Blog – Aldo Maria Valli, giù le mani da Escrivá
Diversi amici, membri dell’Opus Dei e sacerdoti incardinati alla Prelatura, mi segnalano con dispiacere – qualcuno con ira – l’articolo “Perché non ci sono pastori che indicano dov’è il lupo” con cui Aldo Maria Valli si serve di san Escrivá per puntellare i suoi disagi rispetto a Papa Francesco: dopo aver commentato su Rai1 (il venerdì santo) la Via Crucis di Gesù, in data 2 aprile (cioè il lunedì dell’Angelo) non gli par vero di utilizzare il Fondatore dell’Opus Dei per caricare la croce sulle spalle di Bergoglio.
L’operazione è semplice: togli un testo dal contesto e potrai far dire a chiunque quello che vuoi tu. Se la mamma dice al figlio che torna a casa piangendo per un brutto voto che gli “sta bene”, dal momento che invece di studiare perde tempo su internet, quello “sta bene” ha il senso opposto dello “sta bene” del ragazzo che vede la fidanzata indossare un nuovo vestito che le cade a pennello; questi cambiamenti di senso sono dovuti al diverso contesto (lo studio, i vestiti) e non a un testo, ché è il medesimo. Fuor di metafora avviene che il vaticanista del TG1 prenda una frase di san Josemaría e la estrapoli esagerando a proprio uso e consumo un aspetto parziale e contingente di una conversazione.
Siamo nel 19 marzo 1971, cioè nel pieno di un post Concilio dolorosissimo per molti e, Escrivá, parlando ad un gruppo ristretto di membri adulti dell’Opus Dei – dico “adulti” per sottolineare che non erano persone “qualsiasi”, ma gente perfettamente in grado di comprendere la peculiarità del momento -, diceva: «Se in cielo potesse esserci tristezza, san Giuseppe sarebbe molto triste in questi tempi, vedendo la Chiesa decomporsi come se fosse un cadavere. Ma la Chiesa non è un cadavere! Le persone passeranno, i tempi cambieranno e si smetterà di dire blasfemie ed eresie, che ora si propagano senza alcun ostacolo, perché non ci sono pastori che indicano dov’è il lupo… chi proclama la verità è guardato con sospetto, se non perseguitato e diffamato, mentre per coloro che diffondono eresie e mali, errori teorici e pratici circa modi di vivere infami, c’è solo impunità».
Nel suo pezzo però, non si sa se per imperizia o per malizia, Valli lascia intendere che il Fondatore pronunciasse quelle parole nel 1954-55. L’equivoco (forse voluto) nasce perché Valli scrive che “i primi tre testi sono del periodo 1954 – 1955” ma nel suo articolo gli unici tre testi “virgolettati” citati fino a quel momento (peraltro nel testo di Valli accuratamente sprovvisti di data) sono quelli che ho riportato: e così testi del 1971 diventano scritti degli anni ’50. L’operazione è chiara senza essere dichiarata: si tratta di aggregare Escrivá e l’Opus Dei al carro di coloro che criticano apertamente le (presunte) ambiguità di Bergoglio. Chi ne avesse dubbi può soffermarsi sulla excusatio non petita dell’ultimo paragrafo quando, a proposito di nulla, si dice che san Josemaría amava il Papa. Semmai cioè a qualcuno fosse venuto il dubbio su quali siano le veri intenzioni di Valli, questi si premura di dirgli che ha capito male perché, anche se sembra il contrario, noi che critichiamo il Papa al Papa vogliamo bene (purché faccia quello che vogliamo noi).
Spero che nessuno a questo punto mi rimproveri di puntiglio perché, in ogni caso, se di puntiglio si trattasse, sarebbe quello di uno che è figlio di Escrivá da più di quarant’anni (nonché da trenta prete dell’Opus Dei) e quindi a Escrivá ci tiene. Il contesto in cui nostro Padre (così noi dell’Opus Dei chiamiamo Escrivá) pronunciava quelle parole, e cioè il contesto taciuto dal vaticanista della televisione più importante in Italia, era quello del periodo in cui Paolo VI, parlando della situazione della Chiesa, affermava di avere la sensazione che nella Chiesa di Dio fosse entrato il fumo di Satana. Valli si pregia di dirci nel suo articolo i nomi dei curatori ma non si pregia di trasmetterci il frutto delle loro fatiche. Sono in nota, lo faccio io, e mi scuso della mia traduzione perfettibile dallo spagnolo del testo originale.
Ecco la mia traduzione della nota 5b: “San Josemaría usava quest’immagine forte [del cadavere che si decompone, ndr] secondo il vecchio principio metafisico per il quale la disgregazione è causa di morte e di corruzione. L’abbandono dell’unità dottrinale e morale dell’istituzione, unito alla perdita della vita soprannaturale, a causa della rinuncia alla lotta contro il peccato, avrebbe potuto dare l’impressione che la Chiesa – come alcuni falsi profeti avevano annunciato – fosse moribonda. Non era l’unico che allora faceva riferimento a questa idea: cfr. Louis Bouyer, La decomposizione del cattolicesimo, Herder Barcellona 1970. Paolo VI allude a ciò nell’omelia del 29 giugno del 1972 quando confidò l’impressione che nella Chiesa “da alcune fessure fosse entrato il fumo di Satana nel Tempio di Dio” e che nella Chiesa si fosse infiltrata la critica, il dubbio, “la tempesta, l’oscurità, l’incertezza”, il desiderio di separarsi sempre di più dagli altri” scavando “abissi invece di colmarli” (Cfr. En diálogo con el Señor: Edición crítico-histórica, Ediciones Rialp, 2017, p. 303)
Escrivà cioè (e per questo è santo) diceva allora le stesse cose del Papa regnante di allora, che era Paolo VI. E questo, a parità di condizioni, sarebbe quello che dovrebbe fare anche oggi ogni buon cattolico se volesse essere santo come lo è stato Escrivá: dovrebbe parlar bene del Papa regnante di oggi, che non è Paolo VI ma Francesco. Lo dovrebbe fare convintamente, essendone cioè convinto. E se, legittimamente, non ne fosse convinto, dovrebbe tacere. Se poi, addirittura, si sentisse spinto dopo aver sorriso sussiegoso davanti alle telecamere, a digitare compulsivamente il proprio disappunto contro il Papa sul suo blog, forse dovrebbe farsi due domande sull’unità di vita: una virtù cui Escrivá, glielo possiamo garantire noi dell’Opus Dei, teneva davvero molto.