Le Lettere di Terry – Offrendosi liberamente alla sua passione…
Queste sono parole che abbiamo sentito ripetere centinaia e centinaia di volte: fanno parte della liturgia e come tutto ciò che si ripete infinitamente, rientra nell’abitudine e in tutto ciò che spesso scivola via. Eppure nella mia testa è da anni che, volta di più, volta di meno, queste parole risuonano nella mia testa come se il sacerdote le urlasse col megafono. Ogni volta che riuscivano a destare la mia attenzione in realtà – in barba ad una presunta intelligenza – non sono andata molto oltre il “wow”, come quando si contempla qualcosa di bello e che lascia senza parole; qualche volta ho provato a rifletterci, ma la mia materia grigia tendeva a perdersi in qualcosa che appariva troppo grande. Oggi però voglio fare uno sforzo in più, forse anche perché in realtà il mio Angelo Custode ce la mette tutta per ficcare nelle crepe della mia coscienza qualche altro elemento di riflessione, e oggi desidero provare a comporre il puzzle: la spinta proviene dal sentirmi schiacciata più del solito dalla croce.
OFFRENDOSI LIBERAMENTE ALLA SUA PASSIONE – Spesso mi viene in mente l’immagine tratta dal set del film The Passion in cui l’attore che interpreta Gesù, in una pausa di registrazione, si siede accanto al regista con “l’abito di scena” che è una maschera di sangue e brandelli di carne che può far svenire. La contraddizione tra ciò che rappresenta e il contesto di pausa caffè mi ha sempre sconvolta: non so perché, ma quell’immagine, più di tante altre iconografiche, mi ha fatto riflettere sulla Sua di croce, e sulle torture testimoniate dalla Sindone. Ecco: tutto questo Gesù lo ha scelto liberamente! Lui ha scelto di star male, e ha scelto la summa di tutte le sofferenze possibili e immaginabili: fisiche, umane, spirituali….tutte! A me, che uno possa scegliere liberamente tutto questo appare come una follia, e spesso si dice che Dio ci ama follemente, infatti ci ama nonostante tutte le nostre mancanze, i nostri tradimenti e le nostre fragilità.
A me la Croce non piace. Non mi piace la Sua, e non mi piace la mia. Il più delle volte non se ne capisce neanche il senso, e anzi appare palesemente ingiusta, e come tale la si rifiuta. Anni fa mi arrabbiavo come una biscia davanti a questa ingiustizia, ma la realtà è che se ci si arrabbia, poi bisogna s-rabbiarsi, e la rabbia in sé è assolutamente inutile e sterile, se non addirittura dannosa. Arrabbiarsi non risolve e spesso peggiora. Oggi, forse con qualche granello in più di saggezza, la rabbia non è più così viscerale: è una ribellione interiore o intellettuale, ma il cuore ha avuto l’esperienza di come tutto sia, sempre e comunque, per un bene, e sempre inserito nel contesto di un progetto d’amore: quindi l’anima tiene il muso, il cervello va in tilt, ma il cuore si lascia portare, nonostante tutto.
Ai comportamenti giusti e virtuosi si è portati a far conseguire pace e benessere, motivo per cui quando ci si comporta bene, non si accetta che le cose possano andar male. Ecco: io ci sono dentro in pieno! La Croce è ogni giorno più pesante e più illogica, il baratro in cui mi fa sprofondare è sempre più vicino agli organi vitali, e vivo lacerata tra la fede e la ragione. In una situazione in cui tutto ciò che è umanamente possibile l’ho fatto, e per quel che mi rimane lo sto facendo, io letteralmente non so dove sbattere la testa. Altri aspetti della mia vita, per Grazia e per Provvidenza, stanno andando molto meglio di come potevo sperare, eppure convivo con questo buco nero che mi vede disarmata. E ieri discutendo col Padreterno mi sono ascoltata ripetere: “Ma cosa vuoi che faccia di più? Sto facendo tutto bene e secondo le regole: cosa vuoi? Perché non posso avere un ritorno dei miei sforzi e devo continuare a stare in questo deserto? Perché? Cosa vuoi ancora da me?”. L’angelo custode, come il compagno di classe che ti passa i bigliettini durante il compito in classe, suggeriva che non mi stava chiedendo di condividere niente di più di ciò che Gesù stesso aveva già fatto: chi più di Gesù aveva fatto tutto bene, e chi più di Lui, con il bene, è andato pure oltre le regole, superandole? Chi più di Lui aveva amato, consolato, distribuito giustizia, misericordia, perdono, guarigioni? Chi più di Lui aveva fatto bene? Ma questo non Gli ha tolto la Croce! Anzi….ci si è offerto liberamente! Lui ha fatto tutto, nonostante sapesse che comunque il risultato, “la giusta paga”, sarebbero stati la passione e la Croce! Lui si è offerto liberamente alla sua passione….e allora mi vien da piangere!
