Blog – Escrivá e la santificazione del lavoro “professionale”
La santificazione del lavoro, cioè amare Dio e il prossimo attraverso il proprio lavoro, è certamente uno degli elementi caratterizzanti lo Spirito dell’Opus Dei ma, quando uno legge i testi del Fondatore o frequenta gli incontri formativi della Prelatura si accorge che al sostantivo “lavoro” viene quasi sempre aggiunto l’aggettivo “professionale”.
Sebbene io appartenga all’Opera da quasi cinquant’anni mi sono reso conto di questa peculiarità da relativamente poco tempo. Non che l’espressione “lavoro professionale” non esista ma, in generale, al di fuori dell’Opera, non viene usata con l’intensità e con la frequenza che si verifica negli scritti di Escrivá. Noi gente qualsiasi in genere diciamo: “che lavoro fai?”, “Quale lavoro farai da grande?”, “Qual è il suo lavoro?”, “In che lavora?” E si intende: il sarto, l’avvocato, lo studente, la maestra…, insomma qualsiasi lavoro che, a ben guardare, si può ben dire essere un lavoro “professionale” ma che in genere viene semplicemente chiamato “lavoro”. Ancora, oltre che “lavoro” si usa “professione” ma si usa come sostantivo non come aggettivo. Si dice: “l’insegnamento è la sua professione”. O forse, se proprio dobbiamo trovare il pelo nell’uovo, usiamo l’espressione “professione” quando vogliamo intendere un lavoro di quelli che hanno l’albo professionale, l’ordine professionale: l’avvocato, il medico, il notaio. In Exsultate et Gaudete, per esempio, si parla di “lavoro” e di “santificazione del lavoro” nel senso in cui lo intende San Josemaría ma non si usa mai l’espressione “lavoro professionale”. Si dice “sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli” (n. 11); oppure “spiritualità… del lavoro” (n. 28); o, infine, “anche se il Signore ci parla in modi assai diversi durante il nostro lavoro” (n. 171). Ed è chiaramente “il lavoro professionale” inteso nel senso di Escrivá ma, appunto, non si usa “professionale”. Perché?
Escrivá, quando parla di lavoro, quasi sempre lo chiama anche “professionale”. Non mi è possibile svolgere una verifica completa ma sono praticamente certo che, ripeto, questo santo ogni volta che parla di “lavoro” aggiunge l’aggettivo “professionale”. Spessissimo l’espressione “lavoro professionale” è sinonimo di “vocazione professionale” o di “dovere professionale”. Per esempio nell’omelia “Lavoro di Dio” raccolta nel volume “Amici di Dio”, è sempre così. Mi piacerebbe essere smentito, ma non credo che questo modo di esprimersi sia dovuto ad una cattiva traduzione dell’originaria espressione castigliana. Da quel poco che conosco quella lingua anche lì, al di fuori dell’ambiente dell’Opus Dei, l’uso ordinario del termine è “trabajo” non “trabajo profesionál”.
Credo di non sbagliare pertanto se ritengo che aggiungere il punto di vista “professionale” al lavoro sia una peculiarità del carisma della santificazione del lavoro secondo lo Spirito dell’Opus Dei. Ne ho una riprova se penso che il Fondatore insisteva con grande risolutezza sul fatto che dovessero essere svolti in modo professionale anche alcuni compiti, alcuni lavori, che di per sé possono non essere retribuiti e comunque potrebbero essere carenti di qualcuno di quegli elementi che normalmente si crede siano indispensabili per poter definire “professionale” un lavoro. Sto pensando per esempio al lavoro della casa, svolto da una moglie, da una madre o anche da un padre che si dedichi alle questioni domestiche; oppure al “lavoro professionale” del sacerdote, che secondo Escrivá è professionale in quanto tale, a prescindere dal fatto che sia remunerato perché è parroco o è cappellano. Infine, è professionale anche il lavoro “di governo”, intendendo con questa espressione l’impegno di farsi carico dell’organizzazione delle attività dell’Opus Dei come istituzione.
Mi rendo conto di aprire, con questa breve riflessione, un punto di vista molto più ampio e vasto di quello che io da solo sono in grado di affrontare con le mie sole forze e competenze. Non esito però a dire che chi volesse approfondire il tema della santificazione del lavoro dal punto di vista della prospettiva del lavoro “professionale” non dovrebbe disdegnare di cogliere questa accezione in tutta la sua chiave moderna, cioè come qualcosa di nuovo, che non c’era nel lavoro né dell’antichità né del Medioevo. Mi viene in mente che Escrivá ha sempre affermato che il suo momento di orazione più alto avvenne un 16 ottobre 1931 in un tram di Madrid. Se siamo convinti che Dio non lascia nulla al caso, non faticheremo a prendere atto che un tram, non è né una carovana del deserto, né una diligenza, né un calesse, né un treno, né, infine, il semplice camminare a piedi di un viandante. Esso indica, simbolicamente, uno snodo ben preciso della storia della civiltà: la metropoli moderna, le città, la campagna, la divisione del lavoro, la competenza, il relazionarsi a prescindere dalla religione, della fede, del credo politico o dell’orientamento sessuale: è la storia che volta pagina. E, secondo quanto lo Spirito Santo ha mostrato a Escrivá, il senso della santificazione del lavoro professionale – così come lo spostarsi in tram – si trova lì dentro.