Le Lettere di Luciano Sesta – Bergoglio e pregiudizio. Il finto giallo
Continua, nella Chiesa, il malumore per le iniziative che celebrano il pontificato di papa Francesco. Esemplare, al riguardo, la battaglia che si sta scatenando in questi giorni sul presunto “giallo” della lettera che il papa emerito Benedetto XVI ha scritto a monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, e che quest’ultimo ha reso nota in occasione del quinto anniversario dell’elezione di Papa Francesco.
Sui media, di questa lettera, è stato enfatizzato soprattutto il passaggio in cui Ratzinger, parlando di “continuità interiore” fra i due pontificati, il proprio e quello di Papa Francesco, definisce uno “stolto pregiudizio” l’idea che il papa argentino non avrebbe alcuna profondità teologica. Una simile affermazione ha disorientato tutti i cattolici fortemente critici del pontificato di Papa Francesco, che si sono subito mobilitati per riportare il papa emerito dalla propria parte e, soprattutto, per rimetterlo “contro” Papa Francesco. Esemplari, al riguardo, due articoli della Bussola Quotidiana che con il tono complottistico di chi sta smascherando i giochi di potere dei sacri palazzi, hanno costruito il “giallo” della lettera “manipolata”.
In cosa consisterebbe questo “giallo”?
In primo luogo, nel fatto che la lettera non è stata scritta da papa Ratzinger per “celebrare” il quinto anniversario del pontificato di Papa Francesco, come Viganò avrebbe fatto credere rendendola pubblica in questa occasione, ma un mese prima e in risposta alla richiesta dello stesso Viganò di contribuire con un breve saggio alla collana ‘La Teologia di Papa Francesco’, edita dalla Libreria Editrice Vaticana (LEV).
In secondo luogo, complice la sala stampa vaticana, i media interessati a celebrare la figura di papa Francesco avrebbero compiuto un’operazione poco trasparente e manipolatrice, perché avrebbero citato, della lettera di Papa Benedetto XVI, solo i passaggi più graditi, omettendo quelli in cui il papa emerito declina gentilmente l’invito a scrivere sulla teologia di papa Francesco, affermando di non avere la possibilità di leggere tutto ciò che serve per poter intervenire con cognizione, anche a causa di “impegni già presi”. Ad alimentare il caso si aggiungerebbe una foto della lettera, divulgata sul web con la complicità dell’ufficio stampa, in cui si coprono i passaggi “sgraditi”, lasciando visibili solo quelli in cui il papa emerito sottolinea la continuità fra il proprio pontificato e quello di papa Francesco.
Da tutta la vicenda emerge un’evidente forzatura. Già l’interesse “poliziesco” ad accertare la “verità” in questo tipo di vicende è sintomatico di tutta una generale preoccupazione critica nei confronti della curia romana attuale. Se una simile vicenda si fosse svolta durante il pontificato di Wojtyla, chi oggi ha uno scrupoloso interesse a smascherare la mancanza di trasparenza dell’ufficio stampa vaticano, non si sarebbe neanche accorto della cosa.
Il problema è che i cattolici che stanno alimentando questa polemica non si accorgono di commettere un errore uguale e contrario a quello che rimproverano a Viganò. Sono cioè tanto interessati a mettere Ratzinger contro Bergoglio, di quanto lo sarebbe Viganò a reclutarlo in suo favore. Nella Bussola Quotidiana si definisce un’“idiozia” l’operazione mediatica di far apparire a tutti i costi Ratzinger un sostenitore di Bergoglio, senza però accorgersi che lo è altrettanto l’operazione mediatica di metterglielo a tutti i costi contro, come traspare dalla penna nervosa di Cascioli, l’autore del pezzo, che ci tiene a dimostrare che i passaggi della lettera in cui Benedetto XVI declina l’invito sarebbero un’evidente prova dell’assoluto disinteresse, se non del disprezzo, che il papa emerito nutrirebbe nei confronti di papa Francesco. Fra i due papi, lo sappiamo, c’è una differenza enorme. Ma che questa sia una differenza fra la vera Chiesa che fu e quella che, abbandonata dallo Spirito Santo e nelle mani del papa “progressista”, è ormai in disfacimento – che è il presupposto di tutte queste polemiche – è tutta un’altra questione.
