio vivo e vero, che nei Vangeli, parlando della propria crocifissione, ha detto: “quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv). Niente di più attraente, infatti, di un Dio che rinuncia a imporsi, e che nel soffrire diventa compagno di tutti gli emarginati della storia. Salvini, dunque, prosegua pure nella sua politica di regolamentazione dei flussi migratori, ma si appelli cortesemente a motivazioni politiche, senza invocare il crocifisso. È ignoranza del cristianesimo. È un autogol culturale.
Luciano Sesta, sposato e padre di quattro bambini, è docente di Storia e Filosofia nei Licei Statali Insegna Antropologia filosofica e bioetica all’Università di Palermo, ed è stato membro dell’Ufficio della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo. Ha pubblicato numerosi saggi nell’ambito della teologia morale, della bioetica e dell’etica