
Le Lettere di Davide Vairani – Il nome di Dio è davvero Misericordia
Cara Betty, ti sto scrivendo adesso perché non posso non dirti che questo non ha creato la benché minima differenza nella mia opinione su di te, che è la stessa di prima, e che è questa: solidamente basata sul rispetto completo. Ho la tendenza a disfarmi delle sofferenze delle altre persone, ma questa, essendo un tuo dolore, sarà anche sempre parte di me. Mi colpisce per il semplice fatto che ha colpito te e ciò dura nel tempo fino a quando ferisce te.[…]Tu ti stai sbagliando nel dire che sei una storia di orrori. Il significato della Redenzione è precisamente che noi non dobbiamo essere la nostra storia e niente è più semplice per me che dirti che tu non sei la tua storia (…) Questo è solo l’inizio di quello che devi accettare. Ciò che devi accettare adesso è il perdono e io ti dico che questo è la cosa più difficile da accettare e che devi farlo continuamente. Nulla di tutto questo è una cortesia o una gentilezza o qualcosa di buona educazione da parte mia, e non è comprensibile.Tu mi hai fatto solo del bene e mi hai dato il regalo che volevi, ma il fatto è che, sopra tutto e oltre a tutto, io ho una relazione spirituale con te; io sono la tua padrina, mi sono autonominata tale dalla prima volta in cui mi hai scritto, e questo significa che ho il diritto di stare dove sono stata messa. […]” – Milledgeville 31 Ottobre 1956, Flannery O’Connor (in “Sola a presidiare la fortezza. Lettere”, Einaudi, 2001).
Solo di recente sto comprendendo che non ottengo niente movendomi sempre“come in battaglia”. Armato di baionetta “in difesa di”, “per affermare che – fosse anche per la più nobile e non negoziabile causa – non serve. I puntuti spigoli del pensiero moderno non sono – in fondo – che dei coni di buio dell’anima: tanto più l’uomo si ingegna in mestieri ed arti per espellere Dio dalla propria vita, tanto più – infine – si ritrova infelice. Non è della battaglia che ha fame il mondo. Non è andando sempre e solo in battaglia. E quando ho combattuto, che cosa ne ho ottenuto per me, per la mia vita? “La fedeltà a Cristo”, mi ripeto. Sono – dunque – più felice e lieto? No, sono costretto a rispondermi. Lo sto scoprendo a mie spese, e soltanto negli ultimi anni: Dio è sempre più grande. Per quanto la quotidianità mi appaia spesso come minacciata, il mistero di Dio sceglie i modi più impensati per incarnarsi e per farsi sentire, scombinando le carte e le pretese umane di inquadrarlo nei propri schemi, fossero pure cattolici. Rileggo spesso ciò che scrivo e rivedo sovente ciò che dico e che faccio. E più passa il tempo e più mi rendo conto di quanto stia impegnato tutto nel seguire una sola via: quella della giustificazione mediante le mie forze, quella dell’adorazione della volontà e delle mie capacità. Un dogma è solo una via d’accesso alla contemplazione ed è uno strumento di libertà e non di costrizione. Per nessuno. Se ci arrivi per contrarietà o per cieca obbedienza in realtà non ci sei affatto arrivato. Dio è sempre “di più”. Se mi guardo indietro, non posso che concludere di non essere mai stato altrove che con i miei “dèmoni”. In un certo senso, i miei dèmoni sono un luogo, più istruttivo di un lungo viaggio in Europa, e un luogo dove nessuno ti può seguire. Dal dolore aggrappato in fondo all’animo – di qualsiasi natura esso sia – ci devi passare. Ci devi stare, prima di passare per andare oltre. Per quanto faccia male (e quanto male!), occorre scendere negli abissi del cuore e ingaggiare un corpo a corpo con i dèmoni che vi abitano.Solo allora può accadere davvero di non vedersi più come una storia di orrori. “Il significato della Redenzione è precisamente che noi non dobbiamo essere la nostra storia”: Dio è “di più”. Senza rendermi davvero conto, per il fatto di pensare che tutto dipenda dal mio sforzo umano, complico il Vangelo e divento schiavo di uno schema che lascia pochi spiragli perché la grazia agisca. Davvero il nome di Dio è Misericordia.Per dirla come Simone Weil: “Dare un pezzo di pane è più che fare un discorso, come la croce di Gesù è più che una parabola”.
Sono nato il 16 maggio del 1971 a Soresina, un paesino della bassa cremonese. Peccatore da sempre, cattolico per Grazia. Laureato per accidenti in filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, da vent’anni lavoro nel sociale. Se sono cattolico, apostolico, romano lo devo ad un incontro fondamentale con don Luigi Giussani che mi ha educato a vivere. Vi invito a seguirmi sulla mia pagina Facebook e su web al mio Blog “Scommunity“