Progetto Gionata – “Perché mi percuoti?” Sul cammino mancato della diocesi di Parma con le persone LGBT e i loro genitori
Marco Giranzani segnala al blog questo articolo e lo introduce così
“Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce. Non c’è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere» ” (Luca 8,16-18)
Gesù Cristo ci insegna ad ascoltare bene ogni persona perché è nell’incontro con l’altro che si comprende la sofferenza che si porta dentro il Cuore e la dignità che reca in se stesso in quanto Figlio di Dio: Papa Francesco da tempo invita ogni Cristiano e ogni Cattolico ad abbandonare la logica del “si è sempre fatto così” poiché questo “è un veleno per la Chiesa, ma un veleno dolce, perché ti tranquillizza l’anima, ti lascia come anestetizzato e non ti fa camminare”; e questo è un insegnamento coerente con quello di Gesù Cristo.
Nostro Signore infatti afferma nel Vangelo di Matteo 15,1-9:
“In quel tempo vennero a Gesù da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero: «Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo!». Ed egli rispose loro: «Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione? Dio ha detto:
Onora il padre e la madre
e inoltre:
Chi maledice il padre e la madre sia messo a morte.
Invece voi asserite: Chiunque dice al padre o alla madre: Ciò con cui ti dovrei aiutare è offerto a Dio, non è più tenuto a onorare suo padre o sua madre. Così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione. Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo:
Questo popolo mi onora con le labbra
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano essi mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini».”
Questo è l’agire come Gesù e quanto è attuale questo insegnamento alla luce di certe amare notizie che riguardano la nostra amata Chiesa Cattolica: notizie come quella descritta in questo articolo riportato da “Progetto Gionata” che segnalo a voi.
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Alcuni anni fa, a Palermo, occorreva organizzare la Veglia di preghiera per le vittime dell’omotransfobia, che si tiene tutti gli anni il 17 maggio. Una parrocchia celebre per il suo impegno sociale in un quartiere malfamato aveva offerto la sua disponibilità ad ospitare l’evento, grazie soprattutto al parroco, missionario comboniano. I vertici della (arci-)diocesi, avendo appreso dell’iniziativa, hanno allora pensato bene di proibire che la Veglia si svolgesse in una chiesa cattolica.
Mi fermo un attimo per ripetere lentamente e consentirvi di riflettere: la- (arci)diocesi- cattolica- proibisce- l’uso- di-una-chiesa- cattolica- per- pregare.
La Veglia, tuttavia, era ormai organizzata: canti, interventi, riflessioni bibliche, preghiere, testi erano pronti. Quindi ci siamo riuniti comunque: non potendo entrare in chiesa, abbiamo pregato e vegliato in mezzo alla strada, davanti al cancello chiuso della chiesa, e in gran numero, provvedendo noi stessi persino all’amplificazione e ai microfoni. Il parroco, che non poteva fare a meno di obbedire alla (arci-) diocesi, aveva tenuto chiuso il cancello esterno, ma aveva lasciato bene aperte le porte della chiesa, con tutte le luci accese, come per dire: anche se gli uomini (gli uomini che pretendono di esercitare un potere a nome di Dio!) chiudono i loro cancelli, Dio non chiude le sue braccia e vi dona ugualmente la luce del suo amore.
Quella Veglia fu un grande successo, che si ritorse contro l’assurda decisione della (arci-)diocesi dimostrandola contraddittoria, ipocrita e vacua. Naturalmente, quel parroco venne rimosso e allontanato: ma il suo sacrificio, e la nostra determinazione, ebbe come effetto che l’anno successivo la diocesi, per evitare proprio il “tritacarne mediatico” in cui da sé aveva cacciato se stessa (e non le persone LGBT), ha concesso senza tergiversare che la Veglia si svolgesse in una parrocchia ce ha designato un sacerdote come responsabile diocesano per la pastorale LGBT.
Da molti anni, in Italia, esistono i gruppi di cristiani LGBT. La loro identità, presenza ed azione sono diventate via via meno timide e più incisive: uomini e donne, consacrati e laici, hanno preso sempre più coscienza delle sofferenze inflitte dal Magistero Vaticano sulle persone omosessuali e hanno maturato sempre di più l’idea che una vita vissuta nell’amore, nel dono di sé, nella dignità e nella trasparenza, anche nelle forme della coppia omosessuale, non è in contraddizione con il messaggio autentico del Vangelo. Se mai, è in contraddizione con la Tradizione degli uomini, che già Cristo considerava un ostacolo all’incontro autentico con Dio e con gli altri esseri umani.
