Blog / Gavina Masala | 24 Febbraio 2018

Le Lettere di Gavina Masala – L’incontro con l’altro, sulla soglia del divino

“Il chassidismo insegna che la gioia che si prova a contatto con il mondo conduce, se la santifichiamo con tutto il nostro essere, alla gioia in Dio

Potrei sottoscrivere con convinzione quest’affermazione espressa da Martin Buber nel suo scritto Il cammino dell’uomo, splendido simposio di teologia e filosofia.

Il problema dell’uomo, di come studiarlo e interpretarlo è indubbiamente il più affascinante di tutti, poichè la peculiarità è che chi indaga è l’indagato: oggetto dell’antropologia, scienza che studia l’uomo, è infatti l’uomo stesso. Fu Kant a enunciare brillantemente che i problemi morali, gnoseologici e spirituali trovassero risposta nella definizione di uomo ma non si spinse oltre nell’indagine. Il ‘900 ci offre degli spunti preziosi, quali quelli del filosofo e teologo ebreo Martin Buber appunto, per accostarci al tema dell’umano visto non più come un oggetto da esaminare, come sostanza quale fu per Aristotele, ma come soggetto di relazioni e alle relazioni; conferendo così sia una connotazione attiva che passiva il soggetto diventa persona, trama di rapporti, esistenza.

Buber, nel tentativo di decifrare l’uomo, ci parla di esistenza dialogica, ovvero: abbiamo come prerogativa la capacità di relazionarci con l’altro, col prossimo secondo i Cristiani, ma è la natura di questa relazione ad essere speciale e a conferire sostanza e dignità all’uomo.

Possiamo infatti ravvisare almeno due modi di proporci nella sfera sociale: da un lato oggettivando chi abbiamo di fronte, ovvero indagandolo da osservatori esterni – un po’ come farebbe uno scienziato – rendendolo strumento di nostre riflessioni, quando non addirittura di calcoli personali, al fine di farne un mezzo utile al nostro percorso. Questa relazione è falsa, purtroppo agevolata dallo sviluppo delle tecnologie, che ci permettono di comunicare senza andare incontro realmente. In questa modalità non c’è uomo, non c’è umanità, non ci siamo noi. Oppure, auspicabilmente, può avvenire un incontro autentico, gratuito, non autoreferenziale, reciproco: esempio di fautori di questo secondo tipo di dialogo furono certamente Socrate e Gesù. Il primo perchè seppe usare la propria acuta intelligenza per educare gli altri ed accostarli al loro vero bene, il secondo perchè usò la Grazia del Padre per salvare l’umanità.

In queste due esperienze l’Io accetta chi ha di fronte ed ha il coraggio di incontrarlo veramente, lì dove c’è bisogno, lì dove si fa fatica ad entrare, lì dove bisogna aprirsi reciprocamente per potersi “vedere”, in un rapporto di mutualità.

Buber mette a fuoco quanto quella soglia – la chiama proprio così – in cui sostiamo per un incontro vero col prossimo, senza invaderlo, senza appropriarcene, ma solo accogliendo e donando con delicatezza, è riflesso della Grazia ed è possibile solo grazie a un rapporto con Dio improntato alla mutualità, meno asimmetrico di quanto forse siamo abituati a pensarlo.

Lo zwischen (letteralmente “tra”), soglia o interrelazione nella quale incontriamo l’altro come Dio, ovvero come ulteriorità, e Dio come l’Altro irriducibile a noi, è l’unica via per la realtà cui si arriva, a mio avviso, percependo l’indigenza di ciascuno e la reciproca ricchezza che l’uno è per l’altro. L’interrelazione con l’Altro e con Dio diventano dunque luogo in cui si esplica l’essenza dell’uomo.

Nelle parole di Buber: “Come potrebbe esistere l’uomo se Dio non ne avesse necessità? (…) Dio ha bisogno di te e tu di Dio per esistere, questo è il significato della vita”.

Questa filosofia dà luogo ad una definizione di persona molto diversa dall’individualismo, perchè la persona è nella relazione, non tanto e non solo in quella contingente, ma in quella divina, con quel “Tu eterno” che diviene precondizione per rapporti buoni, fecondi e non strumentali.

Sorge la domanda: come coltivare questo buon rapporto con Dio e col Tu che ho di fronte? Sottomettendo il proprio volere quotidiano, piccolo e minuto al Grande Volere, ovvero al desiderio di Dio. Avendo sete di Dio, mettendo questa sete a fondamento del nostro essere, rapporti interpersonali e relazione con Colui che è, saranno improntati al bene vero, che non può che essere carità, sovrabbondanza, eccedenza. Come diceva Agostino d’Ippona “ama e fa ciò che vuoi”, intendendo con ciò ravvisare l’essenza dell’uomo nella responsabilità per il bene altrui, responsabilità relazionale che riusciamo a sentire solo per Grazia.

Giovane mamma e moglie, scrivo per capire. Ho una formazione internazionale, da settembre 2015 ho intrapreso un secondo corso di studi in filosofia, presso un ateneo pontificio. Parlo tre lingue, mi interesso soprattutto di relazioni internazionali e di religioni: cerco di vedere come la prospettiva cristiano – cattolica possa aiutare a convivere pacificamente. Ha un suo blog personale