Le Lettere di Alessandra Bialetti – L’amore per il nemico
Amare i nemici. Facile, tra virgolette, quando il nemico è l’emarginato di turno, il povero provato dalla vita che incontro ogni tanto nei suoi luoghi di dolore, che vado a visitare nei suoi spazi di sopravvivenza e di emergenza per poi chiudermi la porta alle spalle. E così se ne riparla la prossima volta alle prese con la mia vita da “regolare” che permette una certa dose di rispettabilità e accettazione. Facile amare la diversità e la marginalità quando non mi vive a stretto contatto. Difficile, invece, quando quel diverso lo vivo tutti i giorni nei panni di un figlio che non è secondo i progetti sperati fin dal grembo materno, di un marito o di una moglie che tradisce le aspettative e mette in discussione i piani sperati e costruiti insieme, di un amico che non riesce ad essere presente nel momento della difficoltà mentre grido il mio bisogno, di un amore che vorrei portare via dalle sue prigioni ma preferisce rimanere carcerato perché tutto sommato la cella ha le sue comodità. Quel diverso, vicino e non occasionale, diventa il nemico che mi è difficile amare. Da fare mio ogni giorno, ogni minuto, quando invece vorrei veder scomparire il suo volto. Da comprendere, ovvero da prendere con me nella miseria e nella grandezza della sua storia. Da considerarlo “affar mio” e non un compito degli altri e del volontario di turno. E quella alterità non è più ricchezza ma intralcio, non è più dono ma ostacolo.
Ma c’è un passo ulteriore: ancor più difficile è amare quella parte di nemico che abita in me sotto forma di tutte le incapacità che impediscono di spiccare il volo, di vedermi come un prodigio, di non considerarmi uno scarto ma degna di attenzione e amore. Di essere libera. Di cambiare le mie modalità distruttive. Difficile amare quell’altro da me che sono io stessa e contro cui combatto alle prese con la mia fragilità, con la mia debolezza, con la mancanza di senso che spesso mi accompagna e che invece sono chiamata ad accogliere per poter incontrare, tra le pieghe dei miei “disastri”, le braccia di un amore che non giudica, che non condanna, che non si presenta con il bilancino in mano a misurare meriti e demeriti ma sta solo aspettando al crocevia delle mie scelte. Allora quel Vangelo non mi spinge tanto fuori di me alla ricerca dell’emarginato di turno che sosta nella mia vita per brevi istanti forse semplicemente per il tempo di lasciargli in mano una moneta di carità e andar via con la coscienza a posto. Ma invita a stare più vicino a me stessa dove la diversità che porto dentro è sia la mia che quella che mi vive accanto nel figlio, in famiglia, nei genitori, nelle relazioni significative e brucia ancora di più perché sembra un amore tradito laddove dovrebbe essere scontato. E allora è un esodo al contrario. Un ritorno al vicino in realtà così lontano. Un ritorno a quel nemico che di simile ha ben poco ma che strizza l’occhio spingendomi a tornare a me, a ripartire da me, dalle ombre che offuscano la mia vista, la mia luce e mi fanno scorgere ogni diversità come un pericolo, una fatica, una missione impossibile.
Il vero diverso e il primo nemico da amare sono proprio io, terreno di evangelizzazione, ospedale da campo in continua emergenza, spazio in cui radicare la buona notizia che non c’è buio umano che non possa essere illuminato, che non c’è malattia morale e spirituale che possa dettare l’ultima parola, che sono io quella periferia esistenziale che non vive al margine di un ghetto, di un quartiere malfamato, di una realtà degradata ma dentro di me e accanto a me molto spesso proprio in quei progetti di bene che ho tentato di costruire, in quelle relazioni che credo un posto sicuro e che non ce la fanno ad esserlo sempre. Amare il nemico mi ha spesso spinto fuori di me, lontano da me per non scendere in quel silenzio che mi abita e mi fa paura.
E se estendiamo questa piccola riflessione ad ognuno di noi ci possiamo accorgere che spesso siamo pronti a spostare il discorso sui massimi sistemi, a vedere le povertà evidenti e macroscopiche, a cogliere bisogni lontani quanto invece risulta difficile e più duro scoprire dentro di noi una profonda e inascoltata richiesta di accoglienza ed evangelizzazione.
Quindi il vangelo invita a tornare a noi, alla nostra povertà, alla nostra miseria non ascoltata e spesso combattuta, per riscoprire quel bisogno di amore, di cura, di accudimento e per ripartire verso i piccoli e grandi “nemici” che incontriamo al crocevia del nostro andare. E scoprire nei loro occhi lo stesso bisogno di accoglienza che abita il nostro cuore.
Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.