Le Lettere di Terry – Ciò che tu vuoi, quando tu vuoi, come tu vuoi
Questa preghiera mi è stata suggerita da qualcuno di voi negli ultimi 7-10 giorni. Pensavo che fosse tra i commenti della mia ultima lettera, ma non l’ho trovato. Chiedo scusa perché non ricordo chi fosse: ultimamente sono un po’ tanti i pezzi che mi perdo e fatico a star dietro anche alle proposte del blog.
Questa preghiera però continua a tamburellarmi nel cervello, tanto che alla fine l’ho adottata e fatta mia: però è “tanta roba”. Questa preghiera mi attira perché so che mi porta verso quella méta di libertà interiore che inseguo da tantissimi anni e che inseguirò fino alla morte.
Tra l’altro oggi ho visto un tramonto spettacolare (piccolo off topic): non so perché ma “vedo Dio” (Tranquilli! Non ho le visioni!) nelle manifestazioni del sole più particolari; sono ovviamente solo una delle persone tra le tante che lo hanno pensato negli ultimi millenni. La prima volta che ho avuto un reale dialogo interiore con Dio, Lo localizzavo in un sole magnifico che si specchiava nell’acqua e che con quell’effetto che tutti conoscono, fa sembrare che la sua luce sia lì a puntare diritto verso di noi che siamo sulla riva, anche se ci spostiamo: come se c’inseguisse e fosse lì solo per noi. E così, ogni volta che il sole mi sorprende, ringrazio Dio dei suoi “cucù”. Oggi ho desiderato che quel che stavo vedendo potesse essere il tipo di spettacolo di cui godere un momento prima di chiudere gli occhi per sempre: chissà se mi farà questo dono! Vabbeh….torniamo a noi!
Ciò che tu vuoi, quando tu vuoi, come tu vuoi.
Tanta roba!
E come fare a portarla? Come fare per poter riempire quelle parole di senso ed evitare che siano la vuota ripetizione di parole dette così per dire? Come fare, una preghiera del genere, per sentirla dentro?
A me poi fa paura, perché ho una stortura interiore che mi porta a pensare che Dio per me voglia solo la croce e che voglia per me la sofferenza e che quindi è inutile sperare di star bene. Non lo dico per far la vittima, lo dico semplicemente come una persona che è ben conscia di quanto e come abbracciare la Croce sia la strada maestra per quella Felicità con la f maiuscola.
Abbracciare la croce….
Mmm… curioso! Inizialmente avevo scritto “e come la Croce sia la strada maestra” e poi mi son corretta subito e ho aggiunto il verbo abbracciare. Sì perché forse, per la prima volta mentre scrivo, capisco una cosetta: non è la Croce fine a se stessa la strada maestra, ma è proprio quell’azione, quella scelta di abbracciarla, invece di evitarla, che fa la differenza; e allora mi si svela qualcosa che fino a prima di scrivere, nella mia testolina non entrava proprio.
Mi spiego: una parte del peso della preghiera su cui sto riflettendo è dettato dal pensiero fisso che mi porto – da sempre e come una zavorra – che Dio “ai suoi amici” rifila delle croci da far pentire di esser nati e la prospettiva, oltre a non piacermi, mi spaventa. Sì…la mia zavorra è, ed è sempre stata,pensare che Lui voglia per me la Croce perché è il suo modo di amare i suoi amici. Un amico per questo un giorno mi diede della vetero-testamentaria, e anche altre persone negli anni hanno tentato di schiodarmi da questo mio pessimismo spirituale; e anche io ci ho fatto sempre a cazzotti, perché non lo capivo questo suo strano modo di amare.
Ora, con quella correzione che istintivamente ho fatto poche righe fa, forse sto imparando a comprendere: intuisco infatti che l’amore di Dio non può manifestarsi con il piacere della croce, perché non esiste un piacere nella croce, ma può esistere nel senso che si può dare alla Croce, non fermandosi ad essa di per sé, ma trasfigurandola.