Questa convinzione si è andata rafforzando anche grazie all’insegnamento di Papa Francesco: egli più volte ha ribadito la sua visione di una Chiesa che accompagni le persone e le aiuti a sviluppare il massimo bene possibile dalla situazione reale in cui si trovano; ha posto la coscienza (e non la Tradizione) al centro della riflessione morale, sviluppando coerentemente le indicazioni del Nuovo Testamento e dei Padri della Chiesa; ha esortato la Chiesa a prendersi cura delle famiglie dove sono presenti persone LGBT, affidando ai loro genitori un prezioso compito di esempio e mediazione.
In che modo la Chiesa di Parma ha recepito questi germi evolutivi? Qual è l’atteggiamento della Chiesa di Parma nei confronti delle persone LGBT e delle loro famiglie?
Alcuni anni fa, per iniziativa di diverse persone (genitori di ragazzi o ragazze omosessuali e alcuni uomini gay) è nato a Parma un gruppo che non aveva precedenti in Italia: un gruppo che –anticipando le esortazioni del Papa in Amoris laetitia- pone al centro i genitori come “metafora di Dio” per i loro figli, anche LGBT; e, attraverso la preghiera, la riflessione, gli interventi ad incontri locali e nazionali, i contatti personali e la pubblicazione di articoli e messaggi, intende promuovere l’idea di una Chiesa aperta, inclusiva, maternamente e paternamente vicina ai figli LGBT, spesso feriti e respinti dalle insensibili posizioni del Magistero. Il gruppo si chiama “Davide”, come il giovane e semplice pastore che sconfisse il brutale Golia e poi divenne re e diede origine alla discendenza da cui nacque Gesù Cristo.
Il gruppo Davide si è riunito offrendo spazi di condivisione, ascolto ed aiuto per le persone in difficoltà; ha accolto e confortato genitori confusi ed emarginati dalle loro parrocchie per il fatto di avere figli LGBT e per il fatto di averli accolti con amore incondizionato; ha elaborato diversi documenti, nella speranza di tenere per mano da una parte i figli e le figlie LGBT, per lenire le loro sofferenze e curare le loro ferite, e dall’altra la Chiesa, di cui si sente parte e di cui riconosce l’eredità di Grazia, allo scopo di promuovere una progressiva ed autentica apertura su questi temi.
Il Vescovo di Parma, mons. E. Solmi, ha accettato di partecipare per un anno, in modo quasi costante, agli incontri del gruppo Davide, e ha avuto l’occasione di ascoltarne le diverse voci: i racconti di esperienze spesso dolorose, di ragazzi e ragazze che si sono allontananti dalla Chiesa o dalla fede per le prospettive disumane che il Magistero riserva alle persone LGBT e per la cinica mentalità che quel Magistero spesso alimenta nella comunità cristiane; e, nello stesso tempo, le speranze -di genitori e figli- in una Chiesa diversa, accogliente e fedele al messaggio evangelico; e le domande di senso drammatiche e serie poste dai cristiani adulti, cui non è più possibile rispondere solo citando la Tradizione senza argomentarne né motivarne le incongruenze e resistenze dogmatiche.
Tutto questo mons. Solmi ha avuto l’occasione di ascoltare, quasi per un anno intero. Lo vedevo arrivare silenziosamente, sedersi, prendere appunti, andare via in modo altrettanto discreto: ed ero convinto che il suo persistente silenzio fosse un’espressione di grande rispetto per le nostre iniziative e le nostre riflessioni, in cui è intervenuto pochissime volte, in un anno fitto di domande.
Ora, alla luce di ciò che è avvenuto in seguito, non posso fare a meno di sospettare che tale silenzio dipendesse anche da motivazioni diverse. E non paterne, né pastorali.
Ma andiamo con ordine.
Lo scorso autunno, tra numerose difficoltà, ha cominciato a riunirsi a Parma un altro gruppo, formato da credenti LGBT: essi hanno scelto di non avere paura, di non vergognarsi, bensì di uscire allo scoperto, offrendo la gioiosa testimonianza delle proprie vite, da single o in coppia; un gruppo cui sono benvenute persone cattoliche o no, credenti o no, LGBT o no, che intende anche esprimere un motivato e critico dissenso dal Magistero Vaticano quando esso appare incoerente con il Vangelo e, soprattutto, quando esso rischia di ferire, mortificare e deprimere la coscienza delle persone LGBT e dei loro familiari ed amici. Tale gruppo “Spiritualità Arcobaleno” ha invano cercato di essere accolto in una parrocchia cattolica-romana: nonostante la esteriore e timida disponibilità di alcuni parroci, tale accoglienza è negata senza il consenso del Vescovo.
Nel gennaio 2018 mi sono recato a colloquio con mons. Solmi per chiedere la possibilità di riunirci in una parrocchia e di essere, possibilmente, seguiti da un sacerdote: ho ricevuto da lui un’accoglienza cordiale, affabile, generosa ed espressioni di grande stima per l’iniziativa; gli ho fornito tutti i dati necessari per comprendere quale fosse l’orientamento del gruppo (anche riguardo al libero e critico dissenso nei confronti del Magistero); e mi è stato risposto che avrebbe approfondito la questione e avrebbe espresso un parere (favorevole o contrario) nei mesi successivi. Finora, nessuna risposta.
Nel frattempo, siamo stati accolti dalla Chiesa Metodista di Parma, che da anni è al nostro fianco per il superamento della discriminazione contro le persone LGBT. È nella Chiesa Metodista che anche quest’anno si è tenuta in maggio la Veglia di preghiera per le vittime della violenza contro le persone LGBT, sostenuta fattivamente anche dal Comune di Parma; la Curia “cattolica” ha ovviamente negato una delle sue chiese per pregare. La preghiera delle persone LGBT e dei loro cari deve essere davvero pericolosa.
Nel maggio 2018, mons. Solmi ha convocato in Curia il gruppo Davide, e finalmente ha manifestato su di esso la propria valutazione, a lungo attesa. Tale valutazione è stata poi pubblicata sulle pagine del periodico Vita Nuova della diocesi di Parma e diramata in diversi altri siti di informazione cattolica. Un amico ha definito questo comunicato come “la scomunica più gentile che sia mai stata scritta“: in esso, infatti, il Vescovo afferma che il gruppo Davide, pur essendo cristianamente ispirato e pur svolgendo un apprezzabile servizio di sostegno ed auto-aiuto, non è conforme alle posizioni della diocesi, non ne rispecchia le linee pastorali, e quindi non va ritenuto un interlocutore affidabile sulla questione LGBT; i singoli fedeli e le parrocchie sono pertanto invitati a non rivolgersi ad esso, per approfondire il tema dei rapporti delle persone LGBT con la fede cristiana e la Chiesa Romana, bensì ad altre realtà associative da anni presenti nella diocesi di Parma; e ad un gruppo di studio ed approfondimento sul problema, che deve essere ancora costituito e reso noto.
Quando, durante quell’incontro in maggio, abbiamo cortesemente chiesto al Vescovo quali aspetti del gruppo Davide fossero difformi alle posizioni ufficiali della diocesi, le risposte sono state vaghe e generiche e rinviate ad un successivo approfondimento. Strano: se il Vescovo, dopo mesi di silenziosa riflessione, ritiene opportuno prendere una posizione così netta ed ufficiale, ne avrà certamente chiare le motivazioni. Non capisco per quale motivo non sia pronto e disponibile a fornirle con trasparenza.
Perché esita a instaurare un dialogo su di esse? Il confronto è così difficile? “Se ho parlato male, dimostrami dove è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18.23). Ancora: stando alle affermazioni del Vescovo, tale pronunciamento sarebbe stato sollecitato da numerose richieste, provenienti dall’interno e dall’esterno della diocesi, circa la legittimità del gruppo Davide e delle sue idee. Devo intuire che alcune frange di cattolici -conservatori e fondamentalisti abbiano davvero un grande ed occulto potere di persuasione (o di intimidazione?), se riescono a condizionare un Vescovo dello spessore di Solmi (ma è accaduto anche a Reggio Emilia) inducendolo a sconfessare un gruppo di genitori preoccupati per i loro figli, alcuni dei quali hanno svolto e svolgono con passione e competenza incarichi all’interno della diocesi.
Per giunta, il Vescovo, nel suo comunicato ufficiale, addita, facendone nome e cognome, una coppia ben precisa di coniugi cristiani come promotori del gruppo Davide. A parte che tale indicazione nominale assomiglia molto ad un invito alla pubblica riprovazione e ricorda tanto gli Indici dell’Inquisizione, occorre fermamente rispondere che tutti i componenti del gruppo Davide, genitori o no, gay o no, condividono in pieno la responsabilità per le opinioni espresse e le azioni intraprese dal gruppo. Quindi, se il Vescovo ritiene necessario (a quale scopo?) indicare all’attenzione pubblica i nomi e i cognomi dei responsabili, dovrebbe a mio giudizio farlo con i nomi ed i cognomi di tutti. Io mi assumo la piena responsabilità della mia coscienza e non vado in cerca di capri espiatori.
Come pensate che ci siamo sentiti? Personalmente, ho provato amarezza, delusione e sconforto. Mi sono sentito ancora una volta raggirato ed abbandonato dalla Chiesa Romana.
Riflessioni di Antonio De Caro pubblicate sul settimanale La voce di Parma, anno 18, numero 26 del 3 luglio 2018, prima parte, pag.4
Tratto da Progettogionata.it