Visto/ Fede da marciapiede – Dietro ai mendicanti un racket?
Milano. Un signore mi racconta il suo dramma e mi chiede un consiglio. Sulle scale della metro ogni giorno incontra un nigeriano (ma forse non lo è) che vende elefantini, braccialetti e cose del genere. Ha la quasi certezza che sia caduto nel racket dello sfruttamento lavorativo e così non gli dà mai niente: “faccio bene?”, mi chiede. Oltretutto, pensa, se tutti facessero come me, questi poveretti tornerebbero nei loro alloggi sempre a mani vuote con il rischio di prendere solo un sacco di botte. Come mi devo comportare? Devo dare l’elemosina e così incrementare la delinquenza o lasciare che vengano picchiati? Al mio amico spiego che a nessuno di noi è chiesto l’impossibile: nessuno deve combattere il male da solo. Però tutti noi dobbiamo fare quello che possiamo. Spesso è poco ma, alla lunga, diventa tutto. Così, se dopo aver guardato negli occhi chi mi vuol vendere un braccialetto, mi rendo conto che il poveretto potrebbe essere caduto nel racket dello sfruttamento lavorativo, appena possibile posso andare sul web e fare una telefonata a qualche associazione. Ne esistono diverse alle quali posso segnalare il caso e chiedere aiuto. Per esempio, per il nord Italia, c’è la Cooperativa lotta contro l’emarginazione. Oppure Lule, la Fondazione Somaschi Onlus e l’Oim. Conviene rivolgersi a loro prima che alla polizia o ai carabinieri perché spesso i mendicanti non hanno i permessi di soggiorno a posto e le forze dell’ordine si vedrebbero invece obbligate a procedure che magari andranno prese, ma in un secondo momento. L’importante è, nel dialogo tra me e me, uscire dall’inganno di pensare che la mia unica alternativa è pagare o girare la faccia. Devo guardare, non generalizzare (a volte i mendicanti sono mendicanti e basta), e fare il qualcosa che posso. Alcune di queste organizzazioni accettano anche volontari e forse, invece di dare un euro, mi verrà voglia di dare una mano.
Tratto da Visto numero 24 del 6 giugno 2018