Chiedo venia ai filosofi, teologi e dotti che mi leggono: io sono solo una devota miscredente che cerca di raccapezzarsi un pochino nei suoi casini interiori e anzi, avere questo spazio di confronto, confido che mi possa aiutare.
Un passo avanti che ho fatto negli anni passati ,era quello di comprendere come la scelta compiuta da Cristo di abbracciare la croce, fosse il suo modo per parlare in modo trasversale agli uomini di tutti i tempi, di tutte le culture e religioni, il suo modo per “connettersi” a tutti indistintamente, perché nella croce e nella sofferenza non c’è distinzione che tenga…..lo sappiamo tutti! La croce è democratica! Lui per arrivare al nostro cuore, si è fatto uomo e ha scelto di condividere gli effetti del peccato, quasi per spiegare che non è evitando questo destino di sofferenza che saremo felici, ma al contrario che potremo esserlo solo accettandolo, abbracciandolo e “andando oltre”; tutti noi abbiamo l’illusione adamitica – chi più, chi meno – di bastare a noi stessi e di non aver bisogno di Dio. Ci caschiamo tutti non ce n’è! Poi, anche in questo, andiamo a fasi; un altro mio amico mi disse (chiedo anticipatamente perdono allo staff per i francesismi) “Noi passiamo dal sentirci Dio al sentirci merde: la realtà è che non siamo né l’uno né l’altro” Quanto è vero! “In medio stat virtus” dicevano gli antichi ed è un’espressione che amo tantissimo e forse uso pure troppo.
Cristo è venuto ad insegnarci che al di là del peccato, al di là della sofferenza, al di là di tutti i nostri limiti, fisici, psicologici e spirituali, al di là…..c’è molto molto di più! Noi siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio, ma credo che a molti – a me in primis – sfugga il vero significato e la vera essenza di questa figliolanza divina. Lui è venuto a dirci a modo suo (anche qui chiedo venia e lungi da me mettere in bocca a Dio parole che non Gli appartengono: sto solo condividendo un mio pensiero): “Smettetela di far le anguille, smettetela di scappare, smettetela di pensare che la felicità sia il contrario della sofferenza….smettetela! Pigliatevi sta croce, abbracciatela, gestitela e andate oltre, perché voi siete infinitamente di più di ciò che credete, la vostra felicità non sta nella fuga dalle conseguenze del peccato originale, la vostra felicità non siete voi e i vostri desideri, e non è nel realizzare i vostri pensieri. Andate più a fondo, cercate di capire chi siete veramente e lì, piantate le radici! La Croce, me la piglio pure io, nella versione più dura e orrenda: ma vi insegnerò che oltre quella vi sono la resurrezione e una vita un po’ diversa da quella che v’immaginate”.
E allora capisco che quella correzione fatta istintivamente nel far coincidere la strada maestra per la felicità nell’abbracciare la Croce, e non nella Croce in sé, forse è la chiave: il cardine intorno al quale ruotare il mio punto di vista per comprendere – finalmente – che Dio non vuole che io soffra e basta, e che il suo modo di amare non è quello di addossare croci assurde sulle spalle di coloro che tentano di esserGli amici. No!
Intuisco che Lui mi vuole felice e vuole la mia felicità e che questa va oltre il fatto che io abbia più o meno croci da portare: intuisco che la mia felicità risiede nello scappare da me stessa, dalla mia idea di me, ma solo perché io e la mia idea di me possediamo limiti, che Dio non ha, e che staccandomi da me, azione per la quale ho la sensazione di perdere tutto e di morire a me stessa, in realtà guadagno l’infinito, perché faccio prevalere la mia filiazione divina e tutto ciò che può comportare.