Torniamo al presunto “giallo”. Chiunque sia informato dei fatti, sa che Viganò, in conferenza stampa, ha letto integralmente la lettera di Benedetto XVI, senza dunque “coprire” niente che poi la Bussola Quotidiana avrebbe scoperto. Le foto “taroccate” sono esse stesse una classica fake, tipica di questo genere di dibattiti che si avvitano su se stessi: se in sala stampa la lettera è stata letta integralmente, come si poteva sperare di impedire a chiunque avesse poi visto la foto di gridare al complotto? Tanto più che, nella fonte citata, si dice che a rivelare la notizia della manipolazione della foto sarebbe stato un uomo che lavora in Vaticano, ma che preferisce rimanere anonimo. Tipica precisazione a effetto, che sfrutta la leggenda nera, degna del miglior Dan Brown, sugli intrighi del palazzo apostolico. Leggenda nera che, guarda caso, i cattolici conservatori che qui se ne avvalgono hanno sempre criticato.
Un’interpretazione più serena e benevola è che nella foto si è lasciata visibile la parte che sottolinea la continuità fra i due papi, evitando di gettare in pasto ai catastrofisti nostalgici di Benedetto XVI la parte che alcuni, come poi è avvenuto, avrebbero strumentalizzato dicendo che a Benedetto XVI non importa nulla dell’opera pubblicata di Papa Francesco.
Molti, tuttavia, hanno presentato la vicenda come una “questione di verità”, invocando il dovere della trasparenza da parte dell’ufficio stampa vaticano, che non può manipolare le informazioni come un qualsiasi giornalista privo di scrupoli. La principale preoccupazione, insomma, è di far vedere che “non è vero” che papa Benedetto XVI riconosce la profondità teologica di papa Francesco. Sorvolando sul carattere vagamente infantile e da tifoseria da stadio di questa preoccupazione, che poco ha a che spartire con il nobile scopo della trasparenza e della verità, tutto avviene come se la necessità di smentire l’eventuale appoggio di papa Benedetto XVI a papa Francesco fosse talmente vitale per la Chiesa, da richiedere addirittura il “coraggio della verità”. Mi sembra francamente un’esagerazione.
Sarebbe utile, ogni tanto, ricordarsi dell’assioma di Agostino “In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas”. Prima di agire in nome della “verità”, bisognerebbe chiedersi quanto sia “necessario” farlo. Potrebbe trattarsi, infatti, di una vicenda dubbia, su cui può esserci legittima libertà di opinione. Se, poi, in sala stampa vaticana, compiono operazioni poco trasparenti, ci penseranno i diretti responsabili a vigilare, in primo luogo il papa. E se non lo fanno, sarebbe forse più saggio il silenzio, anche per non cadere in forme di giudizio temerario sui singoli, di cui non possiamo conoscere le intenzioni e nemmeno il contesto di azione, con tutti i particolari del caso. Quando invece, in nome di una non meglio precisata “verità”, cominciamo a spaccare il capello in quattro su vicende come quella che stiamo discutendo, finiamo per gettare discredito su quella stessa Chiesa per il cui bene pensavamo di dover “dire la verità”. Come se far vedere che Ratzinger non può aver mai detto che Papa Francesco è un grande teologo fosse un servizio alla Chiesa talmente necessario, da poter essere perseguito anche a costo di dividere gli animi, inasprire i contrasti, e di dare una pessima immagine delle persone che lavorano nell’ufficio stampa della Santa Sede.
Luciano Sesta, sposato e padre di quattro bambini, è docente di Storia e Filosofia nei Licei Statali Insegna Antropologia filosofica e bioetica all’Università di Palermo, ed è stato membro dell’Ufficio della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo. Ha pubblicato numerosi saggi nell’ambito della teologia morale, della bioetica e dell’etica