Articoli / Blog | 09 Marzo 2018

Agi – Perché un compromesso politico non è peccato

Quasi tutti gli italiani sperano ardentemente che, su tutte, ci sia una promessa elettorale che non venga mantenuta: quella per cui Di Maio mai e poi mai dialogherà con Salvini e Salvini mai e poi mai parlerà con Di Maio (potrei aggiungere il nome di Renzi e di tanti altri politici).

“Noi con loro mai” è quello che la gente non vuol più sentirsi dire perché significherebbe mancanza di governo, vorrebbe dire irresponsabilità verso il Paese. La politica, oggi particolarmente, è trovare compromessi. Limitarsi al possibile sembra una rinuncia, un’immoralità, il pragmatismo dei meschini e invece è l’unica vera morale della politica. Non è morale il moralismo di chi si abbarbica a degli assoluti che assoluti non sono: è morale chi accetta la lealtà della realtà, del bene possibile. È morale chi accetta le misure dell’uomo.

“Cercate il bene della città”

Non pretendo che Di Battista, Meloni, Renzi, Berlusconi, Di Maio siano degli esperti di storia del cristianesimo ma forse fa bene a tutti ricordare che i primi cristiani, nonostante fossero in certi momenti perseguitati dai romani, non ebbero mai un atteggiamento negativo verso lo stato: ne riconoscevano i limiti ma non tentarono mai di demolirlo. Potevano resistere a qualche decisione se andava contro la loro coscienza ma mai hanno tentato di boicottarlo come “stato dei pagani” o di distruggerlo. Proprio perché erano consapevoli di vivere “in Babilonia”, come Pietro chiamava Roma (1 Pietro 5,13), sapevano che valeva anche per loro l’orientamento che Geremia aveva dato agli ebrei quando erano nell’esilio della Babilonia vera. Allora il profeta aveva incitato i propri fratelli non a distruggere, a resistere, a insorgere, bensì aveva detto loro: “Costruite case e abitatele, piantate giardini e mangiate i loro frutti. Prendete mogli e generate figli e figlie; prendete mogli per i vostri figli e date le vostre figlie a marito, perché generino figli e figlie e perché là moltiplichiate e non diminuiate. Cercate il bene della città e pregate l’Eterno per essa, perché dal suo benessere dipende il vostro benessere” (Geremia 29, 5-7).

Fuor di metafora, queste parole significano che è cristiana la decisione di alimentare e di rafforzare un buon progetto, una parte di programma, anche se è solo buono in parte, anche se non tutto il progetto è buono, anche se non l’ho fatto io.

Mai paura del bene

Un convincimento che sta alla base del cristianesimo – e quindi dell’Occidente – è che non si deve mai aver paura di fare il bene anche quando esso sembra provvisoriamente rafforzare il potere del “malvagio”, cioè dell’avversario.

Alla lunga rafforzare il bene è un vantaggio per tutti e, in primo luogo, è un vantaggio per chi lo compie perché è inevitabile che prima o poi venga riconosciuta la paternità di quella azione buona. Un servizio che il cristianesimo fa alla politica – e che troppo spesso viene dimenticato – è ricordare alla politica che essa è “solo politica”, ovvero liberarla dall’irrazionalità delle utopie, dei miti.

Se un terzo delle forze politiche si arrocca nell’ideologia di non voler dialogare con gli altri due terzi per un assoluto che non può essere toccato, che non può essere compromesso, e impedisce con questa decisione di fare ciò che si può fare, ciò significa cadere nell’irrazionalità. È facile trasformare gli aut-aut in slogan, nelle grida di una campagna elettorale, ma poi si deve accettare che il volume scenda perché quando si parla non si urla. Ed è necessario farlo quando si devono mettere da parte le grandi parole per addentrarsi invece – allora sì davvero coraggiosamente – nel mondo del reale possibile.

Tratto da Agi