Qualcuno di voi e ancora una volta – chiedo venia – non ricordo chi, accennava al fatto che compiere la Sua volontà ci porta su strade che mai avremmo potuto immaginare e che poi dopo, guardando indietro, ci domandiamo come cavolo abbiamo fatto a passarci, che Lui tira fuori il meglio di noi. Io certamente posso dirlo. Il lavoro che sto facendo, so di farlo davvero bene: certo mi c’impegno, a volte fino a starci male, ma vi garantisco che spesso io stessa sono sorpresa da quanto realizzo! E se qualche anno fa mi avessero predetto alcune delle situazioni che ho affrontato e gestito con successo, mai ci avrei creduto: e non ci sto comoda! Per niente! Come sapete è un periodo che sogno di far la cassiera, ma – mannaggia! – ciò che faccio mi vien bene e capisco che – da sola – forse non avrei mai scelto veramente di fare tutta sta fatica, invece se mi viene bene, è forse perché i talenti che mi sono stati dati – di parte dei quali fino a qualche tempo fa non sospettavo neanche l’esistenza – è giusto che diano frutto e sarebbe un peccato il contrario.
Questa cavolo di avventura imprenditoriale l’ho meditata a lungo nella preghiera e solo Lui sa quanto Gliel’ho affidata e di quanto, fino ad una settimana prima di firmare il contratto, ho cercato di scappare. La realtà è che vorrei scappare anche ora. Ecco: se fossi rimasta legata a me e ai miei pensieri, non sarei qui ora a fare quello che faccio, e so che per molti, dai collaboratori che hanno un lavoro, alle famiglie che hanno un aiuto, sarebbe un peccato. Per me è una grossa Croce? Potete giurarci, ma capisco il bene che ne viene per me e per molti, e sbuffando, ma in fondo in fondo sorridendo nel mio cuore – tra un pianto e l’altro – la porto avanti.
Ciò che tu vuoi, quando tu vuoi, come tu vuoi.
Lui vuole la mia felicità e non vuole che io soffra. La sofferenza esiste a prescindere, ma Lui mi dice: “Vai oltre!”. E allora si tratta di imparare.
Ho letto uno scritto di Santa Teresina che mi consola moltissimo: “Quando cerco la felicità nel cielo non provo alcuna gioia: canto semplicemente ciò che voglio credere!” Commentava che spesso questa felicità astratta rispetto alla nostra vita qui, razionalmente non l’attirava poi così tanto e forse – mi dico io – capitava anche a lei di non capire la logica divina; però aveva una fede e una fiducia tali che cercandola, confidava che prima o poi Dio le avrebbe svelato l’arcano. Lei voleva credere nella gioia eterna, da sola forse non riusciva, forse neanche a lei tornavano i conti…..ma cantandola, esprimeva semplicemente il desiderio di riuscire a crederlo interiormente, più di quanto non riuscisse con le sue sole forze, e affidava tutto alla Grazia. Che bello! Adesso forse capirete la scelta del mio nick, che tra l’altro è anche quello che mi permette di esprimermi così liberamente!
Ciò che tu vuoi, quando tu vuoi, come tu vuoi.
Tanta roba, sì! Ora come ora non riesco a portarla. Ma faccio come Santa Teresina: un po’ mi si stringe lo stomaco, ma intuendo che sia la strada maestra per la felicità, la ripeto nel desiderio di poterla fare mia e così sarà, si Dios quiere!
E chissà forse – se e quando dovessi ricevere questa Grazia – ciò che Lui vorrà, il come e il quando, per quanto implicanti comunque una croce, semplicemente perché facenti parte di questa realtà terrena – forse mi consentiranno di riposare in Lui e di slegarmi, almeno un pochino di più, dagli andamenti fluttuanti e instabili dei miei desideri, dei miei pensieri e del mio essere, consentendomi un assaggio di quella libertà interiore che – personalmente ritengo – essere capace di donarci quella Felicità-con-la-f-maiuscola che tanto agogniamo, semplicemente perché allora saremo radicati in Lui, onnipotente, eterno, che E’ amore e che E’ gioia!
Sul libro recensito sul blog “Il disertore” che, come già detto, mi sto divorando, trovo tanti spunti belli: sorrido quando viene citato Geremia: “Mi hai sedotto Signore e io mi sono lasciato sedurre: mi hai fatto violenza e hai prevalso”. Ecco, forse io non avrei usato queste parole, ma nel fare l’imprenditrice sento la mia natura violata. Sorge spontaneo chiedersi se sono stata costretta a firmare il contratto e rispondo “ni”. No, perché da un punto di vista legale è stata una scelta assolutamente libera (se si esclude il fatto che altrimenti sarei stata disoccupata) e sì, perché l’ho fatto fidandomi di un percorso interiore che mi portava lì dove io non volevo stare e del quale – nella preghiera – mi sono fidata, nonostante la mia paura e i miei tentativi di scappare da quella firma, fino a pochi giorni prima. Quindi quel passo di Geremia lo sento mio, perché mi sento come se Dio si fosse approfittato di me: gli porgo la mano e lui si prende il braccio (e non solo).
Poi leggo: “La chiamata di Dio è talmente alta, talmente assoluta, che nessuno è in grado da subito di rispondere in maniera adeguata, ma solo dopo che la Grazia ha lungamente lavorato sulla sua umanità, e quanto più collaboriamo, tanto meno lungo e doloroso sarà il processo” E’ qui che ritrovo il mio: “E’ tanta roba? E allora si tratta di imparare” Dove l’imparare si riassume in un essere docile e obbediente alla Grazia e qui viene la citazione di San Vincenzo de’ Paoli offerta da Onda (almeno una me la ricordo!): ” Piace più a Dio il sacrificio che gli facciamo della nostra volontà, assoggettandola all’obbedienza, che tutti gli altri sacrifici che possiamo offrirgli; poiché nelle altre cose… noi diamo a Dio le cose nostre; ma nel donargli la nostra volontà gli diamo noi stessi” E questo si può fare solo amando Dio più di noi stessi! Solo l’amore può…
Credo che tanto più si riesce ad incarnare la preghiera “Mio Signore, mio Dio: ciò che tu vuoi, quando tu vuoi, come tu vuoi”, tanto più ci radichiamo in Dio, tanto più consentiamo alla nostra filiazione divina di prevalere, tanto meno i limiti della nostra umanità ci pesano e anche le croci si relativizzano, ed è forse per questo che nelle vite di alcune persone può capitare che Dio le permetta di più. Forse! Non so se è un’intuizione giusta, ma ho la sensazione che più si fa coincidere la propria volontà alla Sua, più ciò che viviamo e ciò che ci circonda si relativizza, o – quanto meno – ha minor presa su di noi e diventa più sopportabile. E allora forse tutto questo può aiutare ad andare oltre la croce e la sofferenza che tanto ci spaventano.
Grazie a chi mi ha ispirato questa preghiera. Grazie a chi con i propri scritti mi ha dato spunti e suggerimenti per dare qualche spintarella a questo mio cammino da devota miscredente. Grazie.
Radicata a Milano, ma cittadina del mondo. Prima di tutto sono mamma, purtroppo single da quasi subito. Contrariamente al mio sogno di essere moglie e madre di una famiglia numerosa, la vita mi ha costretta a diventare capo-famiglia single, una professionista e ora pure imprenditrice. Da sempre svolgo lavori di “servizio alla persona” e, al di là dei più diversi ambiti professionali così attraversati, il comun denominatore è che mi appassiono al cuore delle persone che incontro, alla loro storia e al loro vissuto. Per me la scrittura è introspezione e il confronto è crescita. Amo definirmi devota miscredente perché il mio cammino è strano: a gambero, a zig-zag, non scontato, non sempre ligio, in ricerca, nel quale però cerco sempre di avere onestà intellettuale.