Da qualche anno, come i padri del deserto insegnavano a masticare la preghiera con le giaculatorie, mi mastico questa preghiera: “Signore, insegnami ad amarti con la stessa libertà e gratuità con la quale tu mi ami”. Ecco, come dice il mio direttore spirituale, “a volte capita che Dio ci ascolti”. Lui si è offerto liberamente alla sua passione, e tutto il bene che ha fatto lo ha compiuto gratuitamente, e senza fare affidamento sulle gratifiche che ne potevano derivare. Anzi, io me lo immagino Gesù, il giorno della festa delle palme quando tutti lo acclamavano, con che cuore e con che consapevolezza continuava ad amarli: immagino lo sguardo di un genitore con il bimbo piccolo che, ancora inconsapevole della sua fragilità, promette che sarà il bambino più bravo del mondo! Il genitore sa che dopo pochi istanti se si trova a dover scegliere tra obbedire e disobbedire, al 90% cederà….perchè è ancora troppo piccolo per governarsi, ma accoglie la promessa con amore pieno, saggio e lungimirante; un amore gratuito e libero che prescinde dal mantenimento di quella promessa. Ecco come me lo immagino Gesù che entra a Gerusalmme, con quello sguardo di genitore, amante e consapevole.
Offrendosi liberamente alla sua passione. Ecco come Dio vuole essere amato: a prescindere che dalla nostra buona condotta ne derivi un merito, un successo o un premio. Lui vuole essere amato liberamente (da interessi personali) e gratuitamente (senza tornaconto). E’ così che Lui ci ama.
Un altro pensiero di questi giorni era legato proprio a questo: quando si prega, si frequentano i sacramenti, si fanno buone azioni, ognuno di noi cova nel profondo del suo cuore la speranza che tutto questo eviti la croce! Avete in mente il BUZZ del gioco del Taboo? Beh…il mio angelo custode si diverte un sacco ad usarlo e secondo me ci prova pure soddisfazione, perché ogni volta che mi sento tanto pia, buona, brava e devota e mi coccolo l’idea del premio che in cuor mio mi aspetto, arriva sempre lui a rompermi le uova nel cestino. Rompiscatole! E poi mentre vado verso la Comunione cammino accanto a due carrozzelle con due bambini gravemente disabili: sono accanto ai loro genitori e io non posso non vederli come degli eroi, e mi fanno venir voglia di strisciare senza farmi troppo vedere.
Non so perché – anche nel Vangelo se ne parla – abbiamo tutti un difetto di fabbricazione tale per cui ad una disgrazia si cerca di identificarne la causa, come se ogni disgrazia servisse per espiare qualche colpa. Sappiamo che non è così, ma il cuore a questo proposito tende spesso a essere dissonante. Nessuno si merita il male, nessuno si merita la Croce (tanto meno Gesù!): il male esiste per quella che è la nostra fragilità, il nostro limite di creature che ci ha portato verso il peccato. E’ ormai tanto tempo che medito su come la sofferenza, secondo me, serva a liberarci dall’involucro di umanità che copre la nostra divinità, e di come la sofferenza sia l’opportunità per farla emergere, ma da qui a sceglierla liberamente e scientemente, ne corre!
E allora capisco che a volte pregare è pericoloso e che bisogna scegliere bene le proprie preghiere, perché una preghiera come “Signore, insegnami ad amarti con la stessa libertà e gratuità con la quale tu mi ami”, se accolta ed esaudita “alla lettera” è una grana grossa come una casa. Perché finchè si è bimbi e si fanno promesse più grandi di noi il genitore sorride, ma quando cresci il genitore esige.
E concludo con un’altra immagine. Degli scritti di Etty Hillesum mi sconvolse come la realtà della persecuzione ebraica di cui era vittima e che la portò a morire in un lager, fosse quasi un dettaglio insignificante della realtà che viveva: era talmente focalizzata sul suo dialogo interiore che gli appelli delle SS cui era chiamata a rispondere e che certamente paralizzavano e angosciavano i più dei suoi simili, nella sua quotidianità risuonavano solo come la scocciatura di quando la mamma ti dice di andare ad apparecchiare la tavola e tu sei impegnata in qualcosa che ti appassiona e ti coinvolge. Questa comunione interiore col divino che fa sfumare tutto ciò che ti circonda è un altro obiettivo ambizioso: Pietro mentre cammina sull’acqua, s’affoga perché toglie lo sguardo da Gesù e si guarda i suoi piedi. Quando attraversi un crepaccio sappiamo tutti che la regola aurea di chi ci accompagna è: “Guarda me e non guardare giù”; per qualche motivo lo sguardo di qualcuno che ci ama e verso cui nutriamo fiducia è tale da far scomparire il crepaccio e il terrore che suscita, da far sbiadire la persecuzione e l’angoscia che ne deriva.
Io non mi sento ancora capace di offrirmi alla mia croce e credo che sia disumano pretenderlo. So che posso arrivare a “fare la brava” slegandomi dall’aspettativa di qualsiasi merito e seguire gli insegnamenti di Gesù anche solo perché gli voglio bene e se ci arriverò, sarà per Grazia e certamente non per merito. “Signore, insegnami ad amarti con la stessa libertà e gratuità con la quale tu mi ami” Mannaggia! Mi sta prendendo alla lettera!
A Messa ci vado perché, sempre più, ho bisogno di tenere gli occhi piantati in Gesù, perché senza il suo sguardo finisco per precipitare nel crepaccio; ho bisogno del Suo sguardo per far svanire tutte le paure, le tristezze, le angosce che mi circondano e che mi abitano. Ho bisogno del Suo sguardo perché al mattino quando mi sveglio, mi rendo conto di vivere solo perché Lui mi vuole qui, dove io farei volentieri a meno di esserci, perché sono troppe le cose che mi pesano e troppe le situazioni che mi rendono triste e stanca e rispetto ad altre Croci che ci sono, so anche di essere ingrata e vigliacca. Ho bisogno del Suo sguardo, perché contemplandolo tutto ciò che mi pesa si relativizza, sfuma e diventa più sopportabile.
Le tentazioni ci sono e oggi mi suggerivano che la dipendenza da Gesù, in quanto dipendenza, è sbagliata e che con Dio sarebbe più equilibrato un rapporto “alla pari” perché è così che funziona tra amici. BALLE! E’ solo in Dio che possiamo l’impossibile. E’ solo in Dio che trascendiamo la nostra umanità. E’ solo in Dio che possiamo essere forti, perché davvero la nostra debolezza è il canale attraverso il quale Dio infonde nella nostra anima, nella nostra mente e nel nostro cuore la Sua forza.
Offrendosi liberamente alla Sua passione: io non ne sono capace, ma posso tentare di smettere di amare Dio aspettandomi o sperando in cambio evitare la mia croce, e posso invece usarla per imparare ad amare Dio più liberamente e più gratuitamente. In fondo sono anni e anni che Gli sto chiedendo di insegnarmelo… Mannaggia a me…
Radicata a Milano, ma cittadina del mondo. Prima di tutto sono mamma, purtroppo single da quasi subito. Contrariamente al mio sogno di essere moglie e madre di una famiglia numerosa, la vita mi ha costretta a diventare capo-famiglia single, una professionista e ora pure imprenditrice. Da sempre svolgo lavori di “servizio alla persona” e, al di là dei più diversi ambiti professionali così attraversati, il comun denominatore è che mi appassiono al cuore delle persone che incontro, alla loro storia e al loro vissuto. Per me la scrittura è introspezione e il confronto è crescita. Amo definirmi devota miscredente perché il mio cammino è strano: a gambero, a zig-zag, non scontato, non sempre ligio, in ricerca, nel quale però cerco sempre di avere onestà intellettuale.