METRO – Il perdono viene dopo la rabbia
Il perdono è innanzitutto un dono che l’offeso fa a se stesso. Perdonare dà forza in primo luogo a chi perdona. Perdonare, però, è difficilissimo. Anzi, in senso proprio, cioè quando chi ci danneggia non si pente, è impossibile. Per questo Gesù in Croce non dice di essere lui a perdonare ma dice “Padre perdona loro”. Perdonare non vuol dire far finta che non sia successo nulla, ma significa in primo luogo sostare con infinito rispetto verso se stessi di fronte alle proprie ferite. Anche per questo noi preti dovremmo usare con molta parsimonia l’invito a perdonare. Chi subisce una violenza carnale, un torto, un tradimento, deve chiamare dentro di sé quei fatti col loro nome. Poi, se sono credente, posso sperare che Dio Padre riparerà quelle mie ferite. Propriamente, quindi, sto parlando di un miracolo. Non si può mai esigere da nessuno “che perdoni”. Solo la giustizia si può “esigere”. Il perdono è un passo per il dopo, una via successiva che mai può essere né obbligata né tantomeno immediata. Il perdono esige in primo luogo la capacità di sapersi vedere ingiustamente danneggiati. Poi bisogna attraversare la fase della rabbia e dell’indignazione. Solo a quel punto è possibile aprirsi autenticamente alla possibilità di vedere l’altro come fratello. Ed è difficilissimo. Soprattutto quando il perdonato non pare voler cogliere l’occasione di trasformarsi in positivo.
Tratto da